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STORIA DELL’ALPINISMO
L’Alpinismo antico e moderno
a civiltà ebbe origine sui monti. Essi furono la culla delle genti più antiche e videro fiorire il secolo d’oro tanto decantato dai poeti. Le caverne offrivano a quei popoli un naturale ricetto ed albergavano tanto il re quanto il suddito e il medesimo cibo e l’istessa coppa servivano a tutti, e, morti, l’istessa zolla li ricopriva senza distinzione o segno qualsiasi. I primitivi popoli montanari erano ricchi perchè poveri: altri nemici non temevano che le nubi gravide di tempesta e di folgori e il lungo verno; pure non era per essi triste cosa il godere lo spettacolo della lotta degli elementi fra di loro e altro non desideravano che la floridezza dei campicelli, dei pascoli e degli armenti. Ignari della discordia e di tutte le passioni che dovettero nomarsi basse perchè appunto salirono dal piano, essi formavansi l’oggi come il jeri e il domani come l’oggi tranquilli, impassibili, felici. — Le nozze si facevano senza tanti contrasti ed apparati. Un pastore amava una pastorella, si dicevano un sì, ecco la promessa, si scambiavano un bacio, ecco il sacramento. E l’usignolo salutava gli sposi coll’allegro canto e, il muschio profumato dei monti, loro serviva da talamo beato.
Ma presto successe una rivoluzione. «Dacchè gli nomini, scrisse Teofrasto, impazienti dello inasprimento del clima, scesero dai monti per coltivare le umili valli e i larghi piani, che erano ammorbati dalle paludi ed infestali dalle serpi e dai rospi, le prime culle della umanità, andarono scoscendendosi e se ne lacerò e distrusse il manto selvoso ed erboso. Solo, le aquile, e pochi pastori conservarono i loro alti nidi onde, quando fra le strette della guerra, i popoli ripararono fra le montagne, non vi trovarono più i conforti dei patriarchi e vollero tosto abbandonare quei luoghi resi inospitali e si trassero seco gli ultimi rimasti coi quali, assai più forti, ritentarono le veci delle battaglie e di nuovo vinsero fino a che la mollezza e la lussuria, infestataci dei piani, non isconvolsero le loro menti e non rammollirono le loro fibre.» — Alberto Haller scrive: «Allorchè Roma, contava nelle sue battaglie, altrettante vittorie, era la polenta il cibo degli eroi, il legno l’abitazione degli Dei, ma dopo che le sue ricchezze crebbero oltre misura, nemici, anche deboli, fiaccarono la sua superbia.»
Se oggigiorno noi vogliamo vedere ancora un ultimo rimasuglio di quella antica e pacifica vita, che ebbe culla fra le nostre Alpi, noi dobbiamo inoltrarci nel seno delle più alte fra le nostre valli alpine, e là, fra deliziosi pascoli, coronati dai ghiacci, cinti e attraversati da roccie, noi troveremo popolazioni semplici, forti e felici, pastori che si accontentano di scoprire i vasti piani dall’alto dei loro monti e menano una vita beata fra le gioie le più rozze e le più pure.
Ma, quegli antichi popoli, pensavano essi forse a scalare le alte punte di cui godevano continuamente la vista, sia per innata curiosità, sia per cercarvi nuove emozioni? No certo, che nessuno osò mai avanzarsi più in su delle nevi e dei ghiacci perpetui che si riguarda-