Alla scoperta dei letterati/Paolo Lioy
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Vicenza, agosto del ’94.
«Domani mattina, se ti piace, scendi alle sei su la riva del fiume Retrone, sùbito fuori della città. Mi troverai là. Chiacchiereremo in sandalino, risalendo la corrente.»
Questo strano e piacevole invito mi scrisse Paolo Lioy quando io, appena giunto a Vicenza, gli ebbi chiesto un’ora di colloquio.
Il mattino apparve purissimo e fresco; il Retrone dalle limpide acque verdastre scendeva senza parvenza di correntìa sotto la luce fredda; e in fondo tra i due argini erbosi ed arborati una nebbia bassa e tenuissima fumava. L’argine era alto e tutto verde così che quando mi trovai con Paolo Lioy giù presso le acque, il paesaggio così rinchiuso era nuovo e freschissimo. Anche qualche signora ci raggiunse, e in breve tutta una flottiglia di sandalini azzurri risali diritta la quieta corrente. Nulla del paesaggio dentro quelle alte rive boscose compariva, ma l’orizzonte era chiuso da un gomito del fiume dove il giuncheto basso luccicava a mo’ di smeraldo per il sole che fra i tronchi dei salici e degli albanacci passava a ravvivarlo.
Distratto dall’ammirazione per quella vista, accarezzato dal fresco dell’acqua e del verde, stupito per la novità improvvisa dell’invito io con rassegnazione rimandavo il colloquio a un’altra migliore occasione.
Così non fu. Presto il Lioy e io ci trovammo alla testa della flottiglia leggera e turchina e gaia di voci e di vesti. Allora quel geniale intelletto dove scienza ed arte a vicenda si illuminano gradevolmente, quasi trovandosi nel suo luogo di elezione, cominciò a sognare e a parlare. A volta assorti dalla discussione lasciavamo le signore a grande distanza giù pel piccolo fiume silenzioso; a volta, arrestandoci presso una robinia a discorrere immobili su l’acqua, vedevamo le signore sorpassarci ridendo e motteggiando e sparire dietro un canto del fiume.
— Vede ella nella nostra letteratura odierna qualche sintoma di risveglio, o anche da cause esteme ad essa spera ella in un rinascimento futuro?
— Io non vedo nessun risveglio attuale nella letteratura e anche nell’arte nostra. Tutto è mediocre. I baldi poeti che un giorno si figuravano cavalcanti insolentemente tra la folla bassa fissando gli occhi aperti nel sole, ora vanno in velocipede. Quello è un simbolo: è il trionfo della mediocrità. Tutti possono andare in velocipede e tutti vogliono andarci; tutti possono tentare l’arte e tutti la tentano, e deludono i buoni e illudono sé stessi. E il pubblico lo vede e lentamente se ne distacca, come un albero vecchio che rigetta le inutili scorie.
— E sarà sempre così?
— S«npre peggio. L’ideale di tutto, che dovrebbe essere l’ideale di tutti, l’ideale sommo più vivo e più vitale è il socialismo. Ora la minima realizzazione degli ideali socialistici è mortale all’arte.
— All’arte, così come la intendiamo noi adesso.
— No, no, all’arte e alla letteratura nel senso più lato; non si modificherà solamente. Certo in principio si modificherà cercando di sopravvivere per la legge dell’adattamento; ma ultimamente morirà. E non sarà un grande danno; o almeno, ragionando con la mente nuova, non sarà un danno per molti. Chi si occupa dell’arte moderna. A quali gusti diffusi e universali soddisfa? Noi che la facciamo o la godiamo, non siamo pochi, minimi, per quanto romorosi? Vuoi tu la domanda nuda e cruda: «Quanti approfittano dell’arte presente?»
— Vede già i dintorni di questa morte o almeno di questo primo corrompimento letale delle arti?
— Sì, molti. Cito a caso l’alessandrinismo di molti tra voi giovani. E non parlo del solo alessandrinismo della forma, del solo belletto spalmato sul volto vecchio; parlo anche dell’alessandrinismo della sostanza. L’analisi psicologica è fatale al romanzo, e deve cadere se il romanzo che è la forma dell’arte ancor più vitale vuole ancora resistere.
— Ma per lei scienziato la psicologia nel romanzo non è segno della validità di esso?
— È un soccorso chiesto alla scienza, non è un innesto naturale. Infatti è stato sùbito esagerato. L’arte, l’arte va a morire; la scienza sola sopravviverà e basterà.
— Ella crede certissimo il trionfo del socialismo?
— Ma sì. È cosa fatale, è una legge fisica. In un mio libro che avrà per titolo Fuori all’aperto e che escirà fra breve, io porrò un capitolo sul Socialismo animale e vi dimostrerò come tra gli animali il regime socialistico sia la più perfetta e continua forma di vita sociale. Quindi è vano combattere il socialismo così come sarebbe vano combattere pel socialismo. Esso verrà sotto forme che la natura in certi ordini animali già ci mostra per via di esempio.
— Quali altri sintomi, per tornare al primo argomento, ella vede della morte dell’arte contemporanea?
— Il misticismo, o, se tu vuoi, il neomisticismo. In un solo uomo questo movimento recentissimo verso l’al di là è sincero, in Antonio Fogazzaro.
— È un movimento in lui istintivo, spontaneo, originale?
— Oh no, è un movimento di pura reazione. Il naturalismo ha eccitato in lui un senso di vero disgusto fisico infrenabile, fuori d’ogni raziocinio e d’ogni libera scelta. Per questo egli solo è ammirevole, o almeno rispettabile in questa recentissima fase della mente letteraria moderna. Gli altri (e le altre) non sono sincere: o si illudono di esserlo perché momentaneamente il misticismo è utile in letteratura come rispondenza a un diffuso sentimento di stanchezza e a una diffusa aspirazione fuor di quella stanchezza in tutto il nostro pubblico; ovvero accettano questa vittoria dell’anima per amor di réclame, e sono i più.
— Che ne pensa ella delle nostre scrittrici?
— Penso che nessuna di esse e degna di tal nome all’infuori di Matilde Serao. Il loro numero crescente è un sintomo di decadenza: è la mediocrità che conquista l’arte e la soffoca.
⁂
Qui la flottiglia dei sandalini che ci precedevano, annunziò che si giungeva a Sant’Agostino. Il fiume da un lato perdeva l’alto argine selvoso, la riva era bassa e prativa, un ponte segnava l’abitato, che fino allora, per tre ore continue sotto la cupola verde su l’acqua verde, non avevamo visto o udito segno di uomini, quasi fossimo stati sperduti in una terra selvaggia tra una foresta intatta. Poco lontano dal ponte una chiesa del decimoterzo secolo appariva, e aveva il campanile nel sole contro il cielo mentre l’edificio basso tra gli olmi e le viti era in ombra. E andammo a terra a visitarla, e vi trovammo dentro molti e belli affreschi bizantineggianti.
Più tardi ridiscendemmo a filo di corrente, placidamente. Paolo Lioy non parlò che di scienza, a volta arrestava il sandalino presso la riva erborizzando e mostrandomi le piante più strane o i fiori più belli. Così egli mi descrisse anche le sue meravigliose scoperte sul lago Fimone, su i monti Berici presso Vicenza, dove dopo lunghi lavori e lunghi dispendii ha trovato tracce stupende di abitazioni preistoriche su palafitte, sia della età della pietra che della età del bronzo. Bella anima di poeta scienziato, dove l’arte e la scienza così piacevolmente si confortano a vicenda!
E mentre egli mi ripeteva commosso il primissimo ritrovamento di palafitte su quel suo lago dopo tanto vano sperare, mentre egli mi diceva lo stupore dello scienziato davanti a quelle tracce misteriose di una vita originaria ignota faticosissima, le barche scorrevano nella somma quietudine del meriggio su quel fiume chiuso; e, poi che l’orizzonte era tutt’intorno per gli angoli del fiume stretto dagli alberi, pareva che quel lembo di fiume e di foresta fosse sospeso nel cielo.