Alcune prose giovanili/Elogio di Tommaso Chimicata
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ELOGIO
DI
TOMMASO CHIMICATA.
Tommaso Chimicata si differiva dal fratello maggiore nel temperamento dell’animo, imperciocchè non aveva la vivacità di quello, ma per contrario una malinconia continua; di maniera che io mi meravigliava come, in una cotale età quando si festeggia universalmente il tempo migliore, egli giovane ne’ diciassette anni dimostrasse tanto sconforto. Quando tutti gli altri sogliono prendere più dilettamento del mondo, egli si può dire che se ne accomiatava. Le lamentabili e dolorose sventure della sua casa, la perdita di tante care persone, tutte nella prima giornata della vita, lo inducevano a credere indubitatamente che doveva tra non molto tempo passare di questo mondo. Non lo vedevi ridere mai nè spassarsi; e quando s’imbatteva in compagnie di giovani che pigliavano passatempo, se ne allontanava mostrandosene malissimo soddisfatto. Veramente pareva quaggiù un giovane passeggiero, il quale deve dimorare pochi giorni, e se ne va in fretta; e, andando, prendeva piacere nel guardare la natura, di cui le montagne lo dilettavano più delle marine, e le piccole villate più che non le città.
Era connaturato all’amore, e nondimeno passò la sua gioventù senza amare donna: conciossiachè a lui infelice pareva non convenevole rendere partecipe della sua infelicità chicchessia. Le donne in generale s’immaginano che amando diventano più contente, ed egli non intendeva conturbare a nessuno la beatitudine che si era immaginato. Oltrechè un giovane quando nell’età nuova mostra malinconia da vero, e non in apparenza e per desiderio di parere più bello, per ordinario incontra che non lo amano; imperocchè nessuno va a tenere volontariamente compagnia alla sventura. Contuttociò, senza accorgersene, aveva messo affezione in una montanina del suo paese, occhipietosa, amica di Elena sua sorella, con la quale insieme ella andava agli spassi e alla festa, e, quando morì quella, fece più abbondante lamento di tutte le altre compagne. Tuttavia egli non le manifestava il suo affetto, ed era soddisfatto di amarla dentro il suo cuore. Un giorno, nella piazzuola del villaggio, la incontrò adornata di viole e di fiordalisi che ballava in compagnia di altre giovani; egli non se ne fece contento, e incominciò a piangere di gran dolore dentro di sè, e disse: O fanciulla, duri perpetuamente la festa.
La naturale malinconia a questo giovane ancora l’alleviava un fratello chiamato Angelo, il quale lo amava moltissimo e lo ammaestrava della sapienza; e, andandosene nella campagna e ponendosi ambedue a riposare sotto qualche albero, quivi studiavano e ragionavano insieme. Quel fratello dicevagli: Tu non sai come me, e forse che non te ne ricordi, ma noi eravamo molti, avevamo molte altre sorelle e fratelli, e la nostra casa non era vuota come è ora, ma era piena, e la sera oh quanto facevamo festa! e dipoi si ponevano amendue a piangere, e quello, per confortarlo, consigliavalo di studiare non per altra cagione che per sentire meno la propria infelicità. Quel fratello è morto: quando s’apparecchiava per passare, gli stette di continuo al fianco guardandolo e dimostrando amaro dolore per gli occhi; e quello, non curando niente di sè, avvertivalo a prendere provvedimento per non incorrere nella medesima infermità, imperciocchè a mirarlo nella bianchezza del volto gli ragionava di cose triste la mente. Quando glielo levarono dal limitare della casa, rammemorandosi quante volte erano andati insieme alla campagna, e che ora dovevano appartarsi per sempre, volle accompagnarlo; e, vicino alla sepoltura, come è consuetudine nelle villate della Sila, baciatolo, posegli tra le mani la croce, piangendo con grandi lacrime e dicendo: fratello mio non ti rivedrò un’altra volta.
In seguito di tempo venne occupato da una profonda malinconia e da una svogliatezza e da uno scontentamento del mondo, e veramente pareva che le immagini e le larve di tanti cari lo accompagnassero ovunque. Una sera d’estate mentre studiava nella sua stanza, ecco, guardando nella montagna, vedere il fumo delle pagliaje levarsi, e le danza dei mandriani, e udire il suono delle zampogne, e le canzoni delle fanciulle; egli quasi fuori di sè: Odi fratello mio come è bello! ma la quiete e la solitudine di quella stanza dicevano che quel fratello era morto.
I parenti a fine di riconfortarlo lo mandarono in altro luogo; nondimeno il cuore gli stava rivolto ai suoi monti, e, spesso, accompagnandosi meco e conducendomi per le vie donde se ne discoprivano le sommità, mi diceva: Oh, amico, quanto sono belli i tramonti delle montagne, bella la neve, belli i geli che come limpidissimi cristalli penzolano dagl’ignudi rami delle querce e dei pini, buoni sono quei montanari e belle le fanciulle; là ho desiderio morire; i miei cari dormono fra quei monti.
Non fu passato molto tempo e ritornò ai monti desiderati, e discese nella sepoltura, e si addormentò sopra la polvere dei suoi cari. Quella medesima malattia sopravvenne al giovane; si dimagrò conforme all’altro fratello, dolorò per alquanto spazio di tempo, provò a sorsi lentissimi i patimenti della morte, quantunque dentro del suo animo fosse contento di veder terminato il suo pellegrinaggio nel mondo. Avea allato alla sua stanza un giardino, e ciascuna notte un rosignuolo si poneva sopra un ramo di albero e cantava dolorosamente. Innanzi l’ultima sera pareva piangere di più abbondante dolore, come se a quella gentile creatura tremasse il petto di un sinistro presentimento. Egli la udì, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. La notte appresso aggravò: la madre tenevaselo abbracciato al petto; quando si fu accorta che stava ormai per passare, dolorosamente, e piangendo, e ululando, va, chiama, sveglia tutti quei di casa; i quali mentre se gli pongono d’accanto al letto e piangono, il giovane quetamente e serenamente morì.
Quella casa è squallida! agli occhi di quella miserabile madre è amara la luce! Quando tutte le altre madri vanno con i loro figliuoli a festa, essa, a neri panni, entra nella stanza più recondita della casa dove sono i dipinti dei figliuoli morti; li guarda, li abbraccia, stringeseli al petto, li chiama per nome: Elisa, Angelo, Elena, Francesco, Tommaso; ma quei non rispondono.
O Dio abbiate misericordia di questa casa.