Alcune lettere familiari/Al medesimo I
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al medesimo
Se l'Originale fosse per lungamente durare io non entrerei in questo pensiero, ma perchè le cose vanno altramente, io mando a V. S. questo Ritratto. Egli darà meno di noia a codesta casa, che non suole darle la mia persona; e quando io sarò chiamato agli anni eterni dell'altro secolo, le rinfrescherà la memoria di uno, il quale molto desiderò di servirla, e mai non fu possente a fornire il desiderio; e però nella somma ventura della nostra amicizia egli intieramente non fu felice. Feceló in Roma il cavalier Padovanino, colà sinuato eccellente maestro di cosi fatte opere. Gioisco che l'Accademia si risvegli, ed affermo ch'ella dovrebbe
fare onore alla virtù del signor Marchese. Ma V. S. perciò mi chiama indarno: e primiera- mente perchè le ore son si pronte a finire il viaggio, che assai spazio non ho per me a pensare comio corro alla morte; e poi fra cotesti signori è gran copia che può correre sì fatto arringo; e finalmente io mi do ad intendere che gli eredi ed amici di quel signore non si diano cotali affanni; e forse mi avverrebbe come avvenne non ha molli anni pure costi. E qui lascio correre con V. S. la penna per mostrarmi non orbo; che per altro io me ne prendo giuoco, avendo salde testimonianze da fare altrui parlare di quello di che a me conviene tacere. Ma, ch'io venga a far passeggi, dialoghi, a godere la città, e farmi vivo in cotesta casa, ciò è mio desiderio, e ne conto i momenti; e torno a dirle che se per gli odiosi temporali minacciati non e sicuro l'ospitalare, V. S. con intiera mia soddisfazione me lo può car intendere, lasciando saldo ed immobile l'amore vostro e mio. Qui abbiamo nevi, ed abbiamo avuto e mio. Qui abbiamo nevi, ed abbiamo avuto rabbie boreali orrbili, nè mi hanno lasciato andar presso a copiare il libro, ma tuttavia io ho trapassato la metà, e col fine dell'anno spero di finire la copia. V. S. si rallegri a mio nome col signore principe Giustiniano, sotto il cui governo son certo che fioriranno gli onorali esercizj, e se io mi troverò in Genova a tempo, darò il mio tributo al suo dominio. State felici, signori miei, e Dio versi sopra di voi con larga mano le sue sante benedizioni.
Di Savona, li 25 Decembre 1630.