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ranno gli onorali esercizj, e se io mi troverò in Genova a tempo, darò il mio tributo al suo dominio. State felici, signori miei, e Dio versi sopra di voi con larga mano le sue sante benedizioni.

Di Savona, li 25 Decembre 1630.


al medesimo.


Hammi consolato la risposta di Montesomme. Ove V. S. a suo tempo mandi il figliuolo con buona ventura, a me il consiglio par molto buono. A cotesto signor Bombino rendo grazie dell'amor che mi porta, e dell'onore ch'egli mi fa benché io ne meriti molto poco. Vengo a' versi. Il componimento mi par buono, e credo che così parrà a tutti, il concetto è imorale, e quanto alle maniere del dire niuno negherà che non siano brave, e forse alcuno potrà dire, che alcuna volta il sieno troppo. Ma ciascuno ha suo giudizio, e non si può a tutti soddisfare. I versi già non sono tutti ben pettinati, ma in mezz'ora si ripuliscono: la disposizione dell'ode io la lodo, ma già non l'ammiro; secondo me non ha del poetico, nè piglia voti, e parmi che troppo stia sul suo cammino. Se gran tempo ch'io non leggo Pindaro, ma, se ben mi ricordo, egli dice più cose, ed è vago di trascorrere. Ma di ciò non si può trattare con la penna, converrebbe ricrearsene passeggiando. Che a Nostro Signore sia piaciuta la già mandata, io ne sono sicuro perchè egli conosce il buono, ed in quel componimento ve n'è pur assai, e questo in quanto a' versi. Io del mio collo miglioro lentamente, ed il male è di niuno momento, né vuole rimedio, e se io stessi in casa guardato dall'aria fresca credo che sarei già liberatone, ma io mi vezzeggio poco, non volendo ricordarmi che sono decrepito, e la robustezza mi fa inganno: solamente ho allentato il bere freddo, ed ho dato bando alla neve. Passo il tempo rivedendo mie ciancie: intorno a' versi ho fatto ciò che per me può farsi; ho preso in mano alcune prose, oltre a' discorsi costì recitali, e sono vite di alcuni cavalieri, e le adorno e liscio senz'alcuna mia fatica: ma ben mi tormenteranno a metterle in chiara scrittura, perchè il copiare mi annoia, e fammi danno: ma prenderò la fatica adagio. Tantto posso dire di me. Se poi la sanità me ne darà licenza, a' buoni tempi farò un salto fino a Firenze, ove molte cagioni, e di molte cose mi chiamano, ma se altro non odo, io stimo che il verno io lo farò in paese. E con questo faccio riverenza alle mie signore, e saluto tutti gli amici.

Di Savona.


al medesimo.


La lettera smarrita non conteneva altro che inchiostro, ma io la scrissi. Il signor Nicolò suo zio mi disse qui come il figliuoletto si era imbarcato: il tempo non mi pare reo, egli è però bene accompagnato: sarà in un baleno fra i sette colli, là dove, secondo me, per la sua età sia migliore stanza che la piazza dei banchi. Dio benedetto l'averà in guardia secondo sua bontà e nostre preghiere, nè si dee credere che, avendolo adornalo di singolare aspetto, lo voglia lasciare fra le comunali creature. A me molte faccende famigliari fanno forza e mi ritengono, e dovendo uscire di casa a quaresima, convienmi ordinarle. Di più estrema età mi consiglia a governarmi con ogni regola, per avere vigore di viaggiare. E veramente la vecchiezza fino a qui hammi minacciato, ma ornai ella mi percote, nè posso placarla, salvo con ubbidirle. Per altro affermo, che la stanza di Savona emmi un tormento, avvegnaché l'aria mi piaccia. Il ragionamento della Bellezza hollo in testa, ma non mai lo posi in carta, nè credo averò opportunità di porverlo. Ben dico che non sento l'abbandonamento dell'Accademia, ma esaminando i modi ed i negozj di cotesta città, parmi maraviglia ch'ella sia durata cotanto. Tuttavia quanto le imprese sono più malagevoli, più ci danno loda quando si conducono bene. Altro non dirò, salvo che pregherò che faccia scusa mia con celeste signore, se al loro primo cenno non ubbidisco, e non voglino per niente argomentare da questa disubbidienza, ritrosia d'animo in me verso i loro comandamenti. Anzi conchiudano e dicano: è impossibile ch’egli possa venire, poich’egli non viene chiamato da noi. Mi chiamino almeno a’ loro conviti carnovaleschi, ma col bicchiere in mano: io ingannerommi col pensiero, e sarò tra loro invisibilmente, e con lo spirito gioirò. E con questo prego loro ogni contentezza.

Di Savona, lì 24 gennajo, 1632.


al medesimo.


Mi dice Francesco che V. S. non ha buona sanità, pur la sua lettera mi conferma essersi purgata: io ne patisco, ma il mondo, del quale ho grandissima esperienza, mi fa chiaro che i guai sono i nostri avanzi, non pertanto io stimo che V. S. non abbia mestiere di medici. Ma io vorrei con salda deliberazione ordinare il mio vivere: mangiar solo per fuggire le tentazioni, e mangiar poco e buono, e compartirò le vivande con desinare e con cenare, bere poco e non freddo, vino piccolo, maturo e non dolce; tra pasto farsi senza bocca, ed in questo tenore ostinarsi per mesi, nè dobbiamo sperare di abbattere il male in un momento. Io spererei con questa norma di vivere racquistare il vigore, che i quarantanni non deono perdere. Tuttavia molti dicono: un buon boccone ed un grido. Ogn'uno l’intenda a suo modo: V. S. dee essere con me, perciocché i suoi pari stanno bene al mondo, ed egli non nuoce alla sua famiglia. Di me dirò maraviglie: sono robusto, bevo freddo, mi pasco d’una buona minestra, e mi ricreo con varie frutta, riordino mie poesie, e tutte le liriche ho riordinate, e così fatte, stamperolle, se in Genova troverò mai stampe, se non, altrove, ovvero gli amici dopo me ne faranno la lor volontà. Sono in-