Alcune lettere familiari/A N. N.

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Alcune lettere familiari A Pier Giuseppe Giustiniani
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a n. n.1


I popoli della Grecia per li tempi antichi, abitando in varie regioni, favellavano variamente; onde appellassi uno idioma attico, altro dorico, ed litro jonico, ed altro colico. Ciascuno di questi ebbe molti scrittori e di chiara fama: tal cosa non intervenne all’Italia anticamente, perché altra scrittura non si usò, nè a noi è trapassata, salvo romana. Dopo ammutolitasi la lingua latina, in Italia sorsero molti linguaggi per la lunga dimora che vi fecero popoli barbari, ma niuno ebbe pregio, se non fu il fiorentino; e per lunga stagione e prose e versi solamente fiorentinamente si dettarono. Ben leggesi presso Dante in una scrittura, ch’egli latinamente compose, ed appellolla De vulgari eloquentia, che sua opinione era che d’ogni lingua d’Italia si facesse.quasi una messe, stimando cosi doversi più arricchire ed ornare la favella, ma non veggiamo essersi abbracciata sì fatta opinione; e però fiorentinamente hanno gli uomini distesi i loro componimenti. A’ nostri giorni sorsero in Padova ed in Vicenza spiriti vivaci e leggiadri, i quali poetarono sotto nome di Begotto e di Mennone in favella vicentina e padovana di contado; e la loro eccellenza ha tratti uomini di senno a leggerli di buon grado. Ora vive uomo genovese, che a ´abbra [p. 388 modifica]nome chiamasi Gian Jacopo Cavalli2, ed egli ha composto in volgare di Genova sonetti e canzoni, rappresentando amori di pescatori e di personaggi plebei; ma per salda verità altro non deono stimarsi che plebee poesie. Egli tra le le Muse potuto porre una lingua in pregio, la quale fra popoli era quasi in vilipendio, e per ischerzo ha rappresentate passioni di gente vile in favella disprezzata, per modo che meglio non si è fatto da poeti chiari di buon senno in idiomi nobili; ed io non mi vergogno punto d'affermarle. Veramente alcuna volta Omero poetò quasi andando a diporto per lo Parnaso, e prese a dire le mortali battaglie che si diedero una volta i topi con esso i ranocchi; e quivi fu Omero senza fallo, ma egli non diede gloria al volgare greco, già celebrato per ogni parte, solamente innalzò materia bassa con sua gran maestria. Gian Jacopo Cavalli, imitando gravi passioni di minuta gente ha rischiarata la favella non conosciuta, e fa forza agli stranieri di apprenderla per godere di cosa riputata non possibile ad avvenire; ed altri rimane con maraviglia recandosi in mano componimenti presi a leggere con intendimento di ridere solamente. Dunque se la favella è opera propria dell'uomo, il Cavalli, con onorare l'idioma genovese ha fatto onore alla sua nazione in cosa, onde gli abitatori delle nostre riviere non rimanevano senza vergogna, adoperandola malamente. Per certo il ciò fare è stata nuova e strana vaghezza; ma la Liguria produce uomini Trovatori, e trovatori di cose non immaginate e appena credute.

Note

  1. Non è noto a chi sia diretta questa Lettera, che porta la data da Savona de' 10 Settembre 1630, e trovasi ristampata tra le illustrazioni alle Lettere del Chiabrera al Giustiniani, pubblicata dal P. Porrata in Bologna nel 1762, in 4º, e ristampate in Genova, 1829, in 8°.
  2. Furono stampate le sue Poesie in Genova dal Franchelli nel 1745 per cura del P. Priani della Madre di Dio sotto nome di Drusino Cisseo; e così pure modernamente in Genova, 1823, in 8°.