Ai venerabili parrochi dioc. S.Miniato
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Ai Venerabili Parrochi e Clero della Diocesi di Samminiato salute nel Signore, e la nostra Pastorale Benedizione.
Fratelli e Figli Dilettissimi, nel corso omai compiuto della nostra prima Pastorale Visitazione, nella quale procurammo di ricercare con tutta la sollecitudine quale lo stato si fosse dei Pastori, e quale delle pecorelle, se dovemmo in generate consolarci, e confermarci nella vantaggiosa idea, che nonostante gli sforzi dei seguaci di Belial, veri figli di perdizione, nonostante le mene dei Settarj, che travagliano senza posa all’opera infanda dell’abbattimento dell’Altare e del Trono, la Fede, prezioso dono del cielo, spiega tuttora il suo vessillo per le nostre contrade, e sempre alberga nei petti dei nostri amatissimi Diocesani; pure siamo costretti a confessare essere la nostra consolazione intorbidata al vedere, che alla Fede mal corrispondano le opere, che molti si chiamino paghi di alcune pratiche esteriori di Religione, dell’esercizio superficiale di qualche virtù, ma frattanto vivano a seconda delle loro passioni, e per le tortuose vie del vizio s’incamminano verso il precipizio estremo. Deh! Venerabili fratelli, nostri collaboratori nell’opera del Ministero Santo, a noi per certo s’appartiene porre un’argine al torrente delle umane prevaricazioni, a noi sentinelle poste dalla Divina Provvidenza alla custodia della Casa del Signore aspetta l'officio di levare alto la voce, di avvertire del periglio imminente, di richiamare i traviati sul retto sentiero; a noi Pastori della mistica greggia è stato affidato l’onere non pure di guardare le rispettive pecorelle dalle insidie dei lupi, dai pascoli insalubri, o di veleno cospersi, e dalle ingorde fauci dell’infernale leone, ma altresì di conoscerne il numero, le sembianze, le qualità, lo stato di salute, di rimuoverne i contatti contagiosi, di correre dietro alle traviate, di levarsi sul collo le inferme, di additare e porgere a tutte nutrimento salubre e conveniente.
Voi certo, o VV. FF., non siete già di quei pastori che da Dio vengono designati col turpe titolo di mercenarj, avidi unicamente di ritrarre dalla greggia un’emolumento temporale, non siete nò di quei pastori intenti solo a pascolare se stessi, ma siete, la Dio mercè, penetrati egualmente che Noi dal dovere pressantissimo che v’incombe, di rivolgere a profitto della greggia affidatavi tutte le fatiche, i sudori, le sollecitudini proprie del Pastoral Ministero; Voi certo tremate insiem con Noi all’idea del periglio, che sovrasta a tante anime alle nostre paterne cure commesse, e vi duole di vederle o ritrose, o sorde alle voci del vostro zelo, agli inviti, agli stimoli della vostra carità; non vogliate per questo disanimarvi, non vogliate desistere dall’opera; l’industre colono è prodigo delle sue fatiche al terreno che gli è stato affidato, vi travaglia con assiduità, lo irriga col suo sudore, vi sparge eletta sementa, e per il volgere di più lune ne aspetta con pazienza il frutto; Voi pure, VV.FF., non vi stancate dal prodigare le vostre cure alla conversione, al maggior profitto, alla salute delle anime, per le quali il Redentore Divino ha dato il Sangue e la Vita; se esse allucinate dal fascino delle passioni non scorgono il lor vero bene, se ritenute dall’amore delle cose presenti oppongano nuovi ostacoli al loro ravvedimento, non vogliate ritrarvi dal correggere con ogni pazienza e dottrina; al crescere delle difficoltà crescano l’industrie del vostro zelo, ed in tal maniera il terreno di questa nostra Diocesi, che il prezioso germe della Fede tuttora in se ritiene, campa fecondo d’eletti frutti, come non ha guari si esprimeva il Supremo Gerarca della Chiesa nel percorrere le liete contrade della Toscana, acclamato, e benedetto dai Popoli, sui quali implorava la copia delle Celesti Benedizioni.
Fù in tale occasione, o VV.FF., che il Vicario in terra di Gesù Cristo, l’immortal PIO NONO inculcava col più vivo impegno la intera osservanza della Disciplina Ecclesiastica; raccomandava che i Vescovi, stretti in bella unione fra loro, insistessero nel rammentare ciascuno al proprio Clero la suprema obbligazione, che stringe ad osservarla interamente.
Per corrispondere pertanto ad un voto sì giusto di chi ci è Maestro, Padre, e Guida infallibile, ci crediamo in dovere non pure di raccomandare con quell’impegno, che per Noi si può il maggiore, l’osservanza della enunciata Disciplina Ecclesiastica, ma di rinnuovare altresì, ed ingiungere le seguenti Regole Disciplinari, in coerenza delle specialissime istruzioni dall’Oracolo Supremo emesse mentre l’Episcopato Toscano facevagli bella corona.
I. In tutti i giorni festivi designati dal nostro Sinodo, dovrà farsi dai Parrochi in modo veramente adattato all’intelligenza, ed al maggior profitto dei Popoli la Spiegazione Evangelica; nè questa potrà omettersi qualora si celebri o nella propria Chiesa, o in quelle limitrofe qualche Festività. E per quello riguarda i Turni, è nostra indeclinabile intenzione, che debba starsi rigorosamente a quanto viene prescritto dal Sinodo Cap. 39. Art. 14: De Parochis etc. come viene anche rammentato e prescritto dalla Circolare dell’immediato nostro Predecessore Monsignor Torello Pierazzi, del 12 Ottobre 1840. Ed affinché cotal Legge non venga ad eludersi, intendiamo, che dove sono obbligate due Messe, non si possa o dal Parroco, o dal Cappellano lasciare nei predetti giorni di celebrare nella Chiesa propria, col pretesto che basti in essa una sola Messa, quando corrono le Feste cui si è dato il titolo di Turno; ma vogliamo che ambedue dette Messe debbano celebrarsi dove sono obbligate.
II. E siccome dove sono stabilmente due Messe, buona parte della Popolazione, non intervenendo alla Messa Parrocchiale, resterebbe priva del pascolo della divina parola, mezzo tanto importante per la istruzione Religiosa, perciò vogliamo rinnuovato, in quanto occorra, il prescritto del precitato nostro Antecessore Monsignor Pierazzi nella predetta Circolore del 12 Ottobre 1840, dove ad ogni Cappellano o Uffiziante è ingiunto l’obbligo di leggere una Spiegazione Evangelica nei giorni Festivi, (salve lo eccezioni contenute nella enunciata Circolare in riguardo di alcune Chiese) servendosi a tal’uopo di qualche Autore veramente accreditato da concertarsi col Parroco; della quale Spiegazione Evangelica, vogliamo egualmente che sia mantenuto in vigore il sistema già prescritto per quegli Oratorj Pubblici, nei quali venga stabilmente nei dì Festivi celebrata, la santa Messa; fermo stante negli stessi Oratorj anco l’insegnamento della Dottrina Cristiana.
III. Tutti i Pastori di anime dovranno impreteribilmente fare nei giorni festivi le Istruzioni catechistiche; le quali ognun vede essere della somma importanza, affinchè i Popoli vengano ammaestrati in modo da poter conoscere, e praticare quanto alla Dottrina Cristiana appartiene, ed all’occorrenza render cagione della lor Fede: al qual proposito intendiamo rinnovellata l’ingiunzione, che ne faceva con apposita Circolare il prelodato Monsignor Pierazzi.
IV. Per ciò che riguarda poi le Conferenze prescritte per la soluzione dei Casi di coscenza, siamo costretti a dichiarare essere l’animo nostro non lievemente addolorato per essere tornate inutili, almeno in varj Luoghi della nostra Diocesi, le esortazioni, e le ingiunzioni da Noi a tal’uopo fatte più volte; e non potendo permettere che si tralasci una pratica di tanta utilità, intendiamo rinnovare l'ingiunzione con tanto rigore, che ne resti responsabile davanti a Dio la coscenza di tutti quelli che tenuti sono alle dette Conferenze.
V. Se una Comunione fatta colle debite disposizioni è atta a santificare un’anima: e se al contrario si trangugia, al dire dell’Apostolo, la propria condanna chi reo di colpa grave scientemente osa cibarsi delle Carni Sacrosante dell’Agnello Divino, chiaro si scorge quanto sia necessario per ogni Sacerdote che provi se stesso prima della celebrazione dei Santi Misteri, per vedere se monda almeno da grave reato abbia la coscenza, onde non trovi la morte ove si appresta il pascolo della vita: anzi siccome purissimi esser devono i Ministri dell’Altare, perciò Noi esortiamo nel Signore tutti i Sacerdoti a presentarsi almeno una volta per settimana al Sacro Tribunale di Penitenza, come saviamente insinua il nostro Sinodo, per ivi maggiormente mondarsi in quel Lavacro Salutare; ed ingiungiamo ai medesimi di fare la preparazione, ed il dovuto rendimento di grazie; di schivàre gli inutili discorsi nelle Sagrestìe, specialmente allorchè vestiti sono dei sacri paramenti; di recarsi all’Altare con edificante compostezza, e modestia; di osservare esattamente le prescritte Ceremonie, compiendole con tutta la gravità e decoro, affinchè concilino reverenza, e divozione, e spieghino la dignità ineffabile del Sacrifizio Augusto: il che non si potrà ottenere, quando non si impieghi nella celebrazione della santa Messa almeno la terza parte di un’ora, giusta il sentimento dei Teologi, e dei Rubricisti, sentimento approvato anche dall’Oracolo della Sacra Congregazione dei Riti, al quale certo cercherà di uniformarsi chiunque non ami d’incorrere nella maledizione fulminata da Dio con quelle formidabili parole maledictus homo, qui facit opus Dei negligenter. E quì non sarà fuor di proposito, per chi non ne serbasse memoria, riportare anche il sentimento di S. Alfonso dei Liguori, il quale prova che fassi reo di grave colpa quel Sacerdote, che celebri la S. Messa nello spazio minore d’un quarto d’ora.
VI. Ma per ordinario la poca divozione nel celebrare i Santi Misteri ha origine dal non applicarsi alla Santa Meditazione, come dalla mancanza di questa deriva quella vita tiepida, piena di imperfezioni, quale si è quella di varj Ecclesiastici, i quali non provano rossore di essere inferiori nella virtù a non pochi laici; laonde Noi facciamo a tutti gli individui componenti il Clero della nostra Diocesi la santa ammonizione di attendere in qualche ora del giorno, e meglio sarebbe la mattina, all'esercizio della S. Meditazione, memori della Sentenza del Venerabile Giovanni d’Avila non essere, cioè, assolutamente pel Sacerdozio, chi non è uomo d’orazione.
VII. Ingiungiamo inoltre, che nelle Parrocchîe, nelle quali trovansi più Ecclesiastici, non manchino questi di accedere alle medesime quando vi si celebrano le Sacre funzioni, onde i laici mossi anco dal Loro esempio apprendano pietà, e vi si rechino con maggior diligenza.
VIII. Dovendo poi ogni Ecclesiastico essere al sommo geloso di custodire quell’angelica virtù, vogliam dire la castità, alla quale si è astretto con indissolubil voto, rammentiamo ad ognuno l’obbligo, che lo stringe di fuggire la familiarità con persone di diverso sesso, dalle quali, al dire dello Spirito Santo, procede la iniquità dell’uomo, in quella guisa che dalla vestimenta si genera la tignuola: e poichè su quel punto le cautele non saranno mai soverchie, Noi facciamo proibizione agli Ecclesiastici, di fare in qualsivoglia modo lezione a persone di diverso sesso senza espressa Nostra licenza; e per ciò che riguarda le persone di servizio, vogliamo che si osservino alla lettera le prestazioni del nostro Sinodo Diocesano. Cap. 27. parag. 25 De vita et moribus Clericorum.
IX. Facciamo divieto a tutti gli Ecclesiastici di frequentare i Caffè, e le Taverne (meno il caso di necessità, trovandosi in viaggio), e d’intervenire ai Teatri, ed ai pubblici spettacoli: come pure di fare uso di Tabacco in fumo nei luoghi pubblici, e dove in qualche modo possa darsi ammirazione.
X. Per quello che riguarda il vestiario degli Ecclesiastici, vogliamo espressamente, che si osservino, e si tengano per inviolabili le Disposizioni di Monsignor Pietro Fazzi del 12 Maggio 1828, come pure quelle prescritte da Monsignor Torello Pierazzi colla Circolare del 16 Luglio 1841, nella quale, come può vedersi, si richiamano in pieno vigore anche le sopraccennate di Monsignor Fazzi, ed affinchè per avventura da niuno possa addursi il pretesto di non aver mezzo, onde conoscere dette Disposizioni, abbiamo pensato di riprodurle nel loro contesto coma appresso
«1. Che nessun Giovane ammesso all’abito Ecclesiastico, ne sia vestito dal Parroco incaricato, se non per mezzo della Toga.
»2. Procurino i Parrochi, che essi Cherici non intervengano alle Funzioni Ecclesiastiche di qualunque genere, se di Toga non sono vestiti.
»3. Viene raccomandato ed ingiunto a tutti coloro, che non hanno bisogno di fare diversamente per motivi di salute, che sia costantemente tenuto in pratica l’uso del Cappello triangolare: e quando il bisogno richiede diversamente, la forma posata giustificherà l’eccezione.
»4. Vengono pure richiamate in vigore le Disposizioni di Monsignor Pietro Fazzi de’ 12 Maggio 1828. per le quali «proibite le buffe, le corvatte, le attillature, e i calzoni lunghi, e le fogge studiate, e mondane, si ingiunge di non comparire mai in pubblico se non col collare, e con un’abito che sia di colore modesto, e grave, e tale nelle forme quale suole portarsi dalle persone culte nei luoghi di rispetto, escluse affatto le più recenti forme straniere, e le così dette cacciatore, o carniera tollerabili unicamente quando per una onesta ricreazione qualche volta si rechino nelle solitarie campagne per occuparsi di quel genere di caccia, che al disposto dei Sacri Canoni non contradica.»
»5. Per le medesime Disposizioni richiamate in vigore «si proibisce a tutti, singoli gli Ecclesiastici come sopra abitanti in qualunque luogo della Diocesi l’accostarsi al Sacro Altare, o qualunque altra Funzione da farsi in Chiesa, o fuori di Chiesa, alla quale siano direttamente chiamati, senza collare, senza cappello a tre punte, e senza veste talare, che nella Città, e nelle Collegiate dovrà essere assolutamente Toga, o Filippina (la quale per esser chiusa dietro, e ben lunga equivale alla Toga) e nelle campagne almeno almeno dovrà essere un abito di color nero, che per il taglio suo, e per lunghezza, che al tallone lo appressi, di veste talare in qualche modo il nome convenientemente conservi, ed escluda la mostruosità, che salta agli occhi di chicchessìa, quando si vede un Ministro del Santuario vestito dei sacri arredi, e di cotta con una veste sì breve, che neppure l’antico abito viatorio raggiunge, e lascia in dubbio se chi lo indossa dallo spasso ritorni, o si disponga per celebrare colla dovuta decenza le Funzioni del S. suo Ministero.»
»E fermo stante qualunque precedente regolamento, ordine, disposizione, e privilegio legittimamente concesso, per ottenere con tutta sicurezza l’intento di queste provide Disposizioni, è necessario che sia noto alli Cherici, e altri non Sacerdoti, che in qualunque caso di trasgressione, oltre ad essere volta per volta mortificati con una proporzionata pena ad arbitrio, saranno almeno per anni cinque rigettati dalla Ordinazione, e quanto ai Sacerdoti si procederà a punirne la disobbedienza con grave pena, che si porterà fino alla sospensione a divinis, quale intanto dichiariamo che ipso facto si incorra da tutti quei Sacerdoti, che dentro la Città, o nelle Chiese Collegiate celebrino la S. Messa, o assistano agli Uffizi divini senza la Toga, o la Filippina come sopra si è detto.
»6. A dichiarazione del precedente paragrafo si avverte non comprendersi infra le filippine considerate come equipollente della Toga, quelle vesti che sebbene tagliate a foggia di soprabito, sono artificiosamente cucite nella parte posteriore, o che presentano nella pistagna ossia bavero una esuberanza inconciliabile colla decenza quando vi si soprapponga la cotta, o che conservino il carattere di soprabito per la loro brevità.
»7. Viene altresì rigorosamente proibito il portare fedine, baffi, e altre fogge di acconciare la barba, e i capelli, che sono affatto aliene da quella Ecclesiastica semplicità, che forma, per osservazione di Bossuet, un carattere degno della vita cristiana.
»8. Sono pure proibite nel tempo di celebrare la S. Messa, e nelli Esercizi delle Sacre Funzioni qualunque, e nelle assistenze corali li stivali, le ghette, i calzinotti, e nelle Messe, e Funzioni anco i guanti benchè senza ditali, essendo queste fogge di recentissima introduzione contrarie in parte a quella educazione e a quella decenza, di cui il nostro Clero fino a questi ultimi giorni era stato un modello, e in parte contrari allo spirito, e forse anche alla lettera degli analoghi Decreti della Sacra Congregazione.»
XI. Proibiamo egualmente l’uso in qualunque tempo delle così dette Ciarpe; e vogliamo che si faccia uso delle fibbie alle scarpe.
XII. Ingiungiamo che in tutte le Chiesa Parrocchiali venga provveduto un Libro nel quale debbano essere con precisione notati tutti gli Oggetti Sacri, e gli Utensili fatti, e che col tratto del tempo si anderanno facendo, colle oblazioni dei Fedeli, o col danaro delle casse delle Congregazioni, o con quello degli avanzi delle feste, affinchè si evìti l’inconveniente non rare volte, anche senza colpa, avvenuto, che defonto il Parroco, gli Eredi di Lui si siano appropriati degli Oggetti, che dovevano rimanere alla Chiesa, per essere stati fatti coi mezzi sopra indicati.
XIII. Intendiamo finalmente, che in tutte queste cose riguardanti la disciplina, e la moralità degli Ecclesiastici debba esserne responsabile la coscenza dei Revdi. Parrochi, quali dopo aver fatte le debite avvertenze, non mancheranno di darne parte a Noi, che verremo, nel caso di bisogno, anche a misure coercitive.
Voglia il Signore spandere la copia delle celesti sue Benedizioni sopra di noi, e sopra i popoli alle nostre cure affidati; sopra di noi, affinchè in nessuna cosa venghiamo meno alla santità del carattere che ci distingue, alla grandezza, ed all’importanza delle funzioni del Santo Ministero; sopra i popoli a noi commessi, affinchè illuminati sui loro pericoli, si dieno solleciti ad una condotta di vita veramente cristiana, procurando di render viva colle opere quella Fede, alla quale hanno il bene di appartenere.
Dato in Sanminiato dal Nostro Palazzo Vescovile
Li 6 Decembre 1857.
FRANCESCO M.a VESC. di SANMINIATO