Agamennone (Eschilo)/Secondo canto intorno all'ara
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SECONDO CANTO INTORNO ALL’ARA
corifeo
335Deh, Giove signore, deh, Notte,
amica ministra di gesta preclare,
che sopra le mura di Troia
scagliasti una rete, ad avvolgerle,
sí che piú nessuno dei giovani,
340nessun degli adulti potesse
balzar dalle maglie del misero
destino che schiavi li stringe!
A Giove io mi prostro, che gli ospiti
protegge, che contro Alessandro
345da tempo già l’arco suo tese,
sicché né immatura, né sopra
le stelle sviata, nel vuoto
colpisse la freccia!
Strofe I
Come Giove colpisca
350posson dire: visibili
son le vestigia: essi il destino s’ebbero
ch’egli prescrisse. Dice alcun che i Superi
non curano degli uomini
la sorte, chi calpesti le intangibili
355cose sacre: ben empio è chi ciò reputa!
Nei discendenti vedilo
di quanti, oltre Giustizia,
superbamente, a Marte il dritto affidano,
sí che lor casa prospera
360oltremisura; e pur, misura è ottima.
Beni scevri d’ambascia
chi ha senno elegga. A chi superbo calcitra,
per abbattere il grande
altare di Giustizia, la ricchezza
365non offrirà salvezza.
Antistrofe I
Ma lui sospinge misera
fiducia, insopportabile
della sciagura consigliera e figlia.
Né scampo v’ha: la colpa brilla, rutila
370orrida luce: simile
a vile rame, se la sfreghi o mescoli,
negra al saggio ti pare. Come pargolo
segue un errante aligero;
sciagure immedicabili
375attira su la sua città; se supplica,
nessuno ode dei Superi
quest’uomo: anzi, chi vïola
le leggi di Giustizia,
ne purgano la terra. E tal fu Paride:
380degli Atridi alla reggia
venne; e macchiò la mensa ospite, il dí
che la donna rapí.
Strofe II
Lasciando ai cittadini suoi per retaggio il turbine
degli scudi e dell’aste, e dei navigli l’impeto,
385recando per sua dote ad Ilio lo sterminio,
audace oltre ogni audacia,
Elena a franco passo le porte valicò.
Molto, narrando il fatto, gl’indovini gemerono
della reggia: «Ahimè!, casa, ahimè!, casa, e voi, principi!
390Ahi!, talamo, e vestigia de l’amor che passò!
Vedi l’obbrobrio muto,
nella doglia acutissima
in disparte seduto.
Un’ombra d’oltre il pelago,
395bramata, i tetti regger sembrerà.
Delle statue la vista
bella, lo sposo attrista:
ché dove occhi non brillano
l’amore in bando va.
Antistrofe II
400E a far piú grave il lutto, surgon nei sogni immagini
che vana gioia arrecano: ben vana allor che un gaudio
di scorgere t’illudi, la parvenza dileguasi
dalle man’, rapidissima,
pei tramiti del sogno sovra penne leggere».
405Tale nei lari, tale nella reggia il cordoglio.
Ed altri puoi vederne anche piú miserevoli:
ché quanti dalla terra partian d’Ellade a schiere,
nelle lor case, duolo
che sopra i cuori aggravasi
410omai domina solo.
Ché il novero ciascun fa dei suoi cari
che mossero alla gesta;
ma riede or la funesta
urna, ma riede cenere
415d’uomini invece, ai lari.
Strofe III
Ed Ares, che coi morti i vivi permuta,
che la bilancia regge fra il cozzo delle cuspidi,
l’arsa ferale polvere
degli amici alle lagrime
420da Troia manda: manda, invece d’uomini,
colmi i lebèti di mortale cenere.
Piangono: e l’un che spento fu nella zuffa lodano,
l’altro che prode cadde nella mischia,
per la donna d’un altro. Cosí mormora
425talun sommessamente; e cruccio e biasimo
contro gli Atridi vindici
va serpendo nel popolo.
E intorno ai muri vinti, hanno altri fulgidi
eroi la tomba, nell’Iliaca terra;
430e il suol nemico i vincitori serra.
Antistrofe III
Se compagno ha rancor, grave è del popolo
la voce: e chi n’è fatto segno, ben paga il debito.
Onde or, cinta di tènebre,
del pensier mio l’ambascia
435attende nuovi orror’: ché non isfuggono
allo sguardo dei Numi quei che intridono
le man’ troppo nel sangue. E quanti ascesero
senza giustizia, poi che gli anni volgono,
le negre Erinni annientano con l’impeto
440di sorte avversa. Nulla può chi vegeta
nel buio: e troppo celebre
essere, è grave: il folgore
di Giove ognor minaccia. Oh!, lungi vivere
da invidia! Espugnar rocche io non vorrei,
445né, preso, viver servo i giorni miei.
Dalla città si levano clamori e grida confuse