Agamennone (Alfieri, 1946)/Atto quinto
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Clitennestra.
Agamennone... E gli occhi all’alma luce
non aprirá piú mai? Questa mia destra,
di casto amor, di fede a lui giá pegno,
per farsi or sta del suo morir ministra?...
Tanto io giurai? — Pur troppo, sí;... conviemmi
compier... Vadasi. — Il piede, il cor, la mano,
io tutta tremo: ahi lassa! or che promisi?...
Ahi vil! che imprendo? — Oh come in me il coraggio
tutto sparisce allo sparir d’Egisto!
Del mio delitto orribile sol veggo
l’atrocitade immensa: io sola veggio
la sanguinosa ombra d’Atride... Ahi vista! —
Delitti invan ti appongo: ah no, non ami
Cassandra tu: piú ch’io nol merto m’ami;
e sola me. Niuno hai delitto al mondo,
che di esser mio consorte. Atride, oh cielo!
tu dalle braccia di securo sonno,
a morte in braccio, per mia mano?... E dove
m’ascondo io poscia?... Oh tradimento! Pace
sperar poss’io piú mai?... qual vita orrenda
di rimorsi, e di lagrime, e di rabbia!...
come oserá di parricida sposa
al fianco infame, in sanguinoso letto,
e non tremar per se? — Dell’onta mia,
d’ogni mio danno orribile stromento,
lungi da me, ferro esecrabil, lungi.
Io perderò l’amante; in un la vita
io perderò: ma non per me svenato
cotanto eroe cadrá. Di Grecia onore,
d’Asia terror, vivi alla gloria; vivi
ai figli cari,... ed a miglior consorte. —
Ma, quai taciti passi?... in queste stanze
chi fra la notte viene?... Egisto?... Io sono
perduta, oimè!...
SCENA SECONDA
Egisto, Clitennestra.
Cliten. Egisto...
Egisto Che veggo? o donna, or quí, ti struggi in pianto?
Intempestivo è il pianto; è tardo; è vano:
caro costar ne può.
Cliten. Tu quí?... ma come?...
Misera me! che ti promisi? quale
consiglio iniquo?...
Egisto E tuo non fu il consiglio?
Amor tel dié, timor tel toglie. — Or via,
poiché pentita sei, piacemi; e lieto
io almen morrò del non saperti rea.
Io tel dicea che dura era l’impresa;
ma tu, fidando oltre il dovere in quello
che in te non hai viril coraggio, al colpo
tua imbelle man sceglier tu stessa osavi.
Or voglia il ciel, ch’anco il pensier del fallo
a favor delle tenebre ritorno,
inosservato, spero. Era pur forza,
ch’io t’annunziassi, io stesso, esser mia testa
giá consecrata irrevocabilmente
alla vendetta del tuo re...
Cliten. Che parli?
E donde il sai?
Egisto Più ch’ei non volle, Atride
del nostro amor giá intese; ed io giá n’ebbi
di non piú d’Argo muovermi il comando.
Al dí nascente a se davanti ei vuolmi:
ben vedi, a me tal parlamento è morte.
Ma, non temer, che ad incolpar me solo
ogni arte adoprerò.
Cliten. Che ascolto? Atride
tutto sa?
Egisto Troppo ei sa: ma piú sicuro,
miglior partito fia, s’io mi sottraggo
col morir tosto, al periglioso esame.
Salvo il tuo onor cosí; me scampo a un tempo
da morte infame. A darti ultimo avviso
di quanto segue; a darti ultimo addio
venni, e non piú... Vivi; ed intatta resti
teco la fama tua. Di me pietade
piú non ti prenda: io son felice assai,
se di mia man per te morir mi è dato.
Cliten. Egisto... oimè!... qual ribollir mi sento
furor nel petto, al parlar tuo!... Fia vero?...
Tua morte?
Egisto È più che certa...
Cliten. Ed io t’uccido!...
Egisto Te salva io vo’.
Cliten. ...Qual mi ti mena innanzi,
qual furia empia d’Averno ai passi tuoi
è scorta, o Egisto? Io di dolor moriva,
innocente moriva: or, mal mio grado,
di nuovo giá spinta al delitto orrendo
son dal tuo aspetto... Oh ciel!... tutte m’invade
le fibre e l’ossa incognito un tremore...
e fia pur ver; null’altro a far ne resta?...
Ma chi svelava il nostro amor?
Egisto Chi ardisce
di te parlar, se non Elettra, al padre?
Chi, se non ella, al re nomarti? Il ferro
t’immerge in sen l’empia tua figlia; e torre
ti vuol l’onor pria della vita.
Cliten. E deggio
credere?... oimè...
Egisto Credi al mio brando dunque,
se a me non credi. Almen, che in tempo io pera...
Cliten. Oh ciel! che fai? Riponi il brando. Io ’l voglio. —
Oh fera notte!... Ascolta... Atride in mente,
forse non ha...
Egisto Che forse?... Atride offeso,
Atride re, nella superba mente
altro or non volge, che vendetta e sangue.
Certa è la morte mia, dubbia la tua:
ma, se a vita ei ti serba, a qual, tu il pensa.
E s’io fui visto entrar quí solo, e in ora
sí tarda... Oimè! che di terrore io fremo
per te. L’aurora in breve sorge a trarti
dal dubbio fero: io non l’attendo: ho fermo
di pria morir... — Per sempre... addio.
Cliten. T’arresta...
No, non morrai.
Egisto Non d’altra man, per certo,
che di mia mano: — o della tua, se il vuoi.
Deh! vibra il colpo tu; svenami; innanzi
al severo tuo giudice me traggi
semivivo, spirante: alta discolpa
Cliten. Che parli?... ahi lassa!...
Misera me!... che a perder t’abbia?...
Egisto Or quale,
qual destra hai tu, che a trucidar non basti
né chi piú t’ama, né chi piú ti abborre?
La mia supplir de’ dunque...
Cliten. Ah!... no...
Egisto Vuoi spento
Atride, o me?
Cliten. Qual scelta!...
Egisto E dei pur scerre.
Cliten. Io dar morte?...
Egisto O riceverla: e vedermi
pria di te trucidato.
Cliten. ...Ah, che pur troppo
necessario è il delitto!
Egisto E stringe il tempo.
Cliten. Ma,... la forza,... l’ardire?...
Egisto Ardire, forza,
tutto, amor ti dará.
Cliten. Con man tremante
io... nel... marito... il ferro...
Egisto In cor del crudo
trucidator della tua figlia i colpi
addoppierai con man sicura.
Cliten. ...Io... lungi
da me... scagliava... il ferro...
Egisto Eccoti un ferro,
e di ben altra tempra: ancor rappreso
vi sta dei figli di Tieste il sangue:
a forbirlo nel sangue empio d’Atréo
non indugiar; va, corri: istanti brevi
ti avanzan; va. Se mal tu assesti il colpo,
o se pur mai pria ten pentissi, o donna,
non volger piú ver queste stanze il piede:
me dentro un mar di sangue troveresti.
Va, non tremare, ardisci, entra, lo svena. —
SCENA TERZA
Egisto, Agamennone dentro.
esci, or n’è tempo: in questa reggia or mostra
la orribil ombra tua. Largo convito,
godi, or di sangue a te si appresta: al figlio
del tuo infame nemico ignudo pende
giá giá l’acciar sul cor; giá giá si vibra:
perfida moglie il vibra: ella, non io,
ciò far dovea: di tanto a te piú dolce
fia la vendetta, quanto è piú il delitto...
meco l’orecchio attentamente porgi;
né dubitar, ch’ella nol compia: amore,
sdegno, e timore, al necessario fallo
menan la iniqua donna. —
Agam. Oh tradimento!
Tu, sposa?... Oh cielo!... Io moro... Oh tradimento!...
Egisto Muori, sí, muori. E tu raddoppia, o donna,
raddoppia i colpi; entro al suo cor nascondi
il pugnal tutto: di quell’empio il sangue
tutto spandi: bagnar voleasi il crudo
nel sangue nostro.
SCENA QUARTA
Clitennestra, Egisto.
Egisto Spento hai l’iniquo: al fin di me sei degna.
Cliten. ...Gronda il pugnal di sangue;... e mani, e veste,
di questo sangue farassi!... giá veggo,
giá al sen mi veggo questo istesso ferro
ritorcer,... da qual mano!... Agghiaccio..., fremo,...
vacillo... Oimè!... forza mi manca,... e voce,...
e lena... Ove son io?... che feci?... Ahi lassa!...
Egisto Giá di funeste grida intorno suona
la reggia tutta: or, quant’io son, mostrarmi
è tempo: or tempo è di raccorre il frutto
del mio lungo soffrire. Io corro...
SCENA QUINTA
Elettra, Egisto, Clitennestra.
vile assassin del padre mio, ti avanza
da uccider me... Che miro? oh ciel!... la madre?...
Iniqua donna, in man tu il ferro tieni?
Tu il parricidio festi? oh vista!
Egisto Taci.
Sgombrami il passo; io tosto riedo; trema:
or d’Argo il re son io. Ma troppo importa,
piú assai ch’Elettra, il trucidare Oreste.
SCENA SESTA
Clitennestra, Elettra.
Elet. Dammi, dammi quel ferro.
Cliten. Egisto!... Arresta...
Svenarmi il figlio? Ucciderai me pria.
SCENA SETTIMA
Elettra.
quel mio pensier di por pria in salvo Oreste. —
Vil traditor, nol troverai. — Deh! vivi,
Oreste, vivi: alla tua destra adulta
quest’empio ferro io serbo. In Argo un giorno,
spero, verrai vendicator del padre.