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320 agamennone
giá non ti torni a danno! Io quí di furto

a favor delle tenebre ritorno,
inosservato, spero. Era pur forza,
ch’io t’annunziassi, io stesso, esser mia testa
giá consecrata irrevocabilmente
alla vendetta del tuo re...
Cliten.   Che parli?
E donde il sai?
Egisto   Più ch’ei non volle, Atride
del nostro amor giá intese; ed io giá n’ebbi
di non piú d’Argo muovermi il comando.
Al dí nascente a se davanti ei vuolmi:
ben vedi, a me tal parlamento è morte.
Ma, non temer, che ad incolpar me solo
ogni arte adoprerò.
Cliten.   Che ascolto? Atride
tutto sa?
Egisto   Troppo ei sa: ma piú sicuro,
miglior partito fia, s’io mi sottraggo
col morir tosto, al periglioso esame.
Salvo il tuo onor cosí; me scampo a un tempo
da morte infame. A darti ultimo avviso
di quanto segue; a darti ultimo addio
venni, e non piú... Vivi; ed intatta resti
teco la fama tua. Di me pietade
piú non ti prenda: io son felice assai,
se di mia man per te morir mi è dato.
Cliten. Egisto... oimè!... qual ribollir mi sento
furor nel petto, al parlar tuo!... Fia vero?...
Tua morte?
Egisto   È più che certa...
Cliten.   Ed io t’uccido!...
Egisto Te salva io vo’.
Cliten.   ...Qual mi ti mena innanzi,
qual furia empia d’Averno ai passi tuoi
è scorta, o Egisto? Io di dolor moriva,