Adone/Nota al testo/14. Criteri di trascrizione
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14. - Criteri di trascrizione
Qualche parola, ora, sui criteri seguiti nella trascrizione del testo. Il ragionato desiderio d’una non indiscreta conservazione ci ha guidati sul terreno spinoso dell’interpunzione secentesca non meno che nella sodaglia delle grafie e nelle sabbie mobili delle insorgenze araldiche o metamorfiche connesse alle fittissime maiuscole iniziali. Si tratta non d’inchinarsi a una superstizione di fedeltá anche nelle minuzie o in quella ch’è comunemente ritenuta « terra di nessuno », sibbene di riconoscere due cose: primo, che un libro barocco è un libro barocco (il che sarebbe lapalissiano, non fosse che molti si ostinano a sollecitarne risposte privilegiando i livelli espressivo e/o informativo); secondo (ma è un corollario), che per cultura e sensibilitá immediata noi siamo estranei a quel mondo remoto, al suo gestire, come lo saremmo a un continente scomparso (la gran querelle novecentesca sul barocco non ne è che la prova per assurdo).
Due cose si possono fare, in merito: prenderne atto e risolutamente passare oltre o assumere un atteggiamento di cauta auscultazione, che può richiedere, in via preliminare, una qualche sospensione di giudizio e il controllo degli strumenti: nella fattispecie, di quei modi d’approccio generoso, di quei procedimenti di lettura ricevuti, e fattisi in noi quasi una seconda natura, per cui d’acchito un verso come, mettiamo, quello del Dottori, che tanto piaceva al Croce: Piango le cose umanamente amate, pare di fatto che sommuova i centri stessi della nostra sensibilitá profonda, e un altro verso, quello petrarchesco, mettiamo: noiosa, inexorabile, et superba, passa semplicemente inosservato (non però a Gianfranco Contini: il quale annota proprio per quel verso che « per trovargli una degna e compatta discendenza temo che bisogni saltare fino a Marino, fino ai versi su tre accenti dell’ Adone » [ Preliminari sulla lingua del Petrarca, 1964, XXXI]). Da piú segni è ora lecito avvisare che le cose negli ultimi tempi sono andate cambiando, l’ondata strutturalistica e neoformalistica nel ritirarsi ha lasciato un adeguamento del gusto di lettori e studiosi a quello artistico e letterario piú avanzato, singolarmente incline a un incontro col barocco sul suo stesso terreno. Si pensi a quanto è avvenuto nella filologia musicale: fino a ieri l’editore di musiche barocche non teneva alcun conto del timbro esatto, della potenza specifica, delle attitudini degli strumenti originari, parecchi disusati o tramutati, i materiali non piú quelli, cangiate le tecniche di fabbricazione, tutto diverso il tirocinio musicale (a non dire di quello sociale ed umano) degli esecutori che di quelli strumenti si valgono.
Basandoci su queste considerazioni, abbiamo mirato, nella presente edizione áe;YAdone, a un equilibrio sensibile fra quanto — in potenza — è contenuto nel sistema di notazione originario e quanto— in pratica — le nostre apparecchiature mentali sono disposte a recepire. Ciò comporta un margine, che ci si è sforzati di mantenere discreto, di arbitrio editoriale; come potrebbe essere nel trapasso (per restare alla metafora musicologica) dallo stadio dell’ispezione erudita a quello dell’impatto esecutivo con un pubblico specifico in un ambiente acustico particolare (corrispondente, nel nostro caso, alle tradizionali caratteristiche degli « Scrittori d’Italia »).
Il testo che qui si offre è dunque, in materia di interpunzione e di caratteristiche grafiche, tangibilmente conservativo; ma l’eventuale studioso dell’arte di puntar gli scritti non potrebbe certo giovarsene come d’un documento integro, né troverá notizia degli interventi singoli sui segni originari. Ogni cura abbiamo adibito alla conservazione del ductus mariniano, nella sua struttura complessa e contrappuntata, scrupolosamente rispettata fin dove fosse possibile senza che ne nascessero ambiguitá non macchinate dall’Autore.
Su questa base, si è mirato a contenere gli interventi in una misura sistematica: i due punti sono generalmente sostituiti a un punto fermo dell’originale quando sia parso utile sottolineare l’unitá, anche logica, di un periodo strofico; o sono disposti nel luogo d’una originaria virgola quando si trattasse di rallentare o appena sostenere un ritmo, agli occhi del lettore moderno (quello barocco era avvezzo a ben diversamente barcamenarsi nei meandri dell’interpunzione), troppo precipitoso o slombato. Tuttavia, considerato che l’uso dei due punti è nell’originale rarissimo, il lettore curioso dell’ars punctandi potrá esau dire le sue curiositá, una volta che gli sia stato fornito esatto regesto dei luoghi in cui tale segno, nell’originale, ricorre:
I 102, 2; III 93, 7; IV 124, 6; VI 105, 4; VII 224, 6; Vili 129, 6; XI 124, 7; 129, 2; XIII 254, 7; 263, 5; XIV 42, 6; 175, 7; XVII 166, 7; XIX 105, 8 [tutti in fine di verso].
(Da notare l’ultimo caso [XIX 105, 8] dove i due punti sono segnati alla fine di un discorso diretto, prima del canonico disse, che apre la strofa successiva).
Per completezza di informazione si aggiunga che V — che non sempre rispetta i casi su registrati — segna inoltre due punti ai luoghi seguenti :
III 48, 2; IV 76, 4; 77, 4-5; 90, 6; 273, 2; VII 209, 6.
Nel caso del punto esclamativo, l’elenco è ancor piú ridotto:
III 122, 1; XIII 117, 2; XV 68, 4; 197, 8.
(Si aggiunga XI 94, 8, dove equivale all’interrogativo, e XIX 160, 2; 415, 7, dove allude a quel tono fra esclamativo e interrogativo che spesso i moderni indicano col doppio segno ?!). Parchi ci siamo mantenuti anche noi, nella trascrizione, di esclamativi; unico intervento da segnalare, quello a II 30, 5 [Giá giá vacilla! e per cader vien meno] dove l’originale segna virgola, fortemente appoggiata alla cesura.
La virgola è nell’originale quasi costante davanti ad e, che, o; quasi sempre assente, di contro all’uso nostro, di fronte al vocativo. Si ricordi che il segno interpuntivo ha funzione, oltre e prima che logica, nel Marino, prosodica e che contribuisce alla scansione del verso in moduli volta a volta binari, ternari, quaternari, di ovvia ascendenza petrarchesca. L’uso prevalente degli editori moderni, di una indiscriminata soppressione dei segni che non abbiano funzione logica, sarebbe vantaggiosamente sostituito da un criterio secondo il quale un segno interpuntivo dell’originale potesse venir eliminato solo quando fosse privo, non solo di funzione logica, ma anche di valore ritmico-strutturale.
Basterebbe, in fondo, non discostarsi dall’insegnamento del Contini nell’occasione del Petrarca volgare: «impossibilitá di perfetta sovrap