Adone/Nota al testo/1. La storia dell'Adone e le prime edizioni
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i. - La storia dell’« Adone » e le prime edizioni
È acquisizione critica fresca, ma definitiva, che la storia dell’Adone non coincida affatto con quella della pigra progressiva crescita di un poemetto di qualche centinaio di ottave, inequivocabilmente tardorinascimentale, a mostruoso poema (il piú lungo, si favoleggia, delle nostre lettere) dalle spropositate proporzioni barocche: un corpaccione materiale e decorativo, assolutamente illeggibile, e noiosissimo, se anche con qualche avara sacca letterariamente pregevole e dunque passata in proverbio, sopra uno scheletruzzo ch’è poi la storia, nota da Ovidio e dai suoi imitatori innumerevoli, degli amori di Adone con Venere, del bel giovinetto con la bella dea, e della morte violenta di lui, per zanna di cinghiale. Corollario critico, in veritá inevitabile, di una simile prospettiva è stata la tradizionale messa ai margini del « poema grande >> (la definizione è del Marino) nel quadro della attivitá letteraria mariniana stessa, a vantaggio ora della produzione lirica, ora di quella idillica (la Sampogna), se non della eccezionale parentesi prosastica delle Dicerie sacre. Significativo che, nei presenti « Scrittori d’Italia » laterziani, l’Adone non coronasse, a suo tempo, lo splendido abbrivio dei Lirici Marinisti (1910, n. 1 della collezione) e delle Poesie varie del Marino (1913) a cura di Benedetto Croce.
Sicché l’unica edizione integrale e a suo modo critica del poema fatta nel nostro secolo, è rimasta quella curata da G. Balsamo-Crivelli nel 1922 (Torino, Paravia) ; finché l’uscita quasi contemporanea della presente edizione e di quella, riccamente munita, curata per i « Classici Italiani » Mondadori da una équipe diretta dal p. Giovanni Pozzi vengono a segnare — sullo scorcio dei nostri anni Settanta — una non neutrale ripresa di interesse per questo classico negativo.
I compiti dell’editore dell’Adone paiono per certi rispetti dei meno disputabili. Perduti anzi distrutti i manoscritti mariniani in una eru zione vesuviana che non dovrebbe dispiacere ai curiosi di nemesi storiche, sono da prendere in considerazione due edizioni del poema, fatte vivente e consenziente l’Autore: quella di Parigi (P) e quella di Venezia (V) entrambe del 1623.
Eccone i rispettivi frontespizi:
L’ADONE, / POEMA / DEL CAVALIER / MARINO. / ALLA MAESTÀ CHRISTIANISSIMA / DI LODOVICO IL DECIMOTERZO, / Rè di Francia, & di Nauarra. / CON GLI ARGOMENTI / DEL CONTE FORTUNIANO SANVITALE, / ET L’ALLEGORIE / DI DON LORENZO SCOTO / [fregio] / IN PARIGI, / Presso OLIVIERO di VARANO, alla strada di San Giacomo / Alla Vittoria. // M.DCXXIII. / CON PRIVILEGIO DEL RÈ.
L’ADONE, / POEMA / DEL / CAVALIER MARINO. / Con gli Argomenti / DEL CONTE FORTUNIANO SANVITALE, / Et l’Allegorie / DI DON LORENZO SCOTO, / Con licenza de’ Superiori, & Priuilegio. / [fregio] / IN VENETIA, MDCXXIII. // Appresso Giacomo Sarzina.
La prima edizione era stata vegliata dalle assidue cure dell’Autore, fra il 1621 e il 1623. La seconda (prima italiana) venne tirata di su i fogli della Parigina, dal Marino stesso licenziati e spediti allo stampatore veneziano (lettera n. 185 della ed. Guglielminetti) 1 ; non d’altro preoccupata che di integrare nel testo la copiosa tavola di Errori, et Correttioni, che per P s’era resa da ultimo necessaria. Ovviamente, cosí, il gruzzolo degli scarti risultante a una collazione di P con V è oltremodo esiguo, come a suo tempo ebbe a verificare il primo editore novecentesco del poema; e si tratta, per la quasi totalitá, di varianti che si lasciano riportare a una iniziativa censoria (o forse autocensoria, comunque coatta).
L’ombra della censura, si sa, incombe su tutta la carriera del Marino. Grava sul poemetto, tematicamente, originario (1605) (« I poemetti, ch’io mandai in Vinegia, hanno avuti moltissimi intoppi per conto degl’inquisitori, che vorrebbono castrarli...*), è aU’origine dichiarata della pubblicazione del poema in Francia (« L ’Adone penso senz’altro di stamparlo lá [a Parigi], si per la correzione, avendovi da intervenir io stesso, sí perché forse in Italia non vi si passerebbono alcune lasciviette amorose ...»), è fonte di preoccupazione alla vigilia del varo ita-
1 Marino, Lettere, a c. di M. Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966. liano (« Rincrescerai di non aver potuto spedire a tempo un mio lungo discorso, che va nel principio, circa la differenza dello scrivere tenero e dell’osceno, il quale è pieno di buona e recondita erudizione, e l’ho fatto per chiuder la bocca a coloro che dicono questo poema esser tutto sparso di lascivie e sporchezze...»), condurrá alla messa all’indice del poema, quasi appena morto il Marino, con decreto del 4 febbraio 1627.
Nello stesso 1627 usciva l’Occhiale opera difensiva del cav. T. Stigliarli (Venezia, appresso Pietro Carampella) che, volentieri appoggiando ad accuse di immoralitá e addirittura di empietá una battaglia per la supremazia letteraria, dava inizio a quella centrale polemica sulYAdone, che si sarebbe trascinata sino addentro agli anni Quaranta del secolo.
L’uscita a Parigi dell ’Adone, preceduta negli ambienti letterari italiani da una attesa ansiosa e iperbolica, che presto si sarebbe rivelata a doppio taglio (Preti al Marino, 1620: « Tutta l’Italia aspetta con disiderio grande l’Adone... l’aspettazione universale è grande, ma se ne sperano gli effetti molto maggiori ... »), dava al Marino l’occasione per un trionfale ritorno in Italia, dalla quale mancava dal 1615. Caratteristica è, per cosí dire, la realtá a metá francese a metá italiana del l’Adone; ma in questo senso, che se a un determinato stadio dell’elaborazione del poema la « passata in Francia » era parsa indispensabile a fornire al « poema grande » il piú ampio respiro della ambizione a un discorso di risonanza europea, al termine dell’opera, la controprova italiana era parsa ugualmente irrinunciabile, sempre che fosse garantita dalla sonora, vincolante esperienza di Francia. Si rifletta a come l’Adone parigino fosse munito della intelligentissima prefazione di Chapelain (Lettre ou Discours ... sur le Poéme d’Adonis dii Chevalier Marino), sollecitata dal Marino in prospettiva italiana (che il poema non fosse « battu en mine par les Académies Italiennes á cause de l’imperfection de son dessein ») ma scritta in francese, dunque in una lingua poco accessibile alla media dei lettori italiani, e, d’altra parte, non fatta riprodurre nella edizione veneziana del poema, quasiché essa (e questo dovette essere il disegno del Marino) dovesse piú tenere in rispetto con l’autoritá della fama che con la soliditá o acribia delle argomentazioni. (La mediocrissima e incompleta traduzione che del Discours procurò un letterato romano, Filippantonio Torelli, anche ammettendo che fosse stata sollecitata dal Marino, uscí dopo la morte di lui Venezia, Sarzina, 1625’ destituita di qualsiasi tempestivitá).
A che cosa puntava, il Marino, col suo ritorno in Italia, esploso l’Adone? Unica corte italiana di prestigio, nonché paragonabile, superiore alla corte di Francia, era quella pontificia. E sappiamo che ve lo chiamava il Cardinal nepote Ludovisi. Ma la repentina morte di Gregorio xv e l’energica sterzata verso un nuovo corso culturale, che avrebbe escluso Galileo come Marino, voluta dal nuovo papa (Maffeo Barberini, Urbano vm), resero subito difficile la vita al poeta e al poema. Era l’idea letteraria mariniana, l’assenza di idealismo della sua costruzione, quel barocco gaspillage, il suo — potremmo dire, per intenderci — decadentismo avant-lettre, che si riteneva urgente respingere; ma la strada piú ovvia, perché lí il Marino appariva meno difeso, era quella di prenderlo sul punto, sull’accusa di pornografia.
Cosi il Marino, che forse per sviare le critiche di chi era risoluto a non accettare in blocco il poema nuovo, aveva cominciato a parlare di una nuova edizione da farsi in Roma (« L’Adone di Vinegia è scorretto, se bene l’impressione di Francia non monda nespole. Qui [a Roma] si ristampa tuttavia, ed io stesso lo correggo, onde sará senz’altro il migliore ... »; «... Ora si ristampa in Roma, e credo che sará il piú perfetto, perché l’ho migliorato in moltissimi luoghi e levatone parecchie superfluitá ... »), di fronte alle ristampe o ai progetti, alle voci di ristampe, autorizzate o no, che vengono da mezza Italia, deve da ultimo dirla tutta: «... Come diavolo le genti son cosí temerarie, che ardiscano di ristampare un libro senza saputa, anzi contro la volontá dell’autore? Io ne ho sentito molto disgusto, perché desiderava che si aspettasse questa impressione di Roma, dalla quale, per essere piú corretta ed emendata da me, si può pigliar la regola dell’altre. Ora perché intendo che costi [a Venezia] parimente si è posto mano a ristamparlo, vi priego a voler sospendere alquanto finché questa di qua abbia effetto, percioché, oltre che sará migliore la vostra, la vendita sará sicura; clié altrimenti il Mastro del Sacro Palazzo fa grande schiamazzo e minaccia di proibirlo, se Valtre impressioni non saranno conformi a questa ... » [lett. n. 200].
Ma la misura fu inutile; il Marino cercò (e trovò) aere men ostile in Napoli, e la ristampa romana, per qualche tempo (pare) affidata a un giovane poeta suo protetto, il Bruni, rimase poi tronca per l’intervento censorio del cardinale Pio di Savoia (mentre l’intempestiva tesi di un giovane gesuita, Agazio di Somma, esser l’Adone paragonabile anzi preferibile alla Gerusalemme liberata, provocava, segno dei mutati tempi, una immediata presa di distanza da parte degli stessi sostenitori del Marino).