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liano (« Rincrescerai di non aver potuto spedire a tempo un mio lungo discorso, che va nel principio, circa la differenza dello scrivere tenero e dell’osceno, il quale è pieno di buona e recondita erudizione, e l’ho fatto per chiuder la bocca a coloro che dicono questo poema esser tutto sparso di lascivie e sporchezze...»), condurrá alla messa all’indice del poema, quasi appena morto il Marino, con decreto del 4 febbraio 1627.

Nello stesso 1627 usciva l’Occhiale opera difensiva del cav. T. Stigliarli (Venezia, appresso Pietro Carampella) che, volentieri appoggiando ad accuse di immoralitá e addirittura di empietá una battaglia per la supremazia letteraria, dava inizio a quella centrale polemica sulYAdone, che si sarebbe trascinata sino addentro agli anni Quaranta del secolo.

L’uscita a Parigi dell ’Adone, preceduta negli ambienti letterari italiani da una attesa ansiosa e iperbolica, che presto si sarebbe rivelata a doppio taglio (Preti al Marino, 1620: « Tutta l’Italia aspetta con disiderio grande l’Adone... l’aspettazione universale è grande, ma se ne sperano gli effetti molto maggiori ... »), dava al Marino l’occasione per un trionfale ritorno in Italia, dalla quale mancava dal 1615. Caratteristica è, per cosí dire, la realtá a metá francese a metá italiana del l’Adone; ma in questo senso, che se a un determinato stadio dell’elaborazione del poema la « passata in Francia » era parsa indispensabile a fornire al « poema grande » il piú ampio respiro della ambizione a un discorso di risonanza europea, al termine dell’opera, la controprova italiana era parsa ugualmente irrinunciabile, sempre che fosse garantita dalla sonora, vincolante esperienza di Francia. Si rifletta a come l’Adone parigino fosse munito della intelligentissima prefazione di Chapelain (Lettre ou Discours ... sur le Poéme d’Adonis dii Chevalier Marino), sollecitata dal Marino in prospettiva italiana (che il poema non fosse « battu en mine par les Académies Italiennes á cause de l’imperfection de son dessein ») ma scritta in francese, dunque in una lingua poco accessibile alla media dei lettori italiani, e, d’altra parte, non fatta riprodurre nella edizione veneziana del poema, quasiché essa (e questo dovette essere il disegno del Marino) dovesse piú tenere in rispetto con l’autoritá della fama che con la soliditá o acribia delle argomentazioni. (La mediocrissima e incompleta traduzione che del Discours procurò un letterato romano, Filippantonio Torelli, anche ammettendo che fosse stata sollecitata dal Marino, uscí dopo la morte di lui Venezia, Sarzina, 1625’ destituita di qualsiasi tempestivitá).

A che cosa puntava, il Marino, col suo ritorno in Italia, esploso