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verosimili. La colla, il salto degli uomini, la carambola, nessuna difficoltà di giuoco imbarazzava quell’avorio prudente e sicuro, il quale trionfava di ogni ostacolo, e pareva schernire la trepidazione dei circostanti. Il Casanova, usando della sua stecca, poteva dare venti punti al più abile giuocatore...

Al macao, al lanzichenecchi, all’ecarté, le istesse risorse magnetiche. Il Casanova, purché avesse le carte nelle mani, col semplice tocco delle dita, mutava i picche in fiori, i cuori in quadri, sostituiva un fante ad un asso, creava il suo giuoco. Egli vinceva colla volontà, portando ne’ suoi competitori il turbamento e la disperazione. Guadagnava tesori.

Ma questa professione del giuoco era troppo monotona per uno spirito insofferente e fantastico. Il Casanova ne fu presto annoiato. La sua natura era perversa. Più che l’utile proprio egli amava il danno d’altrui. Il giuoco non gli offriva che delle vittime volontarie, uscite per la più parte dai ranghi più screditati della società; egli aveva bisogno di portare il male nelle famiglie oneste, nelle classi più stimate e, a suo vedere, più felici. Sopratutto egli si compiaceva di truffare gli uomini altolocati, i funzionar! del Governo, i primati dell’intelligenza. Tutto ciò che era talento, illustrazione, rappresentanza di moralità e d’ordine pubblico, per lui, anima di Caino, era oggetto di odio e di persecuzione. Affigliato alla setta degli Equilibristi propugnatori della anarchia universale, in breve era salito ai primi gradi dell’ordine. Gli Equilibristi domandavano la perfetta uguaglianza sociale, ma fra essi era già stabilita la gerarchla. I settarii di buona fede cooperavano, inconscii od illusi, alle sue ladrerie. Nelle città più importanti della Unione e d’altre parti del mondo, il Casanova poteva impiegare al servizio de’ propri disegni una camorra potente. Ru-