Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 18

Canto 18

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Canto 17 Canto 19

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CANTO DECIMOTTAVO



[1]

M
Agnanimo Signor ogni voſtro atto

     Ho ſempre con ragion laudato e laudo.
     Ben che col rozo ſtil duro e mal’atto
     Gra parte de la gloria vi defraudo.
     Ma piu de l’altre, vna virtū m’ha tratto
     A cui col core e con la lingua applaudo
     Ch s’ognií truoua i voi bé grata vdièza
     Non vi truoua pero facil credenza.

[2]
Speſſo in difeſa del biaſmato abſente
     Indur vi ſento vna & vn’altra ſcuſa,
     o riſerbargli almen, ſin che preſente
     Sua cauſa dica, l’altra orecchia chiuſa,
     l’. ſempre prima che dannar la gente,
     Vederla i faccia, e vdir la ragion ch’ufa,
     Diflerir’ancho, e giorni, e meli’, & anni,
     Prima che giudicar ne glialtrui danni.

[3]
Se Norandino il ſimil fatto haueffe
     Fatto a Griphon no hauria ql che fece,
     A voi vtile e honor ſempre ſucceſſe,
     Denigro ſua fama egli piū che pece,
     Per lui ſue genti a morte ſuron meſſe
     Che ſé Griphone i dieci tagli, e in diece,
     Punte che traſſe pien d’ira e bizarro
     Che trenta ne caſcaro appreſſo al carro.

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[4]
Van glialtri I rotta oue il timor li caccia
     Chi qua chi la pei campi e per le ſtrade,
     E chi d’ entrar ne la citta procaccia
     E l’un ſu l’altro ne la porta cade
     Griphon non fa parole e non minaccia
     Ma laſciando lontana ogni pietade:
     Mena tra il vulgo inerte il ferro intorno
     E gran vendetta fa d’ogni ſuo ſcorno.

[5]
Di quei che primi giunſero alla porta,
     Che le piante a leuarſi hebbeno pronte,
     Parte al biſogno ſuo molto piú accorta
     Che de gli amici, alzo ſubito il ponte,
     Piangendo parte, o co la faccia ſmorta
     Fuggédo andò ſenza mai volger ſróte,
     E ne la terra per tutte le bade
     Leuo grido e tumulto e rumor grande.

[6]
Griphon gagliardo duo ne piglia in qlla
     Che’l ponte ſi leuo per lor ſciagura,
     Sparge de l’uno al campo le ceruella
     Che lo percuote ad vna cote dura,
     Prede l’altro nel petto, e l’arrandeila
     In mezo alla citta fopra le mura,
     Scorie per l’oſſa a i Terrazani il gelo
     Quando vider colui venir dal cielo.

[7]
Fur molti che temer che’l ſier Griphone
     Sopra le mura haueſſe preſo vn ſalto
     Non vi farebbe piú conſusone
     S’a Damaſco il Solda deſſe l’affalto,
     Vn muouer d’ arme, vn correr di perſone
     E di Talacimanni vn gridar d’alto
     E di tamburi vn ſuon miſto e di trombe
     Il modo afforda, e’l ciel par ne ribombe.

[8]
Ma voglio a va’ altra volta differire
     A ricontar ciò che di queſto auenne:
     Del buon Re Carlo mi conuien ſeguire
     Che contra Rodomonte in fretta venne
     Ilqual le genti gli facea morire:
     10 vi diſſi ch’al Re compagnia tenne
     11 gran Daneſe, e Namo, & Oliuiero
     E Auino, e Auolio, e Othone, e Berligiero.

[9]
Otto ſcontri di lance che da ſorza
     Di tali otto Guerrier cacciati ſoro
     Soſtenne a vn tempo la ſcagliofa ſcorza
     Di c’hauea armato il petto il crudo Moro,
     Come legno ſi drizza, poi ch l’orza
     Lèta il Nochier ch creſcer ſente il Coro
     Coſi preſto Rizzoſſi Rodomonte
     Da i colpi che gittar doueano vn monte.

[10]
Guido, Ranier, Ricardo, Salamone
     Ganelon traditor, Turpin fedele,
     Angioliero, Angiolino, Vghetto, Iuone
     Marco, e Mattheo dal pia di sa Michele,
     E gli otto di che dianzi fei mentione,
     Son tutti intorno al Saracin crudele,
     Arimanno, e Odoardo d’Inghilterra
     Ch’ entrati eran pur dianzi ne la terra,

[11]
Non coſi ſreme in ſu lo ſcoglio alpino
     Di ben ſondata rocca alta parete
     Quádo il furor di Borea o di Garbino
     Suelle da i monti il ſraſſino e l’abete,
     Come ſreme d’orgoglio il Saracino
     Di ſdegno acceſo, e di ſanguigna ſete,
     E com’a vn tèpo e il tuono e la ſaetta
     Coſi l’ira de l’empio e la vendetta.

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[12]
Mena alla teſta a quel ch glie piú preſſo
     Ch gli e il miſero Vghetto di Dordona,
     Lo pone in terra inſino a i detti feſſo
     Come che l’elmo era di tempra buona,
     Percoſſo ſu tutto in vn tempo anch’ eſſo
     Da molti colpi in tutta la perſona
     Ma non gli fan piú ch’ali’ incude l’ago.
     Si duro intorno ha lo ſcagliofo drago

[13]
Furo tutti i ripar, ſu la cittade
     D’ intorno intorno abandonata tutta,
     Che la gente alla piazza, doue accade
     Maggior biſogno, Carlo hauea ridutta:
     Corre alla piazza da tutte le ſtrade
     La turba, a chi il ſuggir ſi poco ſrutta,
     La perſona del Re ſi i cori accende
     Ch’ogni! préd’arme, ognuno anio prede.

[14]
Come ſé dentro a ben rinchiuſa gabbia
     D’ antiqua Leoneſſa vſata in guerra
     Pere’ hauerne piacere il popul’habbia
     Tal volta il Tauro indomito ſi ferra,
     I Leoncin che veggion per la ſabbia
     Come altiero e mugliado animoſo erra
     E veder ſi gran corna non fon’ uſi
     Stanno da parte timidi e confuſi.

[15]
Ma ſé la ſiera madre a quel ſi lancia
     E ne l’orecchio attacca il crudel dente,
     Vogliono anch’ elſi iſanguinar la guácia
     E vengono in ſoccorſo arditamente,
     Chi morde al Tauro il doſſo, e chi la pacia
     Coli cetra il Pagan fa quella gente
     Da tetti e da líneſtre, e piú d’apprefib
     Sopra gli pioue vn nèbo d’ arme e ſpeffo

[16]
De i cauallieri e de la fanteria
     Tanta e la calca ch’a pena vi cape,
     La turba che vi vien per ogni via
     V’abbóda ad fior ad hor ſpeffa eoe ape,
     Che quando diſarmata e nuda ſia,
     Piú facile a tagliar che torſi o rape,
     No la potria legata a monte a mòte
     In venti giorni ſpenger Rodomonte.

[17]
Al Pagan che non fa come ne poſſa
     Venir a capo, nomai ql gioco increſce,
     Poco per far di mille o di piú roſſa
     La terra intorno, il populo diſcreſce:
     II ſiato tuttauia piú ſé gl’ingroſſa,
     Si che comprende al ſin che ſé non eſce
     Hor e’ havigore, e i tutto il corpo e ſano:
     Vorrá da tempo vſcir che fará in vano.

[18]
Riuolge gliocchi horribili, e pon mente
     Che d’ognintorno ſta chiuſa l’uſcita,
     Ma con mina d’infinita gente
     L’aprirá toſto, e la fará eſpedita,
     Ecco vibrando la ſpada tagliente
     Che vien ql empio, oue il furor lo’nuita
     Ad aſſalire il nuouo ſtuol Britſtno
     Che vi traſſe Odoardo, & Arimanno.

[19]
Chi ha viſto i piazza rompere (leccato
     A cui la ſolta turba ondeggi intorno
     Immanſueto Tauro accaneggiato
     Stimulato e percoſſo tutto’l giorno,
     Che’l popul ſé ne ſugge iſpauentato
     Et egli hor qſto hor quel leua ſui corno
     Penfi che tale, o piú terribil foſſe
     Il crudele Airican quando ſi morte.

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[20]
Quindici o venti ne taglio a trauerſo,
     Altri tanti laſcio del capo tronchi,
     Ciaſcun d’un colpo ſol dritto o riuerſo,
     Che viti o falci par che poti e tronchi,
     Tutto di ſangue il ſier Pagano aſperfo
     Laſciando capi feſſi e bracci monchi
     E ſpalle e gambe, e altre mébra ſparte
     Ouunqj il pano volga, al ſin ſi parte.

[21]
De la piazza ſi vede in guiſa torre
     Che non ſi può notar c’habbia paura,
     Ma tutta volta col penſier diſcorre
     Doue ſia per vſcir via piú ſicura,
     Capita al ſin doue la Senna corre
     Sotto all’iſola e va ſuor de le mura
     La gente d’arme e il popul fatto audace
     Lo ſtringe e Scalza e gir noi laſcia i pace

[22]
Qual per le ſelue Nomade o Maſſyle
     Cacciata va la generoſa belua
     Ch’anchor ſuggédo moſtra il cor gètile
     E minaccioſa e lenta ſi rinſelua,
     Tal Rodomonte in neſſun’atto vile
     Da ſtrana circondato e ſiera ſelua
     D’haſte e di ſpade, e di volanti dardi
     Si tira al fiume a paſſi lunghi e tardi.

[23]
E ſi tre volte e piú l’ira il foſpinfe
     Ch’eſſendone giá ſuor vi torno in mezo,
     Oue di ſangue la ſpada ritinfe
     E piú di cento ne leuo di mezo,
     Ma la ragione al ſin la rabbia vinſe
     Di nò far ſi ch’a Dio n’ and affé il lezo
     E da la ripa per miglior conſiglio
     Si gitto all’acqua e vſci di grá periglio.

[24]
Con tutte l’arme andò per mezo l’acque
     Come s’ intorno haueſſe tante galle:
     Africa in te pare a coſtui non nacque
     Bé che d’ Anteo ti vati, e d’ Hanniballe,
     Poi che ſu giunto a proda, gli diſpiacq$
     Che ſi vide reſtar dopo le ſpalle
     Quella citta: e’ hauea traſcorſa tutta
     E non l’hauea tutta aria ne diſtrutta.

[25]
E ſi lo rode la ſuperbia e l’ira
     Che per tornarui vn’ altra volta guarda:
     E di profondo cor geme e ſoſpira
     Ne vuoine vſcir ch no la ſpiani & arda,
     Ma lungo il fiume in queſta ſuria mira
     Venir, chi l’odio eſtingue e l’ira tarda:
     Chi foſſe io vi faro ben toſto vdire
     Ma prima vn’ altra coſa v’ho da dire.

[26]
Io v’ ho da dir de la Diſcordia altiera
     A cui l’angel Michele hauea cómeſſo
     Ch’a battaglia accendeſſe, e a lite ſiera
     Quei ch piú ſorti hauea Agramate appſſo,
     Vſci de ſrati la medeſma ſera
     Hauendo altrui l’ufficio ſuo cómeſſo,
     Laſcio la ſraude a guerreggiare il loco
     Fin che tornaſſe, e a mátenerui il fuoco.

[27]
E le panie ch’andria con piú poſſanza
     Se la Superbia anchor ſeco menaſſe,
     E perche ſtaua tutte in vna ſtanza
     Non ſu biſogno ch’a cercar l’andaffe:
     La Superbia v’ andò, ma non che ſanza
     La ſua vicaria il monaſter laſciaffe:
     Per pochi di che credea ſtarne abſente
     Laſcio l’Hypocrifia locotenente.

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[28]
L’implacabil Diſcordia in compagnia
     De la Superbia, ſi meſſe in camino,
     E ritrouo che la medeſma via
     Facea per gire al campo Saracino
     Lafflitta e ſconfolata Geloſia,
     E venia ſeco vn Nano piccolino,
     Ilqual mandaua Doralice bella
     Al Re di Sarza a dar di ſé nouella,

[29]
Quado ella vene a Madricardo in mano
     Ch’io v’ho giá raccertato, e come e doue,
     Tacitamente hauea commeſſo al Nano
     Che ne portaſſe a queſto Re le nuoue,
     Ella ſpero che noi ſaprebbe in vano
     Ma che far ſi vedria mirabil pruoue
     Per rihauerla con cnidel vendetta
     Da ql ladron che gli l’hauea intercetta.

[30]
La Geloiia quel Nano hauea trouato
     E la cagion del ſuo venir compreſa
     A caminar ſé gliera meſſa allato:
     Parendo d’hauer luogo a qſta impreſa,
     Alla Diſcordia ritrouar ſu grato
     La Geloſia: ma piú quado hebbe inteſa
     La cagion del venir, che le potea
     Molto valere in quel che far volea.

[31]
D’ inimicar con Rodomonte, il figlio
     Del Re Agrica, le pare hauer ſuggetto,
     Trouera a ſdegnar glialtri altro coſiglio
     A ſdegnar queſti duo, queſto e pfetto,
     Col Nano ſé ne vien, doue l’artiglio
     Del ſier Pagano hauea Parigi aſtretto,
     E capitaro a punto in ſu la riua
     Qn il crudel del fiume a nuoto vſciua.

[32]
Toſto che riconobbe Rodomonte
     Coſtui de la ſua Donna eſſer meſſaggio
     Eſtinfe ogn’ira: e ſereno la ſronte
     E ſi ſenti brillar dentro il coraggio,
     Ogn’ altra coſa aſpetta che gli conte
     Prima, ch’alcuo habbia a lei fatto oltraggio
     Va 9tra il Nano, e lieto gli domada
     Ch’ e de la Donna noſtra ? oue ti manda ?

[33]
Riſpoſe il Nano, ne piú tua ne mia
     Donna diro, quella ch’e ſerua altrui,
     Hieri ſcontrammo vn cauallier per via
     Che ne la tolſe, e la meno con lui,
     A quello annuntio entro la Geloſia
     Fredda come Aſpe, & abbraccio coſtui
     Seguita il Nano, e narragli in che guiſa
     Vn ſol l’ha preſa. e la ſua gente vcciſa.

[34]
L’acciaio allhora la Diſcordia preſe
     E la pietra ſocaia, e picchio vn poco,
     E l’eſca ſotto la Superbia ſtefe
     E ſu attaccato in vn momento il fuoco,
     E ſi di queſto l’anima s’ acceſe
     Del Saracin, che non trouaua loco:
     Soſpira e ſreme con ſi horribil faccia
     Che gli eleméti, e tutto il ciel minaccia.

[35]
Come la Tigre poi ch’in van diſcende
     Nel voto albergo, e per tutto s’ aggira
     E i cari ſigli all’ultimo comprende
     Eſſergli tolti: auampa di tant’ ira
     A tanta rabbia a tal furor s’ eſtende
     Che ne a monte ne a rio ne a notte mira:
     Ne lunga via ne grandine raffrena
     L’odio che dietro al predator la mena.

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[36]
Coſi ſurendo il Saracin bizarro
     Si volge al Nano e dice, hor la t’ inuia,
     E non aſpetta ne deſtrier ne carro
     E non fa motto alla ſua compagnia,
     Va co piú fretta che no va il Ramarro
     Quando il ciel arde, a trauerſar la via,
     Deſtrier nò ha, ma il primo tor diſegna
     (Sia di chi vuol) ch’ad icótrar lo vegna

[37]
La Diſcordia ch’udi queſto penſiero
     Guardo ridendo la Superbia, e diſſe
     Che volea gire a trouare vn deſtriero
     Che gli apportaſſe altre conteſe e riſſe,
     E far volea ſgombrar tutto il ſentiero
     Ch’ altro che qllo in man nò gli veniſſe:
     E giá penſato hauea doue trouarlo
     Ma coſtei laſcio, e torno a dir di Carlo.

[38]
Poi ch’al partir del Saracin ſi eſtinfe
     Carlo d’intorno il periglioſo fuoco,
     Tutte le genti all’ordine riſtrinfe
     Laſcionne parte in qualche debol loco,
     Adoſſo il reſto a i Saracini ſpinfe,
     Per dar lor ſcacco, e guadagnarſi il giuoco
     E gli mando per ogni porta ſuore
     Da fan Germano in fin’ a fan Vittore.

[39]
E comando ch’a porta fan Marcello
     Dou’ era gran ſpianata di campagna,
     Aſpettaffe l’un l’altro, e in vn drappello
     Si ragunaſſe tutta la compagna,
     Quindi animado ognuno a far macello
     Tal che ſempre ricordo ne rimagna,
     A i lor ordini andar ſé le bandiere
     E di battaglia dar ſegno alle ſchiere.

[40]
Il Re Agramate in queſto mezo in fella
     Malgrado de i Chriſtian rimeſſo s’ era
     E con l’inamorato d’ Iſabella
     Facea battaglia periglioſa e ſiera:
     Col Re Sobrin Lurcanio ſi martella
     Rinaldo icòtra hauea tutta vna ſchiera
     E con virtude, e con fortuna molta
     l’urta, l’apre, ruina, e mette in volta.

[41]
Eſſendo la battaglia in queſto ſtato
     L’Imperatore aſſalſe il retroguardo:
     Dal canto oue Marſilio hauea fermato
     Il fior di Spagna Uomo al ſuo ſtèdardo:
     Con fanti in mezo, e cauallieri allato
     Re Cario ſpinfe il ſuo popul gagliardo,
     Con tal rumor di timpani e di trombe,
     Che tutto’l mondo par che ne rimbobe.

[42]
Cominciauan le ſchiere a ritirarſe
     De Saracini, e ſi farebbon volte
     Tutte a ſuggir, ſpezzate rotte e ſparfe
     Per mai piú no potere eſſer raccolte,
     Ma’l Re Gradonio e Falſiron comparite
     Che ſtati i maggior briga era piú volte:
     E Balugante e Serpentin feroce
     E Ferrau che lor dicea a gran voce.

[43]
Ah (dicea) valéthuomini, ah compagni
     Ah ſratelli, tenete il luogo voſtro,
     I nimici faranno opra di ragni
     Se non machiamo noi del douer noſtro,
     Guardate l’alto honor gli apli guadagni
     Ch Fortúa vincèdo hoggi ci ha moſtro
     Guardate la vergogna e il dano eſtremo
     Ch’ eſſendo vinti a patir ſemp hauremo.

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[44]
Tolto in quel tèpo vna gra lancia hauea
     E contra Berlingier venne di botto:
     Che fopra Largaliſſa combattea
     E l’elmo ne la ſronte gli hauea rotto:
     (iittollo in terra, e con la ſpada rea
     Appreſſo a lui ne ſé cader ſorſè otto:
     Per ogni botta almanco che diſſerra
     Cader fa ſempre vn caualliero in terra.

[45]
In altra parte vcciſo hauea Rinaldo
     Tanti Pagan, ch’io non potrei contarli:
     Dinanzi a lui non ſtaua ordine ſaldo
     Vedrette piazza in tutto’l campo darli:
     Nò me Zerbin no me Lurcanio e caldo:
     Per modo fan ch’ognun ſempre ne parli,
     Queſto di punta hauea Balaſtrovccifo
     E quello a Finadur l’elmo diuiſo.

[46]
L’efercito d’Alzerbe hauea il primiero
     Che poco inazi hauer ſolea Tardocco,
     L’altro tenea fopra le ſquadre impero
     Pi /.amor, e di Saſſi, e di Marocco:
     Non e tra gli Africani vn caualliero
     Che di lancia ferir ſappia o di ſtocco?
     Mi ſi potrebbe dir, ma paſſo paſſo
     Neſſun di gloria degno a dietro laſſo.

[47]
Del Re de la Zumara non ſi ſcorda
     Il nobil Dardinel figlio d’ Almonte,
     Che con la lancia Vberto da Mirforda
     Claudio dal boſco, Elio e Dulfin dal mòte
     E co la ſpada Anſelmo da Stanforda
     E da Londra Raymondo e Pinamonte
     Getta per terra, & erano pur ſorti
     Dui ſtorditi, vn piagato, e quattro morti.

[48]
Ma con tutto’l valor che di ſé moſtra
     Non può tener ſi ferma la ſua gente
     Si ferma ch’aſpettar voglia la noſtra
     Di numero minor, ma piú valente.
     Ha piú ragion di ſpada, e piú di gioſtra
     E d’ogni coſa a guerra appertinente.
     Fugge la gente Maura, di Zumara
     Di Setta di Marocco, e di Canara.

[49]
Ma piú de glialtri ſuggon qi d’Alzerbe
     A cui s’ oppoſe il nobil giouinetto,
     Et hor co prieghi, hor co parole acerbe
     Ripor lor cerca l’animo nel petto,
     S’ Almonte merito ch’in voi ſi ſerbe
     Di lui memoria, hor ne vedrò l’effetto
     Io vedrò (dicea lor) ſé me ſuo figlio
     Laſciar vorrete in coli gran periglio.

[50]
State vi priego per mia verde etade
     In cui ſolete hauer ſi larga ſpeme,
     1 Kb non vogliate andar per ſil di ſpade
     Ch’in Africa non torni di noi ſeme,
     Per tutto ne faran chiuſe le ſtrade
     Se nò andiam raccolti, e ſtretti inſieme.
     Troppo alto muro, e troppo larga ſoſſa
     E il mote e il mar pria che tornar ſi poſſa

[51]
Molto e meglio morir qui ch’ai ſupplici
     Darſi, e alla diſcretion di queſti cani,
     State ſaldi per Dio fedeli amici
     Che tutti ſon gli altri rimedii vani.
     Non han di noi piú vita gli nimici,
     Piú d’unalma no ha: piú di due mani,
     Coſi dicendo il Giouinetto ſorte
     Al conte d’ Otonlei diede la morte.

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[52]
Il rimembrare Almonte, coli acceſe
     l’eſercito African, che ſuggia prima,
     Che le braccia e le mani in ſue difeſe
     Meglio che riuoltar le ſpalle eſtima,
     Guglielmo da Burnich’ era vno Ingleſe
     Maggior di tutti, e Dardinello il cima
     E lo pareggia a glialtri, e apreſſo taglia
     Il capo ad Aramon di Cornouaglia.

[53]
Morto cadea queſto Aramone aualle
     E v’accorfe il ſratel per dargli aiuto,
     Ma Dardinel l’aperfe per le ſpalle
     Fin giú doue lo ſtomaco e ſorcuto:
     Poi ſoro il ventre a Bogio da Vergalle
     E lo mando del debito aſſoluto
     Hauea promeſſo alla moglier: ſra fei
     Mefi (viuendo) di tornare a lei.

[54]
Vide non lungi Dardinel gagliardo
     Venir Lurcanio e’ hauea in terra meſſo
     Dorchin paſſato ne la gola, e Gardo
     Per mezo il capo e in fin’ ai denti feſſo,
     E ch’Alteo ſuggir volſe, ma ſu tardo
     Altheo, ch’amo cgto il ſuo core iſteffo
     Che dietro alla collottola gli miſe
     Il ſier Lurcanio vn colpo che l’ucciſe.

[55]
Piglia vna lancia e va per far vendetta
     Dicendo al ſuo Machon, s’udir lo puote
     Che ſé morto Lurcanio in terra getta
     Ne la Moſchea ne porrá l’arme vote,
     Poi trauerſando la campagna in fretta
     Con tanta ſorza il ſianco gli percuote
     Che tutto il paſſa fin’ all’altra banda
     Et a i ſuoi che lo ſpoglino comanda.

[56]
Non e da domandarmi ſé dolere
     Se ne doueſſe Ariodante il ſrate,
     Se deſiaſſe di ſua man potere
     Por Dardinel ſra l’anime dannate,
     Ma noi laſcian le genti adito hauere
     Non men de le’nfedel le battezate,
     Vorria pur vendicarli, e con la ſpada
     Di qua di la ſpianando va la ſtrada.

[57]
Vrta, apre, caccia, atterra, taglia, e fende
     Qualunqj lo’mpediſce, o gli contraſta,
     E Dardinel che quel diſire intende
     A volerlo fatiar giá non fouraſta,
     Ma la gran moltitudine contende
     Con qſto achora, e i ſuoi diſegni guaſta
     Se Mori vecide l’un, l’altro nò maco
     Gli feotti vecide e il capo íglefe e’l ſranco

[58]
Fortuna ſempre mai la via lor tolſe
     Che p tutto quel di nò s’accozzaro:
     A piú famoſa man ſerbar l’un volſe
     Che P huomo il ſuo deſtin ſugge di raro
     Ecco Rinaldo a queſta ſtrada volſe
     Perch’alia vita d’un non ſia riparo,
     Ecco Rinaldo vien, Fortuna il guida
     Per dargli honor ch Dardinellovccida.

[59]
Ma ſia per queſta volta detto assai
     De i glorioſi fatti di Ponete,
     Tèpo e ch’io torni oue Griphon laſciai
     Che tutto d’ira e di diſdegno ardente,
     Facea con piú timor c’haueſſe mai
     Tumultuar la ſbigottita gente
     Re Noradino a ql rumor corſo era
     Con piú di mille armati in vna ſchiera.

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[60]
Re Norandin con la ſua corte armata
     Vedendo tutto’l populo ſuggire,
     Venne alla porta in battaglia ordinata,
     E quella fece alla ſua giunta aprire,
     Griphone in tanto hauèdo giá cacciata
     Da ſé la turba ſciocca e ſenza ardire:
     La ſprezzata armatura in ſua difeſa
     (Qual la ſi foſſe hauea di nuouo preſa,

[61]
E preſſo a vn tempio ben murato e ſorte
     Che circondato era d’un’ alta ſoſſa
     In capo vn ponticel ſi fece ſorte,
     Perche chiuderlo í mezo alcú no poſſa,
     Ecco gridando e minacciando ſorte
     Fuor d la porta eſce vna ſquadra groſſa
     L’animofo Griphon non muta loco
     E fa ſembiante che ne tema poco.

[62]
E poi ch’auicinar queſto drappello
     Si vide, andò a trouarlo in ſu la ſtrada
     E molta ſtrage fattane e macello
     (Ch menaua a due ma tempre la ſpada)
     Ricorſo hauea allo ſtretto ponticello,
     E quindi li tenea non troppo abada,
     Di nuouo vſciua e di nuouo tornaua
     E tempre horribil ſegno vi laſciaua.

[63]
Quando di dritto e quando di riuerſo
     Getta hor pedoni hor cauallieri i terra:
     Il popul contra lui tutto conuerſo
     Piú e piú tempre inaſpera la guerra:
     Teme Griphone al líti reſtar ſommerſo
     Si creſce il mar ch d’ognintorno il ferra,
     E ne la ſpalla, e ne la coſcia manca
     E giá ferito, e pur la lena manca.

[64]
Ma la Virtú ch’ai ſuoi ſpeffo ſoccorre
     Gli fa appo Norandin trouar perdono,
     Il Re mètre al tumulto in dubbio corre
     Vede che morti giá tanti ne ſono:
     Vede le piaghe, che di man d’ Hettorre
     Pareano vſcite, vn teſtimonio buono
     Che dianzi eſſo hauea fatto idegnaméte
     Vergogna avn cauallier molto eccellete

[65]
Poi come glie piú preſſo, e vede in ſròte
     Quel che la gète a morte gli ha 9dutta
     E fattotene auanti horribil monte
     Edi quel (angue il ſoſſo e l’acqua brutta
     Glie auiſo di veder proprio fu’l ponte
     Horatio ſol contra Thoſcana tutta,
     E per ſuo honore, e pene gli ne’ncrebbe
     Ritraffe i ſuoi, ne gran fatica v’hebbe

[66]
Et alzando la man nuda, e fenz’ arme
     Antico ſegno di tregua o di pace,
     Diſſe a Griphon, no ſo te no chiamarme
     D’hauere il torto, e dir che mi diſpiace,
     Ma il mio poco giudicio, e lo inſtigarme
     Altrui, cadere in tanto error mi face,
     Quel che di fare io mi credea al piú vile
     Guerrier del mòdo, ho fatto al piú gètile

[67]
E te bene alla ingiuria, & a qll’onta
     C’hoggi fatta ti ſu per ignoranza
     L’honor che ti fai qui s’adegua e ſconta
     O (per piú vero dir) ſupera e auanza:
     La ſatisfattion ci ſera pronta
     A tutto mio ſapere e mia poſſanza:
     Quando io conoſca di poter far quella
     Per oro o per cittadi: o per cartella.

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[68]
Chiedimi la meta di queſto regno
     Ch’io ſon per fartene hoggi poſſeſſore,
     Che l’alta tua virtú non ti fa degno
     Di queſto ſol, ma ch’io ti doni il core,
     E la tua mano in queſto mezo, pegno
     Di ſé mi dona, e di perpetuo amore,
     Coſi dicendo da cauallo ſcefe
     E ver Griphon la deſtra mano ſtefe.

[69]
Griphon vedendo II Re fatto benigno
     Venirgli per gittar le braccia al collo:
     Laſcio la ſpada, e l’animo maligno
     E ſotto l’anche, & humile abbracciollo,
     Lo vide il Re di due piaghe ſanguigno
     E toſto ſé venir chi medicollo:
     Indi portar ne la cittade adagio
     E ripoſar nel ſuo real palagio.

[70]
Doue ferito alquanti giorni, inante
     Che ſi poteſſe armar, fece ſoggiorno,
     Ma laſcio lui, ch’ai ſuo ſrate Aquilante
     Et ad Aſtolfo in Paleſtina torno,
     Che di Griphon poi che laſcio le fante
     Mura, cercare ha fatto piú d’ un giorno:
     In tutti i lochi in Solyma deuoti
     E in molti anchor da la citta remoti.

[71]
Hor ne l’uno ne l’altro e ſi indouino
     Che di Griphon poſſa ſaper che ſia,
     Ma venne lor quel Greco peregrino
     Nel ragionare, a caſo a darne ſpia,
     Dicèdo ch’Horrigille hauea il camino
     Verſo Antiochia preſo di Soria,
     D’ un nuouo drudo ch’era di quel loco
     Di ſubito aria e d’improuifo fuoco.

[72]
Dimandogli Aquilante, ſé di queſto
     Coſi notitia hauea data a Griphone,
     E come raffermo, s’ auiſo il reſto
     Perche foſſe partito, e la cagione:
     Ch’ Horrigille ha ſeguito e manifeſto
     In Antiochia, con intentione
     Di leuarla di man del ſuo riuale
     Co gran vedetta, e memorabil male.

[73]
Non tolero Aquilante, che’l fratello
     Solo e fenz’ eſſo a quell’impreſa adaſſe:
     E preſe l’arme, e venne dietro a quello
     Ma prima prego il Duca che tardaſſe
     l’ádata i Fracia, & al paterno hoſtello:
     Fin ch’eſſo d’ Antiochia ritornaſſe,
     Scède al Zaffo, e s’ imbarca, che gli pare
     E piú breue e miglior la via del mare.

[74]
Hebbevn’ Oſtro ſilocco allhor poſſéte
     Tanto nel mare, e ſi per lui diſpoſto
     Che la terra del Surro il di ſeguente
     Vide, e Saſſetto, vn dopo l’altro toſto,
     Paſſa Barutti, e il Zibeletto, e ſente
     Che da man maca glie Cypro difeoſto,
     A Tortofa da Tripoli, e alla Lizza
     E al Golfo di Laiazzo il camiti drizza.

[75]
Quindi a Leuate ſé il Nocchier la ſróte
     Del nauilio voltar ſnello e veloce:
     Et a ſorger n’ andò fopra l’Oronte
     E colſe il tempo e ne piglio la ſoce,
     Gittar fece Aquilante in terra il ponte
     E n’ uſei armato fu’l deſtrier feroce,
     E contra il fiume il camin dritto tenne
     Tanto ch’in Antiochia ſé ne venne.

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[76]
Di ql Martano iui hebbe ad inſormarſe
     Et vdi ch’a Damaſco ſé n’ era ito
     Con Horrigille, oue vna gioſtra farſe
     Douea (bienne, per reale inuito
     Tato d’andargli dietro il defir’l’arfe
     Certo che’l ſuo german l’habbia ſeguito
     Che d’ Antiochia ancho quel di ſi tolle
     Ma giá per mar piú ritornar non volle.

[77]
Verſo Lidia e Lariſſa il camin piega
     Reſta piú fopra Aleppe ricca e piena:
     Dio p moſtrar, ch’anchor di q nò niega
     Mercede al bene, & al contrario pena,
     Martano, appreſſo a Mamiiga vna lega
     Ad incontrarſi in Aquilante mena,
     Martano ſi facea con bella moſtra
     Portare inanzi il pregio de la gioſtra.

[78]
Penſo Aquilante al primo comparire
     Che’l vii Martano il ſuo fratello foſſe
     Che Pingannaron Parme, e quel veſtire
     Candido piú che nieui anchor no moſſe,
     E con quell’oh, che d’allegrezza dire
     Si ſuole: incomincio, ma poi cangioſſe
     Toſto di faccia, e di parlar ch’appreſſo
     S’ auide meglio che non era deſſo,

[79]
Dubito che per ſraude di colei
     Ch’era co lui, Griphò glihaueſſe vcciſo
     E dimmi (gli grido) tu ch’eſſer dei
     Vn ladro e vn traditor come n’ hai viſo,
     Onde hai qſt’ arme hauute ? onde ti fei
     Sul buò deſtrier del mio fratello affifo?
     Dimmi ſel mio fratello e morto o viuo?
     COe de l’arme e del deſtrier l’hai priuo?

[80]
QuadoHorrigille vdi P irata voce
     A dietro il palaſren per ſuggir volſe,
     Ma di lei ſu Aquilante piú veloce
     E fecela fermar volſe o non uolſe,
     Martano al minacciar tanto feroce
     Del Cauallier, che ſi improuiſo il colſe,
     Pallido triema come al vento ſronda:
     Ne fa quel che ſi faccia, o che riſponda.

[81]
Grida Aquilante e ſulminar non reſta
     E la ſpada gli pon dritto alla ſtrozza:
     Et giurando minaccia, che la teſta
     Ad Horrigille e a lui rimarra mozza
     Se tutto il fatto non gli manifeſta:
     Il mal giúto Martano alquato ingozza:
     E tra ſé volue ſé può fminuire
     Sua graue colpa, e poi cornicia a dire.

[82]
Sappi Signor che mia ſorella e queſta
     Nata di buona e virtuoſa gente,
     Ben che tenuta in vita dishoneſta
     l’habbia Griphone obbrobrioſamente,
     E tale inſamia eſſendomi moleſta
     Ne per ſorza ſentendomi poſſente
     Di torla a ſi grande huom, feci diſegno
     D’hauerla per aſtutia, e per ingegno.

[83]
Tenni modo con lei: e’ hauea deſire
     Di ritornare a piú lodata vita:
     Ch’ eſſendoſi Griphon meſſo a dormire
     Chetamente da lui feſſe partita,
     Coſi fece ella, e perche egli a ſeguire
     Non n’ habbia, & a turbar la tela ordita:
     Noi lo laſciammo diſarmato e a piedi
     E qua venuti ſian come tu vedi.

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[84]
Poteaſi dar di Comma aſtutia vanto
     Clí colui facilmente gli credea:
     E ſuor, ch’n torgli arme, e deſtrier’e (ſttc
     Teneſſe di Griphon, nò gli nocea,
     Se non volea pulir ſua ſcufa tanto
     Che la faceſſe di menzogna rea,
     Buona era ogn’ altra parte ſé non quella
     Che la femina allui foſſe ſorella.

[85]
Hauea Aquilante in Antiochia inteſo
     Eſſergli concubina da piú genti,
     Onde gridando di furore acceſo
     Falſiſſimo Iadron tu te ne menti,
     Vn pugno gli tiro di tanto peſo
     Che ne la gola gli caccio duo denti,
     E ſenza piú conteſa ambe le braccia
     Gli volge dietro, e d’una ſune allaccia,

[86]
E parimente fece ad Horrigille,
     Ben che in ſua ſcufa ella diceſſe assai,
     Quindi li traſſe per caſali e ville
     Ne li laſcio fin’ a Damaſco mai,
     E de le miglia mille volte mille
     Tratti gli haurebbe, con pene e co guai
     Fin e’ haueſſe trouato il ſuo fratello
     Per farne poi come piaceſſe a quello.

[87]
Fece Aquilante lor feudieri e ſome
     Seco tornare, & in Damaſco venne,
     E trouo di Griphon celebre il nome
     Per tutta la citta batter le penne,
     Piccoli e grandi ognun ſapea giá come
     Egli era chefi ben corſe l’antenne,
     Et a cui tolto ſu con falſa moſtra
     Dal compagno la gloria de la gioſtra.

[88]
Ilj,popul tutto al vii Martano infeſto
     l’uo all’altro additandolo lo ſcuopre
     No e (dicean) non e il ribaldo queſto
     Che ſi fa laude co l’altrui buone opre?
     E la virtú di chi non e ben deſto
     Co la ſua iſamia, e col ſuo obbrobrio copre I
     Non e l’ingrata femina coſtei
     Laqual tradiſce i buoni, e aiuta i rei?

[89]
Altri dicean come ſtan bene inſieme
     Segnati ambi d’u marchio e d’una razza
     Chi li beſtèmia, chi lor dietro ſreme
     Chi grida ipicca, abrucia, ſquarta, amazza,
     La turba per veder s’ urta ſi preme
     E corre inanzi alle ſtrade alla piazza,
     Véne la nuoua al Re, che moſtro ſegno
     D’ hauerla cara piú ch’un’ altro regno.

[90]
Senza molti feudier dietro o dauante
     Come ſi ritrouo, ſi moſſe in fretta,
     E venne ad incontrarti in Aquilante
     C hauea del ſuo Griphon fatto vedetta,
     E quello honora con gentil ſembiante
     Seco lo’nuita, e ſeco lo ricetta,
     Di ſuo conſenſo hauendo fatto porre
     I duo prigioni in fondo d’ una torre.

[91]
Andaro inſieme, oue del letto moſſo
     Griphon non s’ era poi che ſu ferito,
     Che vedendo il ſratel diuenne roſſo
     Che ben ſtimo e’ hauea il ſuo caſo udito,
     E poi che motteggiado vn poco adoſſo
     Gli andò Aquilante, meſſero a partito
     Di dare a quelli duo iuſto martoro
     Venuti in man de gli auuerfari loro.

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[92]
Vuole Aquilate, vuole il Re, che mille
     Stratii ne ſieno fatti, ma Griphone
     (Perche non oſa dir Col d’ Horrigille)
     All’uno e all’altro vuol che ſi perdone:
     Diſſe assai coſe, e molto ben ordille
     Fugli riſpoſto, hor per concluſione
     Martano e diſegnato in mano al Boia
     C habbia a ſcoparlo, e no perho ch moia

[93]
Legar lo fanno, e no tra fiori e l’nerba
     E per tutto ſcopar l’altra matina,
     Horrigille captiua ſi riſerba
     Fin che ritorni la bella Lucina,
     Al cui ſaggio parere, o lieue, o acerba
     Kinietton quei Signor la diſciplina,
     Quiui ſtette Aquilante a ricrearli
     Fin che’l ſratel ſu ſano, e potè armarli.

[94]
Re Norandin che temperato e ſaggio
     Diuenuto era, dopo vn tanto errore,
     Non potea nò hauer ſempre il coraggio
     Di penitentia pieno, e di dolore:
     D’ hauer fatto a colui dano & oltraggio,
     Che degno di mercede era e d’honore
     Si che di e notte hauea il pèſiero intento
     Per farlo rimaner di ſé contento.

[95]
E ſtatui nel publico conſpetto
     De la citta, di tanta ingiuria rea:
     CO qlla maggior gloria, ch’a perfetto
     Cauallier per vn Re dar ſi potea,
     Di radergli ql premio, ch’intercetto
     Con tanto ingSno il traditor gli hauea:
     E per ciò ſé bandir per quel paeſe
     Ch faria vn’ altra gioſtra idi ad vn meſe,

[96]
Di ch’apparecchio fa tanto ſolenne
     Quanto a pompa real poſſibil ſia,
     Onde la Fama con veloci penne
     Porto la nuoua per tutta Soria:
     Et in Phenicia, e in Paleſtina venne
     E tanto ch’ad Aſtolfo ne die ſpia
     Il qual col ViceRe deliberoffe
     Che qlla gioſtra ſenza lor non foſſe.

[97]
Per guerrier valoroſo e di gran nome
     La vera hiſtoria Sanſonetto vanta
     Gli die batteſmo Orlado, e Carlo (come
     V’ho detto) a gouernar la Terra ſanta:
     Aſtolfo con coſtui leuo le ſome
     Per ritrouarſi oue la fama canta
     Si ch d’intorno n’ha piena ogni orecchia
     Ch’in Damaſco la gioſtra s’apparecchia

[98]
Hor caualcando per quelle contrade
     Con non lunghi viaggi, agiati e lenti:
     Per ritrouarſi freſchi alla cittade
     Poi di Damaſco, il di de torniamenti.
     Scontrarti in vna croce di due ſtrade
     Perſona, ch’al veſtire e a mouimenti
     Hauea ſembiaza d’huomo, e femin’ era
     Ne le battaglie, a maraviglia ſiera.

[99]
La vergine Marphiſa ſi nomaua
     I )i tal valor, che con la ſpada in mano
     Fece piú volte al gran Signor di Rraua
     Sudar la ſrote, e a quel di Montalbano,
     E’l di e la notte armata ſempre andaua
     l’i qua di la cercado in mòte e in piano
     Con cauallieri erranti rifeontrarfi
     Et immortale e glorioſa ferii.

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[100]
Coni’ ella vide Adolfo e Sanſonetto
     Ch’ appretto le venian co l’arme indotto
     Prodi guerrier le paruero all’aſpetto
     Ch’eráo ábeduo gradi, e di buono otto,
     E perche di prouarſi hauria diletto
     Per isſidarli hauea il deſtrier giá moſſo
     Quando affittando l’occhio piú vicino,
     Conoſciuto hebbe il Duca Paladino.

[101]
De la piaceuolezza le ſouenne
     Del cauallier, quado al Cathai ſeco era
     E lo chiamo per nome, e non ſi tenne
     La man nel guanto, e alzoſſi la viſiera,
     E con gran feſta ad abbracciarlo venne:
     Come che fopra ogn’ altra ſotte altiera:
     Non men da l’altra parte riuerente
     Fu il Paladino alla Donna eccellente.

[102]
Tra lor ſi domandaron di lor via
     E poi ch’Aſtolfo (che prima riſpofe)
     Narro, come a Damaſco ſé ne giá
     Doue le genti in arme valoroſe
     Hauea inuitato il Re de la Soria
     A dimoſtrar lor opre virtuoſe,
     Marphiſa ſemp a far grá pruoue acceſa
     Voglio eſſer co voi (ditte) a qſta impſa.

[103]
Somamente hebbe Aſtolfo grata queſta
     Compagna d’arme, e coſi Sanſonetto:
     Furo a Damaſco il di inanzi la feſta
     E di ſuora nel borgo hebbon ricetto,
     E fin’ allhora che dal ſonno detta
     l’Aurora il vecchiarel giá ſuo diletto,
     Quiui ſi ripoſar con maggior agio
     Che ſé fmontati foſſero al palagio.

[104]
E poi che’l miouo Sol lucido e chiaro
     Per tutto ſparfi hebbe i ſulgenti raggi
     La bella Dona e i duo guerrier s’ armaro
     Mandato hauédo alla citta meſſaggi
     Che come tempo ſu, lor rapportaro
     Che per veder ſpezzar ſraſſini e faggi
     Re Norandino era venuto al loco
     C hauea conſtituito al fiero gioco.

[105]
Senza piú indugio alla citta ne vanno
     E per la via maeſtra alla gran piazza
     Doue aſpettando il real ſegno, ſtanno
     Quinci e qndi i guerrier di buona razza
     I premii che quel giorno ſi daranno
     A chi vince, e vno ſtocco & vna mazza,
     Guerniti riccamente, e vn deſtrier quale
     Sia conueneuol dono a vn Signor tale.

[106]
Hauendo Norandin fermo nel core
     Che come il primo pgio, il ſecodo acho
     E d’ambedue le gioſtre, il ſórno honore
     Si debba guadagnar Griphone il biaco:
     Per dargli tutto quel e’ huom di valore
     Dourebbe hauer, ne debbe far co máco,
     Poſto con l’arme in qſto vltimo pgio
     Ha ſtocco e mazza, e dſtrier molto egregio.

[107]
L’arme che ne la gioſtra fatta dianzi
     Si doueano a Griphon, che’l tutto vinſe
     Et che vſurpate hauea con triſti auanzi
     Martano che Griphone eſſer ſi ſinſe,
     Quiui ſi fece il Re pendere inanzi
     E il bè guernito ſtocco a qlle cinſe
     E la mazza all’arcion del deſtrier mette
     PerchGriphò l’u pgio, e l’altro haueffe.

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[108]
Ma che ſua intentione haueſſe effetto
     Vieto quella magnanima Guerriera
     Che con Aſtolfo e col buon Sanſonetto
     In piazza nuouamente venuta era,
     Coſtei vedendo l’arme ch’io v’ho detto
     Subito n’ hebbe conoſcenza vera,
     Perho che giá lue ſuro, e l’hebbe care
     Quanto ſi ſuol le coſe ottime e rare.

[109]
Bé che l’hauea laſciate in ſu la ſtrada
     A quella volta, che le fur d’impaccio,
     Quando per rihauer ſua buona ſpada
     Correa dietro a Brunel degno di laccio,
     Queſta hiſtoria no credo che m’accada
     Altrimenti narrar, perho la taccio,
     Da me vi baſti intendere a che guiſa
     Quiui trouaſſe l’arme ſue Marphiſa.

[110]
Intenderete anchor, che come l’hebbe
     Riconoſciute a manifeſte note.
     Per altro ch ſia al modo, no le haurebbe
     Laſciate vn di di ſua perſona vote,
     Se piú tenere vn modo, o vn’ altro debbe
     Per racquiſtarle ella penſar non puote:
     Ma fegli accorta avn tratto, e la ma ſtéde
     E fenz’ altro riſpetto ſé le prende.

[111]
E per la fretta ch’ella n’ hebbe, auenne
     Ch’ altre ne preſe, altre madonne in terra
     Il Re che troppo oſſeſo ſé ne tenne
     Con vno ſguardo ſol le moſſe guerra
     Ch’el popul che l’ingiuria non ſoſtenne
     Per vendicarlo, e lance, e ſpade afferra
     Non ramentando ciò ch’i giorni inanti
     Nocque il dar noia a i cauallieri erranti.

[112]
Ne ſra vermigli fiori azurri e gialli
     Vago fanciullo alla ſtagion nouella,
     Ne mai ſi ritrouo ſra ſuoni e balli
     Piú volentieri ornata donna e bella:
     Che ſra ſtrepito d’ arme e di caualli
     E ſra punte di lance, e di quadrella
     Doue ſi ſparga ſangue, e ſi dia morte
     Coſtei ſi truoui, oltre ogni creder ſorte.

[113]
Spinge il cauallo, e ne la turba ſciocca
     Con l’haſta baſſa impetuoſa fere,
     E chi nel collo, e chi nel petto imbrocca
     E fa con l’urto, hor qſto, hor ql cadere,
     Poi con la ſpada vno & vn’ altro tocca
     E fa qual ſenza capo rimanere,
     E qual co rotto, e qual paſſato al ſianco,
     E ql del braccio priuo o deſtro o maco.

[114]
L’ardito Aſtolfo e il ſorte Sanſonetto
     C’hauea co lei veſtita e piaſtra e maglia
     (Ben che nò vèner giá per tale effetto)
     Pur vedendo attaccata la battaglia
     Abbaſſan la viſiera de P elmetto
     E poi la lancia per quella canaglia,
     Et indi van con la tagliente ſpada
     Di qua di la facendoli far ſtrada.

[115]
I cauallieri di nation diuerſe
     Ch’ erano per gioſtrar quiui ridutti
     Vedendo l’arme in tal furor conuerſe,
     E gli affettati giuochi in graui lutti,
     Che la cagion e’ haueſſe di dolerſe
     La plebe irata non ſapeano tutti,
     Ne ch’al Re tanta ingiuria foſſe fatta,
     Stauan co dubbia mente e ſtupefatta.

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[116]
Di ch’altri a fauorir la turba venne
     Che tardi poi non ſé ne ſu a pentire,
     Altri a cui la citta piú non attenne
     Che gli ſtranieri accorſe a dipartire:
     Altri piú ſaggio in man la briglia tenne
     Mirando doue queſto haueſſe a vſcire:
     Di quelli ſu Griphone & Aquilante
     Che p vendicar l’arme andaro inante.

[117]
Eſſi vedendo il Re che di veneno
     Hauea le luci inebriate e roſſe,
     Et eſſendo da molti inſtrutti a pieno
     De la Ragion che la diſcordia moſſe,
     E paredo a Griphon che ſua non meno
     Che del Re Norandin, l’ingiuria foſſe,
     S’hauean le lance fatte dar con fretta
     E venian ſulminando alla vendetta.

[118]
Aſtolfo d’altra parte Rabicano
     Venia ſpronando a tutti glialtri inante:
     Con l’incantata lancia d’oro in mano
     C’hal fiero ſcòtro abbatte ogni gioſtrate
     Feri con eſſa, e Iaſcio ſtefo al piano
     Prima Griphone: e poi trouo Aquilante
     E de lo ſcudo tocco l’orlo a pena
     Che lo gitto riuerſo in ſu l’arena.

[119]
I cauallier di pregio e di gran pruoua
     Votan le ſelle inanzi a Sanſonetto,
     L’uſcita de la piazza il popul truoua
     Il Re n’arrabbia d’ira e di diſpetto,
     Con la prima corazza e con la nuoua
     Marphiſa i tato e l’uno e l’altro elmetto:
     Poi che ſi vide a tutti dare il tergo
     Vincitrice venia verſo l’albergo.

[120]
Aſtolfo e Sanſonetto non fur lenti
     A ſeguitarla, e ſeco a ritornarli:
     Verſo la porta, che tutte le genti
     Gli dauan loco, & al raſtrel fermarli,
     Aquilante e Griphon troppo dolenti
     Di vederli a vno incontro riuerſarſi
     Tenean p gran vergogna il capo chino:
     Ne ardian venire inanzi a Norandino.

[121]
Preſi e montati e’ hanno i lor caualli
     Spronano dietro a gli ’nimici in fretta
     Li ſegue il Re con molti ſuoi vaſalli
     Tutti proti o alla morte, o alla vedetta,
     La ſciocca turba grida dalli dalli,
     E ſta lontana, e le nouelle aſpetta,
     Griphone arriua, oue volgean la ſronte
     I tre compagni, & hauean preſo il ponte.

[122]
A prima giunta Aſtolfo raffigura:
     C hauea quelle medeſime diuiſe,
     Hauea il cauallo, hauea quella armatura
     C’hebbe dal di ch’Horril fatale vcciſe,
     Ne miratol ne poſto gli hauea cura
     Quádo in piazza a gioſtrar ſeco ſi miſe:
     Quiui il conobbe e ſalutollo, e poi
     Gli domando de li compagni ſuoi.

[123]
E perche tratto hauean qll’arme a terra
     Portádo al Re ſi poca riuerenza,
     Di ſuoi còpagni il Duca d’Inghilterra
     Diede a Griphon non falſa conoſcenza,
     De l’arme ch’attaccate hauean la guerra
     Diſſe che non n’ hauea troppa ſcienza,
     Ma perche con Marphiſa era venuto
     Dar le volea con Sanſonetto aiuto.

[p. 221 modifica]

[124]
Quiui con Griphon dando il Paladino
     Viene Aquilante, e lo conoſce toſto
     Che parlar col ſratel l’ode vicino,
     E il voler cangia ch’era mal diſpoſto:
     Giungean molti di quei di Norandino
     Ma troppo non ardian venire accorto,
     E tanto piú: vedendo i parlamenti
     Stallano cheti, e per vdire intenti,

[125]
Alcun ch’intende quiui eſſer Marphiſa
     Che tiene al mòdo il v.íto in eſſer ſorti-.
     Volta il cauallo, e Norandino auiſa
     Che s’ hoggi nò vuol pder la ſua corte,
     Proueggia, prima che ſia tutta vcciſa
     Di man Trarla a Teſiphone, e alla morte
     Perche Marphiſa veramente e ſtata
     Che l’armatura in piazza gliha leuata.

[126]
Come Re Norandino ode quel nome
     Coſi temuto per tutto Leuante,
     Che facea a molti acho arricciar le chiome
     Ben che ſpeffo da lor foſſe diſtante
     E certo, che ne debbia venir, come
     Dice quel ſuo: ſé non prouede inante
     Perno gli ſuoi che giá mutata l’ira
     Hano in timore, a ſé richiama e tira.

[127]
Da l’atra parte i ſigli d’Oliuiero,
     Co Sanſonetto, e col ſigliuol d’Othone
     Supplicando a Marphiſa, tanto fero
     Che ſi die ſine alla crudel tenzone,
     Marphiſa giunta al Re con viſo altiero
     Diſſe, io non ſo Signor con che ragione
     Vogli qſt’ arme dar che tue non ſono:
     Al vincitor de le tue gioſtre in dono?

[128]
Mie ſono l’arme, e’n mezo de la via
     Che vien d’Arméia, vn giorno le laſciai
     Perche ſeguire a pie mi conuenia
     Vn rubator, che m’hauea oſſeſa assai:
     E la mia inſegna teſtimon ne ſia
     Che qui ſi vede, ſé notitia n’ hai:
     (E la moſtro ne la corazza impreffa)
     Ch’ era in tre parti vna corona fetta.

[129]
Glie ver (riſpoſe il Re) che mi fur date
     v Son pochi di) da un mercatate Arméo
     E ſé voi me l’haueſſe domandate
     l’haureſte hauute, o voſtre o no che ſieno
     Ch’auèga ch’a Griphon giá l’ho donate
     Ho tanta fede in lui, che non dimeno
     Accio a voi darle haueſſi anche potuto
     Volètieri il mio don m’hauria renduto.

[130]
Non biſogna allegar, per farmi fede
     Che voſtre ſien, che tèga voſtra iſegna,
     Baſti il dirmelo voi, che vi ſi crede
     l’in, ch’aqual’altro teſtimonio vegna,
     Che voſtre ſian voſtr’arme, ſi conciede
     Alla virtú di maggior premio degna,
     Hor ve l’habbiate, e piú non ſi contéda
     E Griphon maggior pmio da me preda.

[131]
Griphon, ch poco a cor hauea qll’arme
     Ma gran dillo che’l Re ſi ſatisfaccia,
     (Gli diſſe) assai potete compenſarme
     Se mi fate ſaper ch’io vi compiaccia:
     Tra ſé diſſe Marphiſa, eſſer qui parme
     L’honor mio i tutto, e co benigna faccia
     Volle a Griphon de l’arme eſſer corteſe
     E ſinalmente in don da lui le preſe.

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[132]
Ne la citta con pace e con amore
     Tornaro, oue le feſte raddoppiarli,
     Poi la gioſtra ſi ſé, di che l’honore
     E’l pregio Sanſonetto fece darſi,
     Ch’ Aſtolfo e i duo ſratelli, e la migliore
     Di lor Marphiſa, non volſon prouarſi,
     Cercando com’amici e buon cópagni
     Che Sanſonetto il pregio ne guadagni.

[133]
Stati che ſono in gran piacere e in feſta
     Con Norandino otto giornate o diece
     Perche I’ amor di Francia gli moleſta
     Che laſciar ſenza lor tanto non lece,
     Tolgon licentia, e Marphiſa che queſta
     Via diſiaua, compagnia lor fece:
     Marphiſa hauuto hauea lungo diſire
     Al paragon de i Paladin venire.

[134]
E far eſperientia ſé l’effetto
     Si pareggiaua a tanta nominanza
     Laſcia vn’ altro in ſuo loco Sanſonetto
     Che di Hieruſalem regga la ſtanza,
     Hor queſti cinque invn drappello eletto
     Che pochi pari al modo han dipoſſanza
     Licentiati dal Re Norandino
     Vano a Tripoli, e al mar ch v’ e vicino.

[135]
E quiui vna Caracca ritrouaro
     Che per Ponente mercantie raguna,
     Per loro e pei caualli s’ accordaro
     Con vn vecchio patron ch’era da Luna:
     Moſtraua d’ ognintorno il tempo chiaro
     C haurian per molti di buona Fortuna,
     Sciolſer dal lito, hauendo aria ſerena
     E di buon vento ogni lor vela piena.

[136]
L’Ifola ſacra all’amorofa Dea
     Diede lor ſotto vn’ aria il primo porto
     Ch (no ch’a oſieder glihuomini ſia rea)
     Ma ſtèpra il ferro, e quiui e’l viuer corto
     Cagion n’ e vn ſtagno, e certo non douea
     Natura a Famagoſta far quel torto
     D’ appffarui Coſtanza acre e maligna
     Quando al reſto di Cypro e ſi benigna.

[137]
Il graue odor che la palude eſhala
     No laſcia al legno far troppo ſoggiorno
     Quldi a li Greco leuate ſpiego ogni ala
     Volado da man deſtra a Cypro intorno
     E ſurſe a Papho, e poſe in terra ſcala:
     E i nauiganti vſcir nel lito adorno
     Chi per merce leuar: chi per vedere
     La terra d’Amor piena, e di piacere.

[138]
Dal mar fei miglia o fette, apoco apoco
     Si va ſalendo in verſo il colle ameno,
     Myrti, e Cedri, e Naraci, e Lauri, il loco
     E mille altri ſoaui arbori han pieno
     Serpillo, e Perſa, e Roſe, e Gigli, e Croco
     Spargon da l’odoriſero terreno
     Tanta ſuauita, ch’in mar ſentire
     La fa ogni vento che da terra ſpire.

[139]
Da l’impida ſontana, tutta quella
     Piaggia, rigado va vn ruſcel fecondo.
     Ben ſi può dir che ſia di Vener bella
     Il luogo diletteuole, e giocondo,
     Che v’e ogni dona affato, ogni dòzella
     Piaceuol, piú ch’altroue ſia nel mondo,
     E fa la Dea che tutte ardon d’ amore
     Giouani e vecchie inno all’ultime hore.

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[140]
Quiui odono il medefímo, ch’udito
     Di Lucina e de l’Orco hanno in Soria,
     E come di tornare ella a marito
     Facea nuouo apparecchio in Nicoſia,
     Quindi il padrone (eſſendoſi eſpedito
     E (ſurando buon vento alla ſua via)
     l’ancore farpa, e fa girar la proda
     Verſo Ponente, & ogni vela ſnoda.

[141]
Al vento di Maeſtro. alzo la naue
     Le vele all’orza, & allargoſſi in alto,
     Vn Ponente Libecchio, che ſoaue
     Parue a pricipio, e ſin ch’I Sol ſlette alto
     E poi ſi ſé verſo la ſera graue
     Le leua incotra il mar con fiero aſſalto,
     Con tanti tuoni: e tanto ardor di lampi
     Ch par che’l ciel ſi (pezzi, e tutto auapi.

[142]
Stendon le nubi vn tenebroſo velo
     Che ne Sole apparir laſcia ne ſtella,
     Di ſotto il mar: di fopra mugge il cielo:
     Il vento d’ognintorno, e la procella
     Che di pioggia oſcuriſſima, e di gelo
     1 nauiganti miſeri ſlagella:
     E la notte piú ſempre ſi diffonde
     Sopra l’irate e formidabil’onde.

[143]
1 nauiganti, a dimoſtrare effetto
     Vanno de l’arte in che lodati ſono:
     Chi diſcorre ſiſchiando col ſraſcheto,
     E cjjto ha glialtri a far, moſtra col ſuono,
     Chi l’ancore apparechia da riſpetto,
     E chi al mainar, e chi alla ſcotta e buono
     Ch’il timone chi l’arbore aſſicura
     Chi la coperta di ſgombrare ha cura.

[144]
Crebbe il tempo crudel tutta la notte
     Caliginoſa e piú ſcura ch’inſerno,
     Tien per l’alto il padrone, oue men rotte
     Crede l’onde trouar, dritto il gouerno,
     E volta ad hor ad hor contra le botte
     Del mar la proda, e del’horribil verno,
     Nò ſenza ſpeme mai: ch come aggiorni
     Ceffi Fortuna, o piú placabil torni.

[145]
Non ceſſa, e non ſi placa, e piú furore
     Moſtra nel giorno, ſé pur giorno e qſto,
     Che ſi conoſce al numerar de l’hore
     Non che per lume giá ſia manifeſto,
     Hor con minor ſperanza, e piú timore
     Si da in poter del vèto il padron meſto,
     Volta la poppa all’ode, e il mar crudele
     Scorrendo ſé ne va con humil vele.

[146]
Mentre Fortuna in mar queſti trauaglia
     No laſcia ancho poſar qglialtri in terra
     Che ſono in Frácia, oue s’ uccide e taglia
     Co i Saracini il popul d’ Inghilterra,
     Quiui Rinaldo aſſale, apre, e ſbaraglia
     Le ſchiere auuerſe, e le bandiere atterra,
     Diſſi di lui, che’l ſuo deſtrier Baiardo
     Moſſo hauea gtraa Dardinel gagliardo.

[147]
Vide Rinaldo il ſegno del quartiero
     Di che ſuperbo era il ſigliuol d’Almòte
     E lo ſtimo gagliardo e buon guerriero
     Che cócorrer d’infegna ardia col Cote:
     Vene piú appreſſo, e gli parea piú vero
     C hauea d’ Storno huomini vcciſi a mote,
     Meglio e, grido, ch pria io ſuella e ſpéga
     Queſto mal germe, ch maggior diuéga.

[p. 224 modifica]


[148]
Douunqj il viſo drizza il Paladino
     Leuaſi ognuno, e gli da larga ſtrada,
     Ne men ſgobra il Fedel che’l Saracino
     Si reuerita e la famoſa ſpada,
     Rinaldo ſuor che Dardinel meſchino
     Non vede alcuno, e lui ſeguir nò bada:
     Grida Fanciullo gran briga ti diede
     Chi ti laſcio di qſto ſcudo herede.

[149]
Vengo a te per prouar, ſé tu m’attendi
     Coe bè guardi il quartier roſſo e biaco:
     Che s’hora contra me non lo diffendi
     Difender cotra Orlando il potrai maco:
     Riſpoſe Dardinello, hor chiaro apprèdi
     Che s’ io lo porto il ſo difender’ ancho
     E guadagnar piú honor ch briga poſſo,
     Del paterno quartier candido e roſſo.

[150]
Perche fanciullo io ſia no creder farme
     Perho ſuggire, o che’l quartier ti dia,
     La vita mi torrai ſé mi toi l’arme
     Ma ſpero in Dio ch’anzi il contrario ſia,
     Sia ql ch vuol, no potrá alcu biaſmarme
     Che mai traligni alla progenie mia,
     Coſi dicendo con la ſpada in mano
     Affalſe il cauallier da Montalbano.

[151]
Vn timor ſreddo tutto’ 1 ſangue oppreſſe
     Che gli Africani haueáo Storno al core:
     Come vider Rinaldo, che ſi meſſe
     Con tata rabbia incontra a ql Signore
     Co qjta adria ú leo, ch’al prato haueffe
     Viſto vn Torel ch’achor no ſenta amor:
     Il primo che feri fu’l Saracino
     Ma picchio in va ſu l’elmo di Mabrino.

[152]
Riſe Rinaldo e diſſe, io vo tu ſenta
     S’ io ſo meglio di te trouar la vena,
     Sprona, e a ú tpo al dſtrier la briglia alieta:
     E d’ una puta co tal ſorza mena
     IV una punta ch’al petto gli appreſenta:
     Ch gli la fa apparir dietro alla ſchena,
     Quella traſſe al tornar V alma col ſangue
     Di fella il corpo vſci ſreddo & eſangue.

[153]
Come purpureo fior languendo muore
     Che’l vomere al paſſar tagliato laſſa:
     O come carco di ſuperchio humore
     Il papauer nel’horto il capo abbaſſa:
     Coſi, giú de la faccia ogni colore
     Cadendo, Dardinel di vita paſſa,
     Paſſa di vita, e fa paſſar con lui
     Lardire e la virtú de tutti i ſui.

[154]
Qual ſoglion l’accg p humano ingegno
     Stare ingorgate alcuna volta e chiuſe:
     Che quado lorvien poi rotto il foſtegno
     Caſcano, e van con gran rumor difuſe,
     Tal gli Africa c’hauea qualche ritegno
     Mentre virtú lor Dardinello inſuſe,
     Ne vano hor ſparti in qſta parte e! qlla,
     Che l’han veduto vſcir morto di fella.

[155]
Chi vuol ſuggir, Rinaldo ſuggir laſſa
     Et attende a cacciar chi vuol ſtar ſaldo,
     Si cade ouunqj Ariodante paſſa
     Che molto va quel di preſſo a Rinaldo,
     Altri Lionetto, altri Zerbin ſracaſſa
     A gara ognuno a far gran proue caldo,
     Carlo fa il ſuo douer, lo fa Oliuiero
     Turpino, e Guido, e Salamone, e Vgiero.

[p. 225 modifica]


[156]
I Mori fur quel giorno in gran periglio
     Che’n Pagania non ne tornane teſta:
     Ma’l ſaggio Re di Spagna da di piglio
     E ſé ne va con quel che in man gli reſta,
     Reſtar in danno tien miglior conſiglio
     Che tutti i denar perdere, e la veſta,
     Meglio e ritrarſi, e ſaluar qualche ſchiera
     Ch ſtado, eſſer cagio che’l tutto pera

[157]
Verſo glialloggiamenti i ſegni inula
     Ch’eron ferrati d’argine, e di ſoſſa:
     Con Stordilan: col Re d’Andologia:
     Col Portugheſe, in vna ſquadra groſſa,
     Manda a pregar il Re di Barbaria
     Che ſi cerchi ritrar meglio che poſſa,
     E ſé quel giorno la perſona e’l loco
     Potrá ſaluar: non haura fatto poco,

[158]
Quel Re che ſi tenea ſpacciato al tutto
     Ne mai credea piú riueder Biſerta,
     Che con viſo ſi horribile e ſi brutto
     Vii quáco non hauea Fortuna eſperta,
     S’allegro che Marſilio hauea ridutto
     Parte del campo in ſicurezza certa,
     Et a ritrarſi comincio: e a dar volta
     Alle bandiere, e ſé ſonar raccolta.

[159]
Ma la piú parte de la gente rotta
     Ne tromba ne tambur ne ſegno aſcolta,
     Tanta ſu la viltá, tanta la dotta
     Ch’ in Senna ſé ne vide affogar molta,
     11 Re Agramante vuol ridur la ſrotta
     Seco ha Sobrino, e va ſcorredo in volta
     E con lor s’ affatica ogni buon Duca
     Che ne i ripari il campo ſi riduca.

[160]
Ma ne il Re, ne Sobrin, ne Duca alcuno
     CO prieghi: con minacele, con affanno:
     Ritrar può il terzo (non ch’io dica ognuno)
     Doue l’infegne mal ſeguite vanno:
     Morti o ſuggiti ne ſon dua, per vno
     Che ne rimane, e quel non ſenza danno
     Ferito e chi di dietro, e chi dauanti
     Ma trauagliati e laſſi tutti quanti.

[161]
E con gran tema ſin dentro alle porte
     De i ſorti allogiamèti hebbon la caccia,
     Et era lor quel luogo ancho mal ſorte
     Con ogni proueder che vi ſi faccia:
     Che ben pigliar nel crin la buona ſorte
     Carlo ſapea quando volgea la faccia,
     Se non venia la notte tenebroſa
     Ch ſiacco il fatto, & acqueto ogni coſa.

[162]
Dal Creator accelerata ſorſè,
     Che de la ſua fattura hebbe pietade,
     Ondeggio il ſangue per capagna, e corſe
     Come vn gran fiume, e dilago le ſtrade,
     Ottanta mila corpi numerorſe
     Che fur quel di meſſi per ſil di ſpade,
     Villani e lupi vſcir poi de le grotte
     A diſpogliargli e a deuorar la notte.

[163]
Carlo non torna piú dentro alla terra
     Ma contra gli nimici ſuor s’accampa,
     Et in aſſedio le lor tende ferra
     Et alti e ſpeſſi ſuochi intorno auampa,
     Il Pagan ſi prouede, e caua terra
     Foſſi e ripari e baſtioni ſtampa:
     Va riuedendo e tien le guardie deſte
     Ne tutta notte mai l’arme ſi fueſte.

[p. 226 modifica]


[164]
Tutta la notte per glialloggiamenti
     De i mal ſicuri Saracini oppreſſi,
     Si verſan pianti: gemiti: e lamenti
     Ma quanto piú ſi può, cheti e ſoppreſſi,
     Altri pche gli amici hanno, e i parenti
     Laſciati morti, & altri per ſé ſteffi
     Che ſon feriti, e con diſagio ſtanno
     Ma piú e la tema del ſuturo danno.

[165]
Duo Mori iui ſra glialtri ſi trouaro
     D’oſcura ſtirpe nati in Tolomitta,
     De quai l’hiſtoria, per eſempio raro
     Di vero amore, e degna eſſer deſcritta,
     Cloridano e Medor ſi nominaro,
     Ch’ alla fortuna proſpera e alla afflitta
     Haueano ſempre amato Dardinello
     Et hor paſſato in Francia il mar co qllo.

[166]
Cloridan cacciator tutta ſua vita
     Di robuſta perſona era & iſnella,
     Medoro hauea la guancia colorita
     E bianca e grata ne la etá nouella,
     E ſra la gente a quella impreſa vſcita
     Non era faccia piú gioconda e bella,
     Occhi hauea neri, e chioma creſpa d’ oro
     Angel parea di qi del ſommo choro.

[167]
Erano queſti duo fopra i ripari
     Co molti altri a guardar gli alloggiameli,
     Quando la notte ſra diſtantie pari
     Miraua il ciel con gliocchi ſonnolenti,
     Medoro quiui in tutti i ſuoi parlari
     Nò può far che’l Signor ſuo no ramenti
     Dardinello d’Almote, e che no piagna
     Che reſti ſenza honor ne la capagna.

[168]
Volto al compagno diſſe, o Cloridano
     Io non ti poſſo dir quanto m’increſca
     Del mio Signor, ch ſia rimaſo al piano
     Per lupi e corbi, ohimè troppo degna eſca
     Peſando come ſempre mi ſu humao
     Mi par, che qn anchor qſta anima eſca
     In honor di ſua fama, io non compenfi
     Ne ſciolga verſo lui glioblighi imméfi.

[169]
Io voglio andar, perche nò ſtia iſepulto
     In mezo alla capagna a ritrouarlo,
     E ſorſè Dio vorrá ch’io vada occulto
     La doue tace il campo del Re Carlo:
     Tu rimarrai, che quádo in ciel ſia ſculto
     Ch’ io vi debba morir, potrai narrarlo,
     Che ſé Fortuna vieta ſi bell’opra
     Per fama almeno il mio buon cor ſi ſcuopra.

[170]
Stupiſce Cloridan che tanto core
     Tato amor, tata fede, habbiavn faciullo.
     E cerca assai (perche gli porta amore)
     Di fargli quel penſiero irrito e nullo:
     Ma non gli vai, perch’ un ſi gran dolore
     Non riceue conſorto ne traſtullo,
     Medoro era diſpoſto, o di morire
     O ne la tomba il ſuo Signor coprire.

[171]
Veduto che noi piega e ch noi muoue
     Cloridan gli riſponde, e verro anch’io,
     Anch’ io vuo pormi a ſi lodeuol pruoue:
     Anch’io famoſa morte amo e diſio:
     Qua] coſa fará mai che piú mi gioue
     S’io reſto ſenza te Medoro mio?
     Morir teco con l’arme, e meglio molto
     Che poi di duol, s’ auuien che mi ſii tolto

[p. 227 modifica]


[172]
Coſi diſpoſti metterò in quel loco
     Le ſucceſſiue guardie, e ſé ne vanno,
     Laſcian foſſe e ſteccati, e dopo poco
     Tra noſtri ſon che ſenza cura ſtanno,
     II capo dorme, e tutto e ſpéto il fuoco
     Perche de i Saracin poca tema hanno,
     Tra l’arme e carriaggi ſtan rouerfi
     Nel vin nel ſono iſino a gliocchi imerfi.

[173]
Fermoſſi alquato Cloridano, e diſſe:
     Non ſon mai da laſciar l’occafioni,
     Di queſto ſtuol che’l mio Signor trafiſſe
     Non debbo far Medoro occiſioni ?
     Tu, perche fopra alcun non ci veniſſe,
     Gliocchi e l’orecchi in ogni parte poni:
     Ch’ io m’offeriſco farti con la ſpada
     Tra gli ’minici ſpatiofa ſtrada.

[174]
Coſi diſſe egli, e toſto il parlar tenne
     Kt entro doue il dotto Alpheo dormia,
     Che l’ano inazi in corte a Carlo venne
     Medico e Mago, e pien d’ Aſtrologia,
     Ma poco a queſta volta gli ſouenne
     Anzi gli diſſe in tutto la bugia,
     Predetto egli s’hauea, che d’ani pieno
     Douea morire alla ſua moglie in ſeno,

[175]
Et hor gli ha meſſo il cauto Saracino
     La punta de la ſpada ne la gola,
     Quattro altri vecide appſſo all’indouio,
     Che non han tempo a dire vna parola,
     Mention de i nomi lor non fa Turpino
     E’l lungo andar le lor notitie inuola,
     Dopo eſſi Palidon da Monchalieri
     Che ſicuro dormia ſra duo deſtrieri.

[176]
Poi ſé ne vien doue col capo giace
     Appoggiato al barile il miſer Grillo,
     Hauealo voto, e hauea creduto in pace
     Goderſi un ſonno placido e tranquillo:
     Trocogli il capo il Saracino audace,
     Eſce col ſangue il vin per vno ſpillo
     Di che n’ha in corpo piú d’una bigoncia
     E di ber ſogna, e Cloridan lo feoncia.

[177]
E pſſo a Grillo, vn Greco & vn Tedeſco
     Spège í dui colpi Andropono eCórado,
     Che de la notte hauea goduto al ſreſco
     Gra parte hor co la tazza hora col dado
     Felici ſé vegghiar ſapeano a deſco
     l’in ch de l’Indo il Sol paſſaſſi il guado:
     Ma nò potria ne gli huomini il deſtino
     Se del ſuturo ognun foſſe indouino.

[178]
Come impatto Leone in ſtalla piena
     Ch lúga fame habbia ſmacrato eafeiutto
     Vecide: ſcanna: mangia: a ſtratio mena
     l’inſermo gregge in ſua balia condutto,
     Coſi il crudel Pagan, nel ſonno ſuena
     La noſtra gente, e fa macel per tutto,
     La ſpada di Medoro ancho non hebe
     Ma ſi ſdegna ferir P ignobil plebe.

[179]
Venuto era oue il Duca di Labretto
     Co vna dama ſua dormia abbracciato:
     E l’un con l’altro ſi tenea ſi ſtretto
     Che non faria tra lor l’aere entrato,
     Medoro ad ambi taglia il capo netto
     O felice morire, o dolce fato:
     Che come erano i corpi, ho coſi fede
     Ch’adar l’alme abbracciate alla lor fede

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[180]
Malindo vcciſe e Ardalico il fratello
     Che del conte di Fiandra erano ſigli
     E l’uno e l’altro cauallier nouello
     Fatto hauea Carlo, e aggiunto all’arme i gigl
     Pereti il giorno amèdui d’hoſtil macello
     Con gli ſtocchi tornar vide vermigli:
     E terre in Friſa hauea prometto loro
     E date hauria, ma lo vieto Medoro.

[181]
Gl’infidiofi ferri eran vicini
     A i padiglioni, che tiraro in volta
     Al padiglion di Carlo: i Paladini
     Facendo ognun la guardia la ſua volta,
     Quando da l’empia ſtrage i ſaracini
     Traffon le ſpade, e diero a tempo volta,
     Ch’impoffibil lor par: tra ſi gran torma
     Ch no s’habbia a trouar vn ch nò dorma

[182]
E ben che poſſan gir di preda carchi
     Saluin pur ſé, ch fanno assai guadagno:
     Oue piú creda hauer ſicuri i varchi
     Va Cloridao, e dietro ha il ſuo 9pagno:
     Vengon nel capo oue ſra ſpade & archi
     E feudi e lance in vn vermiglio ſtagno
     Giaccion poueri e ricchi, e Re e vaſſalli
     E fozzopra, con gli huomini i caualli.

[183]
Quiui de i corpi l’horrida miſtura
     Ch piena hauea la gran cápagna itorno:
     Potea far vaneggiar la fedel cura
     De i duo 9pagni iſino al far del giorno:
     Se non trahea ſuor d’una nube oſcura
     A prieghi di Medor la Luna il corno,
     Medoro in ciel diuotamente ſiſſe
     Verſo la Luna gliocchi, e coſi diſſe.

[184]
O ſanta Dea che da gliantiqui noſtri
     Debitamente fei detta triforme,
     Ch’in cielo: in terra: e ne l’inferno moſtri
     L’alta bellezza tua: ſotto piú ſorme,
     E ne le ſelue di Fere e di Moſtri
     Vai cacciatrice ſeguitando l’orme,
     Moſtrami oue’l mio Re giaccia ſra tanti
     Che viuendo imito tuoi ſtudi fanti.

[185]
La Luna a quel pregar la nube aperſe
     (O foſſe caſo o pur la tanta fede)
     Bella come ſu allhor, ch’ella s’ oſſerſe
     E nuda in braccio a Endimion ſi diede,
     Con Parigi a quel lume ſi ſcoperſe
     l’un capo e l’altro, e’l mòte e’l pia ſivede
     Si videro i duo colli di lontano
     Martyre a deſtra, e Leri all’altra mano.

[186]
Rifulſe lo ſplendor molto piú chiaro
     Oue d’Almote giacea morto il figlio:
     Medoro andò piagédo al Signor caro
     Ch conobbe il qrtier biáco e vermiglio:
     E tutto’l viſo gli bagno d’amaro
     Piato, ch n’ hauea u rio ſotto ogni ciglio
     In ſi dolci atti in ſi dolci lamenti
     Che potea ad aſcoltar fermare i venti.

[187]
Ma con ſommeſſa voce e a pena vdita
     Non che riguardi a non ſi far ſentire
     Pere’ habbia alcun pèſier de la ſua vita,
     Piú toſto l’odia, e ne vorrebbe vſcire,
     Ma per timor che non gli ſia impedita
     l’opera pia che quiui il ſé venire,
     Fu il morto Re ſu gli homeri foſpefo
     Di tramendui, tralor partendo il peſo.

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[188]
Vano affrettando i paſſi quanto ponno
     Sotto l’amata ſoma che gl’ingombra,
     E giā venia chi de la luce e donno
     Le ſtelle a tor del ciel di terra l’ombra.
     Quādo Zerbino, a cui del petto il Conno
     L’alta virtude oue e biſogno ſgombra,
     Cacciato hauendo tutta notte i Mori
     Al campo ſi trahea ne i primi albori.

[189]
E Teco alquanti cauallieri hauea
     Che videro da lunge i dui compagni.
     Ciaſcuno a quella parte ſi trahea
     Sperandoui trouar prede e guadagni.
     Frate biſogna (Cloridan dicea)
     Gittar la ſoma: e dare opra a i calcagni:
     Che farebbe penſier non troppo accorto
     Perder duo viui per ſaluar vn morto.

[190]
E gitto il carco perche ſi penſaua
     Che’l ſuo Medoro il ſimil far doueſſe,
     Ma ql meſchin che’l ſuo Signor piū amaua
     Sopra le ſpalle ſue tutto lo reſſe,
     L’altro con molta fretta ſé n’andaua
     Come l’amico aparo o dietro haueffe,
     Se ſapea di laſciarlo a quella ſorte
     Mille aſpettate hauria nò ch’una morte.

[191]
Quei cauallier con animo diſpoſto
     Che queſti a réder s’habbino o a morire
     Chi qua chi la ſi ſpargono: & han toſto
     Preſo ogni paſſo onde ſi poſſa vſcire,
     Da loro il capitan poco difeoſto
     Piū de glialtri e ſollicito a ſeguire,
     Ch’in tal guiſa vedendoli temere
     Certo e che ſian de le nimiche ſchiere

[192]
Era a quel tempo iui vna ſelua antica
     D’ombroſe piante ſpeffa, e di virgulti:
     Che come labyrintho entro s’intrica
     Di ſtretti calli, e ſol da beſtie culti,
     Sperali d’hauerla i duo Pagan ſi amica
     C’habbi’a tenerli étro a ſuoi rami occulti
     Ma chi del canto mio piglia diletto
     Vn’altra volta ad aſcoltarlo aſpetto.