L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo VIII

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO VIII.


I deportati nei dintorni del ricinto — Domicilio provvisorio — Continuazione della cura di Harbert — Le prime allegrie di Pencroff — Ritorno al passato — Quel che prepara l’avvenire — Le idee di Cyrus Smith in proposito.

Dunque i deportati erano sempre là, spiando il ricinto e decisi ad uccidere i coloni l’uno dopo l’altro. Non v’era nulla a fare fuor che trattarli da belve feroci. Ma si dovevano prendere molte cautele, per chè quei miserabili avevano ora il vantaggio della situazione: potevano vedere non visti, sorprendere con repentini assalti senza essere sorpresi.

Cyrus Smith s’accomodò in guisa da poter vivere al ricinto, le cui provviste potevano del resto bastare per un pezzo. La casa di Ayrton era stata fornita di tutto il necessario alla vita, ed i deportati, atterriti dall’arrivo dei coloni, non avevano avuto tempo di saccheggiare. Era probabile, come aveva fatto osservare Gedeone Spilett, che le cose fossero andate a questo modo: i sei deportati sbarcati sull’isola ne [p. 85 modifica]avevano seguito il litorale sud e dopo d’aver percorso la doppia spiaggia della penisola Serpentina, non avendo voglia di avventurarsi nei boschi del Far-West, erano giunti alla foce del rivo della Cascata. Colà, risalendo la riva manca del corso d’acqua, erano arrivati ai contrafforti del monte Franklin, fra i quali era naturale che cercassero rifugio, e non avevano potuto tardare a scoprire il ricinto, allora disabitato, dove si erano probabilmente accomodati aspettando il momento di porre in atto il loro abbominevole disegno. L’arrivo di Ayrton li aveva sorpresi, ma essi erano riusciti ad impadronirsi del disgraziato e.... il resto si indovina facilmente.

Ed ora i deportati, ridotti a cinque, è vero, ma ben armati, — vagavano nei boschi, ed avventurarvisi era esporsi ai loro colpi senza che fosse possibile pararli o prevenirli.

— Aspettare! non v’è altro da fare, ripeteva Cyrus Smith; quando Harbert sarà guarito, noi potremo fare un’esplorazione intera dell’isola e domare quei furfanti. Sarà l’oggetto della nostra grande spedizione e in pari tempo...

— La ricerca del nostro protettore misterioso, aggiunse Gedeone Spilett compiendo la frase dell’ingegnere. Ah! giova confessare, mio caro Cyrus, che questa volta la protezione ci è mancata e proprio nel momento che ci sarebbe stata cara.

— Chissà! rispose l’ingegnere.

— Che volete dire domandò il reporter.

— Che non siamo al termine delle nostre pene, caro Spilett, e che il poderoso intervento avrà forse ancora da manifestarsi. Ma non di ciò si tratta. Prima la vita di Harbert.

Era questa la più dolorosa inquietudine dei coloni. Passarono alcuni giorni, e lo stato del povero giovane non aveva peggiorato. Ora, guadagnar tempo sulla malattia era gran cosa. L’acqua fredda, sempre [p. 86 modifica]mantenuta nella temperatura conveniente, aveva impedito del tutto l’infiammazione delle piaghe. Anzi parve a Spilett che l’acqua sulfurea — a cagione della vicinanza del vulcano — avesse effetto più diretto sull’infiammazione. Le ferite suppuravano già molto meno; in grazia delle cure di cui Harbert era circondato, tornava alla vita e la sua febbre scemava ogni giorno. Era d’altra parte sottoposto ad una dieta severa, e perciò la sua debolezza era e doveva essere estrema, ma non gli mancavano le tisane, ed il riposo assoluto gli faceva un gran bene.

Cyrus Smith, Gedeone Spilett e Pencroff erano divenuti abilissimi nel bendare il ferito. Tutta la biancheria di casa era stata sacrificata. Le piaghe di Harbert, coperte di compresse e filaccie, non venivano strette nè troppo nè poco, in guisa da cicatrizzare senza produrre reazione infiammatoria. Il reporter metteva in quei bendamenti la massima cura, sapendo bene quale ne fosse l’importanza e ripetendo ai compagni ciò che molti medici riconoscono volentieri: cioè che è più raro vedere un bendamento ben fatto che un’operazione ben fatta.

In capo a venti giorni, il 22 novembre, Harbert stava molto meglio. Aveva cominciato a prendere cibo; gli tornava il colore alle guancie ed i suoi occhi sorridevano dolcemente agli infermieri. Parlava anche un poco, malgrado gli sforzi di Pencroff, il quale chiacchierava come un mulinello per impedirgli di prendere la parola e raccontava cento storielle una più stravagante dell’altra. Harbert lo aveva richiesto di Ayrton, cui si stupiva di non vederlo intorno a sè, immaginandosi che fosse al ricinto; ma Pencroff, non volendolo affliggere, andava dicendo che Ayrton aveva raggiunto Nab per difendere il Palazzo di Granito.

— Quei pirati!... diceva egli: ecco per esempio dei gentiluomini che non hanno più diritto a riguardi di sorta. Ed il signor Smith che voleva domarli coi sen[p. 87 modifica]timenti! Gliene manderò io del sentimento, ma in piombo di calibro!

— E non furono più riveduti? domandò Harbert.

— No, fanciullo mio, ma li troveremo, e quando sarete guarito vedremo se quei vigliacchi che colpiscono alle spalle, oseranno assalirci faccia a faccia.

— Io sono ancora tanto debole, mio povero Pencroff.

— Le forze torneranno un po’ alla volta. Che cosa è una palla attraverso il petto? Una brutta facezia; ne ho visto ben altre io, e non star mica tanto male per questo.

Infine le cose sembravano andare per lo meglio, e poichè non sopravveniva alcuna complicazione, il risanamento di Harbert poteva considerarsi come certo. Ma quale sarebbe stata la condizione dei coloni se lo stato del ferito si fosse aggravato; se per esempio gli fosse rimasta la palla nel corpo; se gli si avesse dovuto amputare un braccio od una gamba!

— No, disse più d’una volta Gedeone Spilett, io non ho mai pensato senza fremere a tale sciagura!

— Eppure, se fosse stato necessario agire, gli rispose un giorno Cyrus Smith, non avreste esitato!

— No, Cyrus, disse Gedeone Spilett, ma sia bene detto Iddio che ci ha risparmiato questo guajo!

Come in molte altre congiunture, i coloni avevano fatto appello a quella logica del semplice buon senso che li aveva tante volte serviti, ed in grazia delle loro cognizioni generiche, erano anche in questa riusciti. Ma non doveva forse giungere il momento in cui tutta la loro scienza divenisse impotente? Erano soli in quell’isola. Ora, se gli uomini si completano nello stato di società, sono necessarî gli uni agli altri. Cyrus Smith lo sapeva bene, e si domandava talvolta se non dovesse avvenire qualche guajo che si trovassero impotenti a superare.

Parevagli, d’altra parte, che i suoi compagni e lui, finora tanto felici, fossero entrati in un periodo ne[p. 88 modifica]fasto. Da tre anni e mezzo dacchè erano fuggiti da Richmond, si può dire che tutto era andato a maraviglia. L’isola aveva loro fornito in abbondanza vegetali, minerali, animali, e mentre la natura avevali costantemente colmati di doni, la loro scienza aveva saputo trar partito di tutto, il benessere materiale della colonia era, per così dire, completo. Inoltre, in certe occasioni, era venuta in loro ajuto un’inesplicabile influenza.... ma tutto ciò poteva avere un termine!

In una parola, pareva a Cyrus Smith che la sorte volesse volgersi contro di essi.

Infatti la nave dei deportati si era mostrata nell’isola, e se quei pirati erano stati, per così dire, distrutti miracolosamente, sei di loro erano scampati alla catastrofe, erano sbarcati sull’isola, ed i cinque superstiti si potevano dire imprendibili. Ayrton era stato, senza alcun dubbio, trucidato da quei miserabili, che possedevano armi da fuoco, e la prima volta che si erano serviti di quest’arme, Harbert era caduto quasi morto. Erano questi i primi colpi che la fortuna contraria avventava contro i coloni? Ecco ciò che domandava a sè stesso Cyrus Smith; ecco ciò che spesso ripeteva al reporter, al quale pure pareva che quello strano ma efficace intervento che li aveva tante volte ajutati, venisse ora meno. L’essere misterioso, qualunque si fosse, di cui non potevano negare l’esistenza, aveva esso abbandonato l’isola od aveva soggiaciuto alla sua volta?

Non era possibile alcuna risposta a tali domande. Ma non si immagini già che Cyrus Smith ed il suo compagno per ciò che cianciavano di tali cose fossero gente da disperare. Al contrario, essi consideravano la situazione faccia a faccia, prevedevano le sorti probabili, si preparavano ad ogni avvenimento, si atteggiavano saldi ed impavidi dinanzi all’avvenire, e se mai l’avversità dovesse colpirli, troverebbe in essi uomini pronti a combatterla.