Iucunda sane (Roma 1904)

Latino

Papa Pio X 1904 1904 Anonimo Indice:Iucunda sane (Roma 1904).djvu Encicliche Cristianesimo Lettera enciclica del santissimo signor nostro Pio per divina provvidenza papa X ai patriarchi primati arcivescovi vescovi ed altri ordinari aventi pace e comunione con la Sede apostolica Intestazione 4 aprile 2023 100% Da definire


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LETTERA ENCICLICA

DEL SANTISSIMO SIGNOR NOSTRO

PIO

PER DIVINA PROVVIDENZA

PAPA X

AI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI

ED ALTRI ORDINARI

AVENTI PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA


ROMA

TIPOGRAFIA VATICANA

1904


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AI VENERABILI FRATELLI

PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI

ED ALTRI ORDINARI

AVENTI PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA

PIO PP. X

VENERABILI FRATELLI

SALUTE ED APOSTOLICA BENEDIZIONE

GG
ioconda invero torna la rimembranza, o Venerabili Fratelli, di quel grande ed incomparabile uomo1, il Pontefice Gregorio, primo di questo nome, la cui solennità centenaria, al volgere del secolo XIII dalla sua morte, stiamo per celebrare. Da quel Dio, che mortifica e vivifica... che umilia e solleva2, tra le cure quasi innumerabili del ministero Nostro Apostolico, tra le tante angosce dell’animo per i molti e gravi doveri che il governo della Chiesa universale C’impone, tra le insistenti sollecitudini di pur soddisfare nel miglior modo che per Noi si possa a Voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte del Nostro Apostolato, ai fedeli tutti alle cure Nostre commessi, non senza una [p. 4 modifica]particolare provvidenza fu disposto, così pensiamo, che il Nostro sguardo negli inizî del Nostro sommo Pontificato si rivolga subito su questo santissimo ed illustre Antecessore Nostro, onore della Chiesa e decoro. L’animo infatti si apre a grande fiducia nella sua validissima intercessione presso Dio, e si riconforta nel ricordare, così le massime sublimi che inculcò con l’alto suo magistero, come le virtù santamente da lui praticate. E se per la forza delle une e per la fecondità delle altre egli impresse nella Chiesa di Dio un’orma sì vasta, sì profonda, sì duratura, che giustamente i contemporanei ed i posteri gli diedero il nome di Grande, ed oggi ancora dopo tanti secoli si verifica l’elogio della sua iscrizione sepolcrale: egli vive eterno in ogni luogo per le innumerabili sue buone opere3, non può fare che ai seguaci tutti de’ suoi mirabili esempî, col conforto della grazia divina, non sia dato di soddisfare ai proprî officî, per quanto l’umana debolezza il consenta.


Appena v’ha bisogno di ricordare quel che dai pubblici documenti è a tutti noto. Sommo era lo scompaginamento della cosa pubblica, allorchè Gregorio ascese al sommo Pontificato; l’antica civiltà era pressochè tramontata e dilagava la barbarie in tutti i dominî del cadente Impero romano. L’Italia poi, abbandonata dagli imperatori di Bisanzio, divenuta quasi preda dei Longobardi, che, non ancora assestati, discorrevano per ogni dove, ogni cosa [p. 5 modifica] devastando col ferro e col fuoco, recando per tutto desolazione e morte. Questa stessa Città, minacciata all’esterno dai nemici, all’interno provata dai flagelli della pestilenza, delle inondazioni, della fame, venne ridotta a sì miserevole stato, che non sapevasi come più oltre mantenere in vita, non pure i cittadini, ma le dense moltitudini che vi si rifuggivano. Vedevi uomini e donne d’ogni condizione, vescovi e sacerdoti recanti i vasi sacri salvati dalle rapine, monaci ed innocenti spose di Cristo, che con la fuga sottraevansi od alle spade nemiche od agli insulti brutali di uomini perduti. Gregorio stesso chiama la Chiesa di Roma: Vecchia nave gravemente sfasciata; perocchè vi penetrano d’ogni parte le onde, e le commessure, sbattute da giornaliera vigorosa procella, imputridiscono e prenunziano il naufragio4. Ma il nocchiero suscitato da Dio aveva mano potente, e posto al timone, non solo tra l’imperversare dei marosi seppe toccare il porto, ma francare la nave dalle tempeste avvenire.

Ed è cosa veramente ammirabile quant’egli ottenne nel poco più dei tredici anni del suo governo. Fu ristoratore dell’intera vita cristiana, eccitando la pietà dei fedeli, l’osservanza dei monaci, la disciplina del clero, la cura pastorale dei vescovi. Quale padre prudentissimo della famiglia di Cristo5, mantenne ed accrebbe i patrimonî della Chiesa e largamente sovvenne, secondo la necessità [p. 6 modifica] propria di ciascuno, al popolo immiserito, alla società cristiana, alle singole chiese. Divenuto veramente console di Dio6, spinse la sua azione feconda ben oltre le mura di Roma e tutta in bene della società civile. Si oppose energicamente alle ingiuste pretensioni degli imperatori bizantini; rintuzzò le audacie e represse le vergognose ingordige degli esarchi e degli officiali imperiali, sorgendo a pubblico difensore della giustizia sociale. Ammansò la ferocia dei Longobardi, non dubitando di andare egli stesso in persona incontro ad Agilulfo alle porte di Roma, a fine di smuoverlo dall’assedio della città, come già aveva fatto con Attila il Pontefice Leone Magno; nè quindi mai si ristette dalle preghiere, dalle soavi persuasioni, dagli accorti negoziati, finchè non vide quietare quel popolo temuto ed ordinarsi a più regolare governo, finchè non lo seppe guadagnato alla fede cattolica, per opera specialmente della pia regina Teodolinda sua figliuola in Cristo. Onde Gregorio può a buon diritto chiamarsi salvatore e liberatore dell’Italia, della terra sua7, com’egli soavemente la chiama. Per le incessanti sue cure pastorali si vanno spegnendo le reliquie dell’eresia in Italia ed in Africa, si riordinano le cose ecclesiastiche nelle Gallie, si rassodano nella conversione già cominciata i Visigoti delle Spagne, e l’inclita nazione inglese, la quale posta in un angolo del mondo, mentre finora rimaneva [p. 7 modifica] ostinata nel culto dei legni e delle pietre8, accoglie anch’essa la verace fede di Cristo. Il cuore di Gregorio sovrabbonda di gioia alla notizia di sì preziosa conquista, come quello di un padre che riceve tra le braccia il figliuol suo dilettissimo e ne riferisce ogni merito a Gesù Redentore, per cui amore, come scrive egli stesso, rintracciamo nella Brettagna sconosciuti fratelli, per la cui grazia troviamo que’ che ignari andavamo cercando9. E la nazione inglese fu sì grata al santo Pontefice, che lo chiamò sempre: Maestro nostro, dottore nostro, Apostolico nostro, Papa nostro, Gregorio nostro, e se medesima considerò come il sigillo del suo apostolato. Per ultimo la sua azione fu così salutarmente efficace, che la memoria delle cose da lui operate s’impresse profondamente negli animi dei posteri, particolarmente durante il medio evo, che respirava, per così dire, dell’aura da lui infusa, si nutriva della sua parola, la vita ed i costumi conformava a seconda de’ suoi esempî, introducendosi felicemente nel mondo la civiltà sociale cristiana in opposizione alla romana dei secoli precedenti per sempre tramontata.


Quest’è mutazione della mano dell’Altissimo! E ben si può dire che nella mente di Gregorio non altro che la mano di Dio fu operatrice di sì grandi imprese. Di fatto, così scriveva egli al santissimo monaco Agostino a [p. 8 modifica] proposito della ricordata conversione degli Inglesi e può applicarsi a tutto il resto nella sua azione apostolica: Di chi è mai quest’opera, se non di colui, il quale disse: Il Padre mio opera fino al presente ed io pure opero?10 Per mostrare al mondo che voleva convertirlo, non con la sapienza degli uomini, ma con la sua virtù, elesse a predicatori del mondo uomini senza lettere; e questo medesimo fece pur ora, essendosi degnato di operare fra la gente degli Angli cose forti, per mezzo di uomini deboli11. Noi riconosciamo senza dubbio quel che la profonda umiltà del santo Pontefice nascondeva al suo sguardo: e la perizia negli affari, e l’ingegno accorto nel condurre a termine le imprese, e la prudenza mirabile in ogni disposizione, e la vigilanza assidua, e la sollecitudine perseverante. Ma è certo insieme, ch’egli non si fe’ innanzi con la potenza e con la forza dei grandi della terra, laddove invece nell’altissimo grado della dignità pontificia volle chiamarsi pel primo Servo dei servi di Dio; non si aprì la strada soltanto con la scienza profana ovvero con le persuasive parole dell’umana sapienza12; non con le accortezze della civile politica; neppure coi sistemi di rinnovamento sociale, abilmente studiati e preparati e quindi posti in esecuzione; neppure infine, ciò che è meraviglia, col proporsi un vasto programma di azione apostolica da ridurre in atto di mano in mano; mentre per lo [p. 9 modifica] contrario, come è noto, il suo pensiero era pieno dell’idea di una prossima fine del mondo e però del pochissimo tempo che rimaneva per le grandi azioni. Debolissimo e gracile di corpo, continuamente afflitto da infermità che più volte lo ridussero agli estremi, egli possedeva un’incredibile energia di spirito, la quale riceveva sempre nuovo alimento dalla fede viva nella parola infallibile di Cristo e nelle sue divine promesse. Inoltre con fiducia illimitata contava sulla forza soprannaturale da Dio data alla Chiesa per bene compiere la sua divina missione nel mondo. E però il proposito costante della sua vita, quale è comprovato da tutte le sue parole e da tutte le sue opere, fu questo: di mantenere in sè e suscitare negli altri questa medesima viva fede e confidenza, operando tutto il bene che tornasse pel momento possibile in aspettazione del divino giudizio.

Ne seguiva in lui la volontà risoluta di adoperare per la comune salvezza l’esuberante ricchezza dei mezzi soprannaturali dati da Dio alla sua Chiesa, quali sono e la dottrina infallibile delle verità rivelate, e la predicazione efficace di tal dottrina nel mondo universo, ed i sacramenti che hanno virtù d’infondere o di accrescere la vita dell’anima, e la grazia della preghiera nel nome di Cristo che assicura la protezione celeste.


Questi ricordi, o Venerabili Fratelli, ci tornano di indicibile conforto. Se dall’alto di queste mura vaticane volgiamo attorno lo sguardo, a simiglianza di Gregorio e [p. 10 modifica] forse più ancora di lui dobbiamo temere; tante sono le tempeste addensate da ogni lato, tante le ordinate schiere de’ nemici che premono, e tanto insieme è l’abbandono in cui siamo di ogni umano sussidio per ribattere le une e sostenere l’impeto delle altre. Ma se riflettiamo dove poggiano i Nostri piedi, dove questa Sede pontificia è collocata, Ci sentiamo al tutto sicuri sulla rocca della Santa Chiesa. Invero chi non sa, scriveva S. Gregorio al patriarca Eulogio di Alessandria, che la Santa Chiesa poggia sulla solidità del Principe degli Apostoli, il quale la sua fermezza trasse dal nome, essendo stato chiamato Pietro dalla pietra?13 La forza soprannaturale della Chiesa per volgere di secoli non è venuta mai meno, nè fallirono le promesse di Cristo; e come già consolavano il cuore di Gregorio, tali si mantengono, anzi per Noi acquistano maggiore forza nella riprova di tanti secoli, nel vario corso di tanti avvenimenti.

Passarono regni ed imperi; tramontarono popoli fiorenti per nome e per civiltà; più volte le nazioni come accasciate dal peso degli anni si disfecero in se medesime; mentre la Chiesa, indefettibile nella sua essenza, unita con vincolo indissolubile al suo Sposo celeste, è qui fulgente di eterna giovinezza, forte del medesimo primitivo vigore, quale uscì dal Cuore di Cristo spirato in croce. Uomini potenti del secolo si sollevarono contro di lei. Essi sparvero ed ella rimase. Sorsero sistemi [p. 11 modifica] filosofici innumerabili, d’ogni forma, d’ogni genere, superbamente vantandosene i maestri, quasi avessero finalmente conquisa la dottrina della Chiesa, rifiutati i dogmi della fede, dimostrato l’assurdo dei suol insegnamenti. Ma quei sistemi l’un dopo l’altro si annoverano nelle storie, dimenticati, falliti; mentre dalla rocca di Pietro rifulge così sfolgorante la luce della verità, come quel giorno che Gesù l’accese al suo apparire nel mondo e le diede l’alimento della sua divina parola: Passerà il cielo e la terra, ma le mie parole non passeranno14.


Noi nudriti di questa fede, solidati su questa pietra, sentendo nel fondo dell’animo tutti i doveri gravissimi che il Primato C’impone, ma insieme tutto il vigore che per volontà divina in Noi deriva, attendiamo tranquilli che si sperdano al vento le tante voci che ci gridano intorno, che la Chiesa cattolica ha finito il suo tempo, che le sue dottrine sono per sempre tramontate, che da qui a poco essa si vedrà condannata o ad accettare i placiti della scienza e della civiltà senza Dio od a sparire dall’umano consorzio. Insieme però non possiamo fare a meno di ricordare a tutti, grandi e piccoli, come già fece il Pontefice S. Gregorio, la necessità assoluta di ricorrere a questa Chiesa per avere la salute eterna, per battere la diritta via della ragione, per nutrirsi della verità, per conseguire la pace e la stessa felicità di questa vita terrena. [p. 12 modifica]

Laonde, per usare le parole del santo Pontefice, volgete i vostri passi a questa pietra inconcussa, sopra la quale il Redentore nostro volle fondata la Chiesa universa, perchè il cammino di chi è sincero di cuore non dia in ostacoli e si smarrisca15. Soltanto la carità della Chiesa e l’unione con essa unisce la divisione, riordina ciò che è confuso, tempera le ineguaglianze, compie le imperfezioni16. Fermamente è da ritenere, che nessuno può con rettitudine governare le cose terrene, se non sa trattare le celesti, e che la pace degli Stati dipende dalla pace universale della Chiesa17. Nasce quindi l’assoluta necessità di una perfetta armonia tra i due poteri, ecclesiastico e civile, essendo ambedue per volere di Dio chiamati a sostenersi l’un l’altro. Di fatto, la podestà sugli uomini tutti fu data dal cielo, affinchè siano aiutati quei che aspirano al bene, perchè la via del cielo si apra più largamente, perchè il regno terrestre serva al celeste18.

Da questi principî proveniva l’invitta fermezza d’animo di Gregorio, che Noi, con l’aiuto di Dio, Ci studieremo d’imitare, proponendoci di volere ad ogni costo difendere i diritti e le prerogative, onde il Pontificato romano è custode e vindice innanzi a Dio ed innanzi agli uomini. E però il medesimo Gregorio scriveva ai patriarchi di [p. 13 modifica] Alessandria e di Antiochia: Quando, si tratti dei diritti della Chiesa universa, dobbiamo dimostrare eziandio con la morte, che per amore di qualche nostro particolare interesse, nulla vogliamo che torni a danno del bene comune19. E all’imperatore Maurizio: Chi per vana ostentazione di gloria levi la sua cervice contro Dio onnipotente e contro gli statuti dei Padri, non piegherà a sè la mia cervice, neppure col taglio delle spade, com’io confido nello stesso Dio onnipotente20. Ed al diacono Sabiniano: Sono pronto a morire, anzichè permettere che a’ miei giorni la Chiesa degeneri. E tu ben conosci le mie abitudini, ch’io sopporto a lungo; ma se io poi mi decida di non sopportare più oltre, vo’ incontro ai pericoli con animo lieto21.

Tali erano le massime fondamentali che andava annunziando il Pontefice Gregorio, ed era ascoltato. Così nella docilità dei principi e dei popoli alla sua parola il mondo riconquistava la salute vera e si rimetteva nella via della civiltà, tanto più nobile e feconda di beni, quanto meglio era fondata sui dettami inconcussi della ragione e della disciplina morale e traeva ogni forza dalla verità divinamente rilevata e dalle massime del Vangelo.


Ma allora i popoli, sebbene rozzi, ignoranti, privi ancora d’ogni civiltà, erano però avidi di vita. Nessuno [p. 14 modifica] poteva loro darla, se non Cristo pel tramite della Chiesa: Io venni perchè abbiano la vita e l’abbiano più abbondantemente22. Ed ebbero veramente la vita ed abbondante, appunto perchè dalla Chiesa non potendo venire altra vita se non la soprannaturale delle anime, questa tutte le altre energie della vita, anche solo di ordine naturale, in sè racchiude e rafforza. Se la radice è santa, santi saranno pure i rami, diceva S. Paolo al popolo gentile,... e tu pur essendo oleastro sei stato innestato in quelli e sei divenuto partecipe della radice e della fecondità dell’olivo23.

Oggi per lo contrario, sebbene il mondo goda una luce sì piena di civiltà cristiana e sotto questo rispetto non possa neppur da lontano paragonarsi a quello dei tempi di Gregorio, sembra però stanco di quella vita, che pure è stata ed è tuttavia fonte precipua e spesso unica di tanti beni, non pure passati, ma presenti eziandio. Nè solo, come avvenne in altri tempi al sorgere delle eresie e degli scismi, taglia se stesso fuori del tronco quasi ramo inutile, ma pone la scure alla radice prima dell’albero che è la Chiesa, e si sforza di inaridirne il succo vitale, perchè la rovina di lei sia più sicura ed essa più non rigermini.

In quest’errore, che è il massimo del nostro tempo e la fonte onde dimanano gli altri tutti, sta l’origine di [p. 15 modifica] tanta perdita della eterna salute degli uomini e di tante rovine in fatto di religione che andiamo lamentando, e delle molte altre che temiamo ancora, se al male non si ponga rimedio. Si nega cioè ogni ordine soprannaturale, e però l’intervento divino nell’ordine della creazione e nel governo del mondo e la possibilità del miracolo; tolte le quali cose è necessario scuotere i fondamenti della religione cristiana. S’impugnano perfino gli argomenti, onde si dimostra l’esistenza di Dio, rifiutando con inaudita temerità e contro i primi principî della ragione la forza invincibile della prova, che dagli effetti ascende alla causa, che è Dio, e alla nozione dei suoi attributi infiniti. Imperocchè le invisibili cose di lui, dopo creato il mondo, per le cose fatte comprendendosi si veggono: anche l’eterna potenza e il divino essere di lui24. Resta quindi aperto l’adito ad altri errori gravissimi, egualmente ripugnanti alla retta ragione e perniciosi ai buoni costumi.


Di fatto la gratuita negazione del principio soprannaturale, propria della scienza di falso nome25, diviene il postulato di una critica storica egualmente falsa. Tutto ciò che si riferisce in qualsiasi modo all’ordine soprannaturale, perchè o gli appartiene, o lo costituisce, o lo presuppone, o perchè solo in esso trova la sua spiegazione, è cancellato senz’altro esame dalle pagine della [p. 16 modifica] storia. Tale è la divinità di Gesù Cristo, la sua incarnazione per opera dello Spirito Santo, la sua resurrezione per virtù propria ed in generale tutti i dogmi della nostra fede. Posta così la scienza sopra una falsa via, non v’ha più legge critica che la ritenga, ed essa cancella a capriccio dai libri santi tutto ciò che non le garba o crede contrario alla tesi prestabilita che vuol dimostrare. Tolto infatti l’ordine soprannaturale, la storia delle origini della Chiesa deve fabbricarsi su tutt’altro fondamento, e però i novatori rimaneggiano a proprio talento i monumenti della storia, traendoli a dire quel che essi vogliono, non quel che intesero gli autori.

Molti restano presi per modo dall’apparato straordinario di erudizione che si ostenta e dalla forza apparentemente convincente delle prove addotte, che o perdono la fede o se ne sentono gravemente scossi. V’ha pure di quelli, che fermi nella loro fede, accusano la scienza critica come demolitrice, mentr’essa è per sè innocente ed elemento sicuro di ricerca, quando sia rettamente applicata. Nè gli uni, nè gli altri si avvedono del falso presupposto, onde pigliano le mosse, vogliam dire la scienza di falso nome, la quale logicamente li spinge a conclusioni egualmente false. Posto cioè un falso principio filosofico torna viziata ogni cosa. Però la confutazione di questi errori non sarà mai efficace, se non si cangi la posizione; cioè se gli erranti non si traggano dal campo critico, dove credonsi trincerati, in quello legittimo della filosofia, abbandonato il quale, attinsero l’errore. [p. 17 modifica]

Intanto però è doloroso dover applicare ad uomini, ai quali non mancano l’acutezza della mente e la costanza dell’applicazione, il rimprovero che S. Paolo faceva a coloro, che dalle cose terrene a quelle non ascendono che sfuggono lo sguardo: Svanirono nei loro pensamenti e si ottenebrò lo stolto lor cuore: imperocchè dicendo di essere saggi, diventarono stolti26. Ed invero non altro che stolto deve dirsi colui, che tutte le sue forze intellettuali consuma a fabbricar sull’arena.


Nè meno lagrimevoli sono i guasti, che da quella negazione provengono alla vita morale degli individui e della società civile. Tolto il principio, che nulla di divino esista oltre questo mondo visibile, assolutamente non v’ha più ritegno alcuno alle sbrigliate passioni, anche più basse ed indegne, donde asserviti gli animi si gittano a disordini d’ogni specie. Abbandonolli Iddio ai desideri del loro cuore, alla immondezza; così che disonorino in se stessi i corpi loro27. Voi ben vedete, o Venerabili Fratelli, come veramente trionfi per tutto la peste dei depravati costumi, e come l’autorità civile, là dove non ricorra agli aiuti dell’anzidetto ordine soprannaturale, non sia punto capace di frenarla. Anzi l’autorità non sarà punto capace di sanare gli altri mali, se si dimentica o si nega che ogni potere viene da Dio. Il freno unico d’ogni governo è allora la forza; [p. 18 modifica] la quale però, nè costantemente si adopera, nè sempre può aversi alla mano; però il popolo si va logorando come per un occulto malessere, d’ogni cosa è scontento, proclama il diritto di agire a suo arbitrio, attizza le ribellioni, suscita le rivoluzioni degli Stati, talvolta turbolentissime, mette sossopra ogni diritto umano e divino. Tolto di mezzo Iddio, ogni rispetto alle leggi civili, ogni riguardo alle istituzioni anche più necessarie vien meno; si pone in non cale la giustizia; si calpesta la stessa libertà proveniente dal naturale diritto; si giunge perfino a distruggere la compagine stessa della famiglia, che è il fondamento primo ed inconcusso della compagine sociale. Ne segue, che a’ tempi nostri ostili a Cristo, si rende più difficile l’applicare i rimedî potenti, dal Redentore messi in mano alla Chiesa, a fine di contenere i popoli nel loro dovere.

E nondimeno non vi ha salvezza al mondo se non in Cristo: Imperocchè non havvi sotto al cielo altro nome dato agli uomini, mercè del quale abbiamo noi ad esser salvati28. A questo Cristo convien dunque tornare. Ai suoi piedi convien di nuovo prostrarsi per ascoltare dalla sua bocca divina le parole di vita eterna; poichè egli solo può additarci la via della rigenerazione, egli solo insegnarci la verità, egli solo restituirci la vita. Egli appunto ha detto: Io sono la via e la verità e la vita29. Si è tentato novellamente di operare quaggiù senza di lui; si è cominciato a metter su [p. 19 modifica] l’edificio, rigettando la pietra angolare, come l’Apostolo Pietro rampognava ai crocifissori di Gesù. Ed ecco di nuovo la costrutta mole si sfascia e ricade in capo agli edificatori e li stritola. Ma Gesù rimane pur sempre la pietra angolare della società umana, e di nuovo si verifica che fuori di lui non vi ha salvezza: Questa è la pietra rigettata da voi, che fabbricate, la quale è divenuta testata dell’angolo, nè in alcun altro è salute30.


Di qui di leggeri riconoscerete, o Venerabili Fratelli, l’assoluta necessità che ci stringe tutti di risuscitare con la massima energia dell’animo e con tutti i mezzi onde possiamo disporre, codesta vita soprannaturale in ogni ordine della società: nel povero operaio che suda da mane a sera per guadagnarsi un tozzo di pane e nei grandi della terra che reggono i destini delle nazioni. È da ricorrere anzitutto alla preghiera privata e pubblica, per implorare le misericordie del Signore e l’aiuto suo potente. Signore, salvaci; ci perdiamo31, dobbiamo ripetergli come già gli Apostoli sbattuti dalla tempesta.

Ma ciò non basta. Gregorio se la prende col vescovo, che per amore della stessa solitudine spirituale e della preghiera, non scende in campo a combattere strenuamente per la causa del Signore: Egli porta privo di senso il nome di vescovo32. E con ogni diritto; perocchè conviene [p. 20 modifica] illuminare gli intelletti con la predicazione continua della verità, ribattendo efficacemente gli errori coi principî della vera e solida filosofia e teologia e coi mezzi tutti che provengono dal genuino progresso dell’investigazione storica. Più ancora è necessario inculcare convenientemente nella mente di tutti le massime morali insegnate da Gesù Cristo, perchè ognuno impari a vincere se stesso, a frenare le passioni dell’animo, a fiaccare l’orgoglio, a vivere soggetto alla autorità, ad amare la giustizia, ad esercitare la carità verso tutti, ad attenuare con l’amore cristiano le acerbe disuguaglianze sociali, a staccare il cuore dai beni della terra, a vivere contento dello stato in cui la Provvidenza ha posto ciascuno, cercando in esso di migliorare con l’adempimento dei proprî doveri, ad anelare alla vita futura nella speranza del premio eterno. Ma soprattutto è necessario che questi principî s’insinuino e penetrino fin dentro al cuore, affinchè la vera e soda pietà vi metta profonde radici, ed ognuno, e come uomo e come cristiano, riconosca, non a parole soltanto, ma ai fatti, i proprî doveri e ricorra con fiducia figliale alla Chiesa ed ai suoi ministri, per ottenere da loro il perdono delle colpe, ricevere la grazia fortificante dei sacramenti e riordinare la propria vita a norma delle leggi cristiane.

A questi precipui doveri del ministero spirituale è necessario congiungere la carità di Cristo, mossi dalla quale non vi sia afflitto che per noi non si consoli, non lagrime che dalle nostre mani non siano rasciugate, non bisogno che da noi non sia sollevato. All’esercizio di tal [p. 21 modifica] carità consecriamoci per intero; cedano a lei le cose nostre tutte, a lei si pospongano gli interessi nostri personali e le proprie comodità, facendoci tutto a tutti33 per guadagnare tutti al Signore, dando la stessa nostra vita, ad esempio di Cristo, che ne impone il dovere ai pastori della Chiesa: Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle34.

Questi preziosi ammonimenti abbondano nelle pagine che il Pontefice S. Gregorio ha lasciato scritte, e sono espressi con forza di gran lunga maggiore nei molteplici esempî della sua vita ammirabile.


Or siccome codeste cose tutte sgorgano necessariamente e dalla natura dei principî della rivelazione cristiana e dalle proprietà intrinseche che deve avere il nostro apostolato, voi ben vedete, Venerabili Fratelli, quanto vadano errati coloro, che stimano di rendere servigio alla Chiesa e di fruttificare alla salute delle anime, allorchè per una cotale prudenza della carne sono larghi di concessioni alla scienza di falso nome, nella funesta illusione di poter così guadagnare più facilmente gli erranti, ma in verità nel continuo pericolo di andar perduti essi stessi. La verità è una sola e non può essere dimezzata; essa perdura eterna e non va soggetta alle vicende del tempi: Gesù Cristo ieri ed oggi, egli (è) anche ne’ secoli35. [p. 22 modifica]

E così pure sbagliano gravemente coloro, che nell’occuparsi del pubblico bene, soprattutto sostenendo la causa delle classi inferiori, promuovono sopra ogni cosa il benessere materiale del corpo e della vita, tacendo affatto del bene loro spirituale e dei doveri gravissimi che ingiunge la professione cristiana. Non si vergognano di coprire talvolta, quasi con un velo, certe massime fondamentali del Vangelo, per timore che altrimenti la gente rifugga dall’ascoltarli e seguirli. Non sarà certo alieno dalla prudenza il procedere a poco a poco nella stessa proposizione della verità, quando si ha che fare con uomini del tutto alieni da noi e del tutto lontani da Dio. Prima di adoperare il ferro, si palpino con lieve mano le piaghe36. diceva Gregorio. Ma anche questa industria si ridurrebbe a prudenza della carne, se sì proponesse a norma di azione costante e comune. Molto più che per tal modo sembra non tenersi nel debito conto la grazia divina, che sostiene il ministero sacerdotale e che è data, non solo a quelli che lo esercitano, ma anche ai fedeli tutti di Cristo, perchè le nostre parole e la nostra azione facciano breccia nei loro cuori. Gregorio non conobbe affatto questa prudenza, sia nella predicazione del Vangelo, sia nelle tante e sì mirabili opere da lui intraprese in sollevamento delle miserie altrui. Egli continuò costantemente quel medesimo che avevano fatto gli Apostoli, i quali, allorchè si lanciarono la prima volta nel mondo a portarvi il nome di [p. 23 modifica] Cristo, ripetevano il detto: Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo pe’ Giudei, stoltezza pe’ Gentili37. Se v’era tempo in cui la prudenza umana pareva unico spediente ad ottener qualche cosa in un mondo del tutto impreparato a ricevere dottrine, sì nuove, sì ripugnanti alle umane passioni, sì opposte alla civiltà, allora ancor floridissima, dei Greci e dei Romani, certo era quello della prima predicazione della fede. Ma gli Apostoli quella prudenza disdegnarono, perchè ben conoscevano il precetto di Dio: Piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo della stoltezza della predicazione38. E come fu sempre, così oggi ancora, questa stoltezza per quelli che sono salvati, cioè per noi, è la virtù di Dio39. Lo scandalo del Crocifisso, come per lo innanzi, così sempre in seguito ci fornirà l’arma più potente di tutte; come altra volta, così di poi, in quel segno otterremo vittoria.


Tuttavia, o Venerabili Fratelli, quest’arma perderà della sua efficacia o sarà del tutto inutile, se si trovi in mano d’uomini, che non siano assuefatti alla vita interiore con Cristo, non educati nella scuola della vera e soda pietà, non appieno infiammati di zelo per la gloria di Dio e per la propagazione del suo regno. Gregorio sentiva siffattamente questa necessità, che la più grande sollecitudine adoperava nel creare e vescovi e sacerdoti, animati [p. 24 modifica] da gran desiderio dell’onore divino e del vero bene delle anime. E tale intento si propose nel libro della Regola pastorale, dove sono raccolte le norme per la salutare formazione del clero e pel governo de’ vescovi, acconcissime non pure ai tempi suoi, ma ai nostri eziandio. Egli, come nota il suo biografo, a guisa d’Argo luminosissimo girava intorno gli occhi della sua pastorale sollecitudine per tutta l’ampiezza del mondo40, per iscoprire e correggere le mancanze e le negligenze del clero. Che anzi tremava al solo pensiero, che la barbarie e l’immoralità potessero far presa nella vita dei chierici, ed andava profondamente scosso e non sì dava più pace, allorchè avvertiva qualche infrazione alle leggi disciplinari della Chiesa, e subito ammoniva, correggeva, minacciando pene canoniche ai trasgressori, talvolta subito applicandole egli stesso, talaltra senza dilazione alcuna e senza alcun umano riguardo rimovendo gli indegni dal loro officio.

Inoltre molte massime inculcava, che in simile forma di frequente leggiamo nel suoi scritti: Con quale animo prende l’officio di mediatore del popolo presso Dio, chi non è conscio di essere familiare della sua grazia pel merito della vita?41Se nel suo operare vivono le passioni, con qual presunzione s’affretta a medicare il ferito, chi porta la piaga in volto?42 — Qual frutto si potrà sperare nelle [p. 25 modifica] anime, se gli apostoli della verità, combattono coi costumi, quel che predicano con le parole?43Davvero non può togliere i delitti altrui, chi ne va guastato44.

Imagine del vero sacerdote, com’egli lo intende e descrive, è colui, che morendo a tutte le passioni della carne già vive spiritualmente; che le prosperità del mondo ha posposto; che punto non teme le avversità; che brama soltanto le cose interne; che non s’induce a desiderare l’altrui, ma è largo del proprio; che tutto viscere di pietà inclina al perdono, ma nel perdono non mai devia più di quel che convenga dall’apice della rettitudine; che non mai commette cose illecite, ma le cose illecite altrui deplora come sue proprie; che con ogni affetto del cuore compatisce l’altrui debolezza, e della prosperità del prossimo si allieta, come del suo proprio profitto; che in ogni cosa sua così si rende modello agli altri, da non avere onde arrossire, per lo meno circa le azioni esterne; che si studia di vivere per modo, che possa eziandio irrigare gli aridi cuori del prossimo con le acque della dottrina; che per l’uso dell’orazione e per la propria esperienza conosce già di poter ottenere dal Signore quel che domanda45.

Quanto dunque, o Venerabili Fratelli, ha da pensare il vescovo seriamente seco stesso e innanzi a Dio, prima di imporre le mani ai novelli leviti! Nè per grazia di [p. 26 modifica] alcuno, nè per suppliche che si facciano, ardisca mai di promuovere alcuno ai sacri ordini, se il tenore della vita e delle azioni sue non ne lo dimostri degno46. Quanto maturamente deve riflettere prima di affidare le opere dell’apostolato ai sacerdoti novelli! Se non siano debitamente provati sotto vigile custodia di sacerdoti più prudenti, se non consti nel modo più aperto della loro onestà di vita, del loro affetto per gli esercizî spirituali, della pronta loro volontà di seguire obbedienti le norme tutte di azione, o suggerite dalla consuetudine ecclesiastica, o comprovate dalla diuturna esperienza, od imposte da coloro che lo Spirito Santo pose vescovi a reggere la Chiesa di Dio47, eserciteranno il ministero sacerdotale, non già in salute, ma in rovina del popolo cristiano. Perocchè susciteranno discordie, provocheranno più o meno tacite ribellioni, offrendo al mondo il triste spettacolo di una quasi divisione d’animi tra noi, mentre in verità questi fatti deplorabili non sono altro che orgoglio ed indisciplinatezza di alcuni pochi. Oh, siano al tutto rimossi da ogni officio gli eccitatori della discordia. Di tali apostoli la Chiesa non ha bisogno; non sono apostoli di Gesù Cristo Crocifisso, ma di se stessi.


Ci par di vedere tuttavia presente al Nostro sguardo il santo Pontefice Gregorio nel Concistoro del Laterano, [p. 27 modifica] circondato da gran numero di vescovi d’ogni parte e da tutto il clero di Roma. Oh come sgorga dal suo labbro feconda l’esortazione sui doveri del clero! Come si consuma di zelo il suo cuore! Le sue parole sono fulmini che schiantano il perverso; sono flagelli che scuotono l’indolente; sono fiamme di amore divino che soavemente investono il più fervente. Leggete, Venerabili Fratelli, e fate leggere e meditare al vostro clero, specialmente nell’annuo ritiro degli Esercizî spirituali, quella stupenda omelia di Gregorio48.

Con indicibile amarezza egli esclama tra l’altro: Ecco il mondo è pieno di sacerdoti, ma ben raro si trova nelle mani di Dio l’operaio; perocchè assumiamo bensì l’officio sacerdotale, ma l’obbligo dell’officio non adempiamo49. Ed invero, quale forza non avrebbe oggi la Chiesa, se in ogni sacerdote potesse contare l’operaio? Quale larghissimo frutto non produrrebbe nelle anime la vita soprannaturale della Chiesa, se fosse da tutti efficacemente promossa? Gregorio ha saputo strenuamente suscitare ai tempi suoi questo spirito di energica azione, e per la spinta da lui data, ottenne che il medesimo spirito si mantenesse nelle età seguenti. L’intero medio evo reca l’impronta, per dir così, gregoriana; da quel Pontefice infatti riconosceva pressochè ogni cosa: e le regole del governo ecclesiastico, e quelle molteplici della carità e della beneficenza nelle istituzioni sociali, [p. 28 modifica] ed i principî dell’ascetica cristiana più perfetta e della vita monastica, e l’ordinamento della liturgia e l’arte del canto sacro.


I tempi sono di gran lunga cangiati. Ma, come più volte abbiamo ripetuto, nulla è cangiato nella vita della Chiesa. Essa ha ereditato dal suo divin Fondatore la virtù di offerire a tutti i tempi, sebbene diversi fra loro, quanto è richiesto, non solo al bene spirituale delle anime, ciò che è proprio della sua missione, ma eziandio quanto giova al progresso della vera civiltà, ciò che da quella missione discende come naturale conseguenza.

Non è infatti possibile che le verità dell’ordine soprannaturale, onde la Chiesa è depositaria, non promuovano altresì tutto ciò che è vero, buono e bello nell’ordine naturale, e questo con tanto maggiore efficacia, quanto più tali verità si riferiscono al principio supremo di ogni verità, bontà e bellezza, che è Dio.

La scienza umana guadagna di gran lunga dalla rivelazione, sia perchè questa apre novelli orizzonti e fa conoscere speditamente altre verità di semplice ordine naturale, sia perchè apre la retta via all’investigazione e la tiene lontana dagli errori di applicazione e di metodo. Così un faro luminoso ai naviganti che solcano l’oceano nelle tenebre della notte addita molte cose che altrimenti non si vedrebbero, ed insieme addita gli scogli, dove battendo la nave patirebbe naufragio. [p. 29 modifica]

E nelle discipline morali, poichè il divin Redentore ci propone quale modello supremo di perfezione il suo Padre celeste50, cioè la bontà stessa divina, chi non vede quanto impulso ne venga all’osservanza sempre più perfetta della legge naturale iscritta nei cuori, e però al sempre maggiore benessere dell’individuo, della famiglia, della società universa? La ferocia dei barbari fu così ridotta a gentili costumi, la donna fu liberata dall’abbiezione, repressa la schiavitù, restituito l’ordine nella conveniente dipendenza reciproca delle varie classi sociali, riconosciuta la giustizia, proclamata la libertà vera delle anime, assicurata la pace domestica e sociale.

Le arti finalmente, richiamato l’esemplare supremo d’ogni bellezza che è Dio, onde la bellezza tutta della natura deriva, più sicuramente si ritraggono dai volgari concetti e più efficacemente s’innalzano ad esprimere l’idea, che d’ogni arte è vita. Il solo principio di adoperarle a servigio del culto, e quindi di offerire al Signore quanto nella ricchezza, nella bontà ed eleganza delle forme si stima più degno di lui, oh come è stato fecondo di bene! Esso ha creato l’arte sacra, che divenne ed è tuttavia il fondamento di ogni arte profana. Abbiamo recentemente di ciò toccato in un particolare Nostro Motu proprio, parlando del ristabilimento del canto romano secondo l’avita tradizione e della musica sacra. Ma quelle norme medesime si applicano eziandio, giusta la varia materia, alle altre [p. 30 modifica] arti, così che conviene alla pittura, alla scoltura, all’architettura quel che si dice del canto; chè di tutte queste nobilissime creazioni del genio la Chiesa è stata in ogni tempo ispiratrice e mecenate. L’umanità intera, nutrita di questo sublime ideale, innalza templi grandiosi, e quivi nella Casa di Dio, come in casa sua propria, solleva la mente alle cose celesti, in mezzo alle splendide ricchezze di ogni arte bella, tra la maestà delle ceremonie liturgiche, tra le dolcezze del canto.

Tutti questi beneficî, ripetiamo, l’azione del Pontefice S. Gregorio seppe ottenere ai tempi suoi e nei secoli a lui seguenti; e tanto, per l’intrinseca efficacia dei principî ai quali dobbiamo ricorrere e dei mezzi che abbiamo alla mano, sarà possibile ottenere ancor oggi, mantenendo con ogni studio il buono che per grazia di Dio ancora si conserva e ristorando in Cristo51 quanto per disgrazia dalla retta norma fosse deviato.


Ci piace metter fine a queste Nostre Lettere con le parole medesime, onde S. Gregorio conchiudeva la sua memoranda esortazione nel Concistoro del Laterano. Queste cose, o Fratelli, dovete meditare con ogni sollecitudine ed insieme proporre ai prossimi vostri: preparatevi a restituire a Dio il frutto del ministero che riceveste. Ma quanto andiamo indicando, otterremo da voi assai meglio con la preghiera che non col discorso. Preghiamo: O Dio, per cui volere siamo [p. 31 modifica] chiamati pastori fra il popolo, concedi, te ne preghiamo, di poter essere innanzi al tuo sguardo, quel che il labbro umano va dicendo di noi52.

E mentre per l’intercessione del santo Pontefice Gregorio confidiamo di ottenere da Dio il benigno esaudimento della nostra preghiera, auspice dei celesti favori e testimonio della Nostra benevolenza paterna, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo vostro, impartiamo con ogni affetto del cuore l’Apostolica benedizione.

Dato a Roma presso S. Pietro il 12 marzo dell’anno 1904, nella festa di S. Gregorio I, Papa e Dottore della Chiesa, l’anno primo del Nostro Pontificato.

PIVS PP. X


Note

  1. Martyrol. Rom. 3 sett.
  2. 1 Reg.. ii, 6, 7.
  3. Apud Ioann. Diac., Vita Greg. iv, 68.
  4. Registrum i, 4 ad Ioann. episcop. Constantinop.
  5. Ioann. Diac., Vita Greg. ii, 51.
  6. Inscr. sepulcr.
  7. Registr. v, 36 (40) ad Mauricium Aug.
  8. Registr. viii, 29 (30) ad Eulog. episcop. Alexandr.
  9. Ibid. xi, 36 (28) ad Augustin. Anglorum episcopum.
  10. Ioann. v, 17.
  11. Registr. xi, 36 (28).
  12. 1 Cor. ii, 4.
  13. Registr. vii, 37 (40).
  14. Matth. xxiv, 35.
  15. Registr. viii, 24 ad Sabin. episcop.
  16. Ibid. v, 58 (53) ad Virgil. episcop.
  17. Ibid. v, 37 (20) ad Mauric. Aug.
  18. Ibid. iii, 61 (65) ad Mauric. Aug.
  19. Registr. v, 41 (43).
  20. Ibid. v, 37 (20).
  21. Ibid. v, 6 (iv, 47).
  22. Ioann. x, 10.
  23. Ad Rom. xi, 16, 17.
  24. Ad Rom. I, 20.
  25. 1 Tim. vi, 20.
  26. Ad Rom. i, 21, 22.
  27. Ib. 24.
  28. Act. iv, 12.
  29. Ioann. xiv, 16.
  30. Act. iv, 11, 12.
  31. Matth. viii, 25.
  32. Registr. vi, 63, (30). Cfr. Regul. past. i, 5.
  33. 1 Cor. ix, 22.
  34. Ioann. x, 11.
  35. Ad Hebr. xiii, 8.
  36. Registr. v, 44 (18) ad Ioannem episcop.
  37. 1 Cor. i, 23.
  38. Ibid. i, 21.
  39. Ibid. i, 18.
  40. Ioann. Diac. lib. ii, c. 55.
  41. Reg. past. i, 10.
  42. Ibid. i, 9.
  43. Reg. past. i, 2.
  44. Ibid. i, 11.
  45. Ibid. i, 10.
  46. Registr. v, 63 (58) ad universos episcopos per Hellad.
  47. Act. xx, 28.
  48. Hom. in Evang. i, 17.
  49. Ib. n. 3.
  50. Matth. v, 48.
  51. Ad Ephes. i, 10.
  52. Hom. cit., n. 18.