Il guarany/Parte Seconda/Capitolo VI

Parte Seconda - VI. Il cavaliere

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Seconda - VI. Il cavaliere
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CAPITOLO VI.


IL CAVALIERE.

Alvaro udì un sibilo acuto.

La palla, quasi sfiorando l’ala rimboccata del suo cappello di feltro, recise la punta della penna scarlatta, che formava come una spirale sopra le sue spalle.

Il giovane si volse calmo, sereno, impassibile; neppur un muscolo del suo volto si mosse; appena un sorriso di sovrano disprezzo sollevò il labbro superiore, ombreggiato da due baffi neri.

Lo spettacolo che gli s’appresentò, gli causò una meraviglia singolare; non si attendeva per certo di vedere quanto avveniva a dieci passi di distanza.

Pery, mostrando nei movimenti tutta la forza muscolare della sua tempra d’acciaio, posta la mano sinistra alla nuca dell’avventuriere, curvava [p. 66 modifica]il suo avversario sotto quella pressione violenta, e l’obbligava a inginocchiarsi.

Loredano, livido, col volto contratto e gli occhi grandemente dilatati, tenea fra le irte mani la carabina ancora fumante.

L’Indiano gliela strappò, la gettò da lato, e traendo il suo lungo pugnale, alzò il braccio e accingeasi a immerger il ferro nel cranio dell’avventuriere.

Ma Alvaro, che già si era fatto innanzi, parò il colpo: dipoi stese la mano all’Indiano:

— Lascia questo sciagurato, Pery!

— No!

— La vita di quest’uomo mi appartiene; trasse sopra di me; tocca a me a trarre sopra di lui.

Alvaro al tempo stesso che dicea queste parole, armava la carabina, e ne accostava la bocca al mezzo della fronte di Loredano.

— State per morire. Fate la vostra orazione.

Pery abbassò il pugnale, retrocesse d’un passo e aspettò.

Loredano non rispose; la sua orazione fu una bestemmia orribile e satanica; i palpiti violenti del cuore battevano contro la pergamena che recava in seno, e ricordavangli il suo tesoro, che stava forse per cader nelle mani di Alvaro, e dare a lui quella ricchezza, di cui egli non potea godere.

Frattanto nella bassezza di quell’anima eravi ancora una certa alterezza, o orgoglio del delitto; non supplicò, non disse una parola; [p. 67 modifica]sentendo il contatto del ferro sulla fronte, chiuse gli occhi e si tenne per morto.

Alvaro lo guardò un istante, e abbassò la sua arma:

— Tu sei indegno di morire per mano di un uomo e con un’arma di guerra; appartieni alla gogna ed al capestro. Sarebbe un defraudare la giustizia di Dio.

Loredano aperse gli occhi; il suo volto illuminossi di un raggio di speranza.

— Giura che fra due giorni lascerai la casa di don Antonio de Mariz, e che mai più porterai il piè in questa regione; a tal prezzo hai salva la vita.

— Giuro! sclamò Loredano.

Il giovane, trattasi dal petto la croce vermiglia di Cristo, che recava al collo, gliela presentò: l’avventuriere stese la mano e ripetè il giuramento.

— Levati, e va lungi dal mio sguardo.

E collo stesso disprezzo e colla stessa nobiltà il cavaliere scaricò la carabina; e voltossi per continuare il suo cammino, facendo segno a Pery di accompagnarlo.

L’Indiano, nell’atto che seguiva quella rapida scena che abbiamo descritta, riflettea profondamente.

Quando udì la conversazione fra Loredano e i suoi due compagni, quando comprese che si trattava di far oltraggio alla sua signora e a don Antonio de Mariz, il suo primo pensiero era stato quello di gettarsi sui tre nemici e ucciderli. [p. 68 modifica]

Fu per ciò che proferì quella parola che rivelava la sua indignazione; ma immediatamente riflettè che potea soccombere, e che in tal caso Cecilia più non avrebbe chi la difendesse.

Per la prima volta in sua vita ebbe timore; ebbe timore per la sua signora, e si dolse di non aver mille vite per sacrificarle tutte alla sua salvezza.

Fuggì allora con bastante rapidità per non essere veduto da Loredano, che saliva sull’albero; allontanossi da loro, e giunto al nume, lavò la sua tunica di cotone, macchiata di sangue; non volea che si sapesse ch’era stato ferito.

Nell’atto che si adoperava in questo lavoro, rifletteva a quello che avea a fare.

Risolse di non dir nulla a persona, neppure a don Antonio de Mariz: due ragioni lo recavano a ciò; la prima era la tema di non esser creduto, non avendo prove con cui avvalorare l’accusa, che egli, indiano, facea contro uomini bianchi; la seconda era la fiducia che avea in sè di bastare a sventar tutte le trame degli avventurieri, e lottare contro Loredano.

Determinato questo primo punto, si accinse a mandar ad esecuzione il suo disegno; riducevasi questo ad una punizione. Que’ tre uomini volevano ammazzare, doveano quindi essere ammazzati, ma dovean morire al tempo stesso d’un medesimo colpo; perocchè Pery avea timore che, concertati com’erano, se uno scampasse, vedendo soccombere i suoi compagni, sarebbe preso da disperazione, ed anticiperebbe la [p. 69 modifica]consumazione del delitto, prima che egli potesse prevenirlo.

Il suo intelletto incolto, ma splendido come il sole della nostra terra, vigoroso come la vegetazione del nostro suolo, guidavalo in questo ragionamento con una logica e una prudenza degna di un uomo incivilito: passando in rassegna i casi possibili, concertava tutte le probabilità, e preparavasi ad effettuare il suo disegno con quella certezza ed energia di azione, che nessuno possedeva in grado tanto elevato.

Perciò avviandosi verso casa, ove chiamavalo un altro dovere, quello di avvertire don Antonio della probabilità di un assalto degli Aimorè; era passato vicino a Bento Simoes e Ruy Soeiro, e guidato dagli sguardi di costoro, vide in lontananza Loredano nell’atto che mirava contro il cavaliere.

Correre, piombare sopra di lui, stornare la mira e aggravarlo sopra i ginocchi, fu un punto solo: appena i due avventurieri si accorsero del suo passaggio, che già il loro compagno era soggiogato.

L’effettuazione del progetto di Pery presentavasi naturalmente, senza gran difficoltà: la vita di Loredano era nelle sue mani; sbarazzatosi di lui, gettavasi sui due avventurieri, e contro questi gli bastava il suo pugnale: quando tutto fosse compiuto, presenterebbesi a don Antonio de Mariz e gli direbbe: «Questi tre uomini vi tradivano; uccidetemi, punitemi, se feci male.» [p. 70 modifica]

L’intervento di Alvaro, per la cui generosità Loredano ebbe salva la vita, frastornò interamente questo disegno; ignorando il motivo perchè Pery minacciasse l’avventuriere, e giudicando che fosse unicamente per punirlo dell’attentato commesso perfidamente contro di lui, il cavaliere, cui ripugnava togliere la vita a un uomo senza necessità, si tenne pago del giuramento e della certezza che lascerebbe la casa.

In questo intervallo Pery rifletteva al modo di far volgere le cose alla condizione di prima; ma si accorse che non ci riuscirebbe.

Alvaro avea ricevuto da don Antonio de Mariz tutti i principii di quell’antica lealtà cavalleresca del secolo XV, che il vecchio fidalgo conservava come il miglior legato de’ suoi avi; il giovane modellava tutte le sue azioni, tutti i suoi pensieri secondo quel tipo dei baroni portoghesi, che aveano combattuto in Aljubarrota al fianco di Mestre de Aviz, il re cavaliere.

Pery conosceva il carattere del giovane; e sapeva che dopo aver concesso la vita a Loredano, ancorchè lo disprezzasse, non consentirebbe che in sua presenza gli fosse torto un capello; e se fosse bisognato, avrebbe tratto anche la spada per difendere quest’uomo, che avea attentato alla sua vita.

E l’Indiano rispettava Alvaro, non per cagion sua, ma per riguardo di Cecilia amata dal giovane; sapea che una sua disgrazia affliggerebbe la signora; e ciò bastava a rendergli sacra la [p. 71 modifica]persona del cavaliere, come ogni altra cosa che appartenesse alla fanciulla, o che fosse necessaria alla sua quiete, tranquillità e felicità.

Il risultato di questa riflessione fu che Pery mise il pugnale alla cintola; e senza più curarsi di Loredano accompagnò il cavaliere.

Ambedue si avvicinarono verso casa, camminando lungo il margine del fiume.

— Obbligato ancora una volta, Pery; non tanto per la vita che mi salvasti, quanto per la stima che mostri d’avermi.

E il giovane strinse la mano del selvaggio.

— Non sapermene grado; Pery nulla ti fece; chi ti salvò fu la signora.

Alvaro sorrise della franchezza dell’Indiano, e arrossì dell’allusione che ci avea nelle sue parole.

— Se tu fossi morto, la signora avrebbe pianto; e Pery vuol vedere la signora contenta.

— T’inganni; Cecilia è buona, e si affliggerebbe ugualmente del male che accadesse a me e a te, o a qualunque altro che è assuefatta a vedere.

— Pery sa perchè parla così; ha occhi che veggono, e orecchi che odono; tu sei per la signora il sole che rende il jambo vermiglio, e la luna che fa aprire il fiore della notte.

— Pery!... sclamò Alvaro.

— Non ti sdegnare, disse l’Indiano dolcemente; Pery ti ama perchè fai sorridere la signora. La canna quando è vicina all’acqua, si conserva verde e lieta: quando il vento passa, [p. 72 modifica]le foglie dicono Ce-Cy. Tu sei il fiume; Pery è il vento che passa dolcemente per non soverchiare il mormorio della corrente; è il vento che curva le foglie, finchè tocchino l’acqua.

Alvaro fissò nell’Indiano uno sguardo di meraviglia. Onde mai questo selvaggio, senza coltura, senza civiltà, apprese questa poesia semplice, ma graziosa; onde mai bevve questa delicatezza di sentire, che difficilmente s’incontra in un cuore guasto dall’attrito della società?

La scena che disegnavasi al suo sguardo, gli rispose: la natura brasiliana, tanto doviziosa, tanto splendida, essere l’immagine che riproducevasi in quel vergine spirito, come nello specchio delle acque e nelle faccette del cristallo di roccia.

Chi conosce la vegetazione della nostra terra dalla parassita sensitiva fino al cedro gigante; chi nel regno animale scende dalla tigre e dal tapir, simboli della ferocia e della forza, fino al leggiadro baciafiore (colibrì) e all’insetto dorato; chi guarda il nostro cielo, che passa dal più puro azzuro a quei riflessi bronzati che annunziano i grandi uragani; chi sa che sotto la verde lanugine dell’erba o lo smalto dei fiori, che coprono le nostre campagne, strisciano migliaia di rettili che recano la morte in un atomo di veleno; chi vede quel medesimo suolo, che produce l’oro e l’argento al pari del ferro, dello zinco e del rame; il diamante, lo smeraldo ed il zaffiro al pari del salnitro, dello zolfo e del carbone minerale; deve comprenderci. [p. 73 modifica]

Infatti che cosa esprime quella catena, che lega i due estremi di tutto ciò che costituisce la vita? Che vuol dire la forza nel colmo della sua potenza, alleata alla fragilità in tutta la sua delicatezza; la bellezza nella sua grazia, che succede ai drammi terribili degli elementi e ai mostri che spaventano; la ricchezza e lo splendore congiunti alla fortezza e all’energia; la morte orribile com’è gioconda la vita?

Non è ciò la poesia? L’uomo che nacque, si dondolò e crebbe in questa culla profumata; nel mezzo di scene tanto diverse, fra il contrasto eterno del sorriso e del pianto, del fiore e dello spino, del miele e del veleno, non è un poeta?

Poeta primitivo canta la natura nello stesso linguaggio della natura; ignaro di ciò che avviene in lui, va a procacciarsi nelle immagini che ha dinanzi agli occhi, l’espressione di quel sentimento vago e indeterminato, onde la sua anima è agitata.

La sua parola è quella che Dio scrisse con quelle lettere, che formano il libro della creazione; è il fiore, il cielo, la luce, il tuono, l’aria, il sole; sublimi dissillabi che le labbra pronunciano sorridendo.

La sua frase scorre come il ruscello che serpeggia tra l’erbe, o slanciasi come il fiume che si precipita dalla cascata; talvolta s’innalza fino alle vette dei monti; tal’altra discende e guizza come l’insetto, sottile, dilicata e graziosa.

Ecco ciò che la decorazione della scena [p. 74 modifica]maestosa, nel cui mezzo si trovavano in riva al Paquequer, disse ad Alvaro; ma rapidamente, e per una di quelle impressioni che scuotono il cuore, e poi tacciono.

Il giovane ricevette la confessione ingenua dell’Indiano senza il menomo risentimento; al contrario apprezzò quella devozione che il selvaggio avea per Cecilia, e che arrivava al punto di amare tutto quanto la sua signora stimava.

— Perciò, disse Alvaro sorridendo, tu solo mi ami, perchè pensi che Cecilia mi vuol bene?

— Pery ama soltanto quello che è amato dalla signora; perchè non ama altri che la signora in questo mondo: per essa abbandonò sua madre, i suoi fratelli e la terra ove nacque.

— Ma se Cecilia non mi stimasse, che faresti?

— Pery farebbe lo stesso che il giorno colla notte; passerebbe senza vederti.

— E s’io non amassi Cecilia?

— Impossibile!

— Chi lo sa? disse il giovane sorridendo.

— Se la signora divenisse mesta per te!.... sclamò l’Indiano, la cui nera pupilla s’irradiò.

— Ebbene che faresti?

— Pery ti ucciderebbe.

Alvaro conobbe che la fermezza con cui erano pronunciate quelle parole, non lasciava il menomo dubbio sulla loro effettuazione; frattanto strinse con effusione la mano dell’Indiano.

Pery temè di aver offeso il giovane; e per iscolparsi della sua franchezza, gli disse con voce commossa: [p. 75 modifica]

— Ascolta. Pery è figlio del sole; e rinnegherebbe il sole, se egli appannasse la candida pelle di Cecy. Pery ama il vento; e odierebbe il vento, se strappasse un cappello d’oro dal capo di Cecy. Pery beve l’acqua; e Pery non umetterebbe più la sua bocca, se una goccia macchiasse le vesti leggiadre di Cecy. Pery si diletta di vedere il cielo; e non alzerebbe più la vista, se egli fosse più azzurro degli occhi di Cecy.

— T’intendo, amico; tu votasti tutta la tua vita alla felicità di quella fanciulla. Non temere che io mai abbia ad offenderti nella persona di lei. Sai s’io l’amo; e non isdegnarti, Pery, se dirò che la tua devozione non è maggiore della mia. Prima che tu mi uccidessi, credo che mi ucciderei io stesso, se avessi la sventura di rendere Cecilia infelice.

— Tu sei buono; Pery desidera che la signora ti ami.

L’Indiano raccontò allora ad Alvaro ciò ch’era accaduto la notte precedente; il giovane fremè di rabbia, e volea tornar indietro per cercar di Loredano; questa volta non gli perdonerebbe.

— Non pensarci; disse l’Indiano: Cecy avrebbe paura; lascia che Pery addirizzi ogni cosa.

In questa eran giunti presso la casa, e stavano per entrare nel recinto della valle, quando Pery prese il braccio di Alvaro:

— Il nemico della casa vuol far del male; tu difendi la signora: se Pery muore, fanne per [p. 76 modifica]venir la nuova a sua madre, e vedrai tutti i guerrieri della tribù accorrere per combatter teco e salvare Cecy.

— Ma chi è il nemico della casa, di cui parli?

— Vuoi saperlo?

— Per certo; come altrimenti potrei combatterlo?

— Lo saprai.

Alvaro volle insistere; ma l’Indiano non gliene diè il tempo; si mise di nuovo nel bosco, e nell’atto che il giovane saliva la scala, egli facea una giravolta all’intorno della casa, e guadagnava il lato ove riguardava la stanza di Cecilia.

Già avea scorto da lungi la finestra, quando di sotto un labirinto di rami sorse la figura macra e lunga di Ayres Gomes, tutto coperto di ortiche e di triboli, macero di sudore e anelante, come fosse per esalar l’anima dalla bocca.

Il degno scudiero, battuto il capo in un ramo mal collocato, avea dato del naso per terra, stramazzando quant’era lungo sull’erbata.

Malgrado ciò alzossi alquanto sui gomiti, e gridò con tutta la forza che avea nei polmoni:

— Olà! indemoniato!.. Don cacico!... Cacciatore di tigri vive!... Ascolta qua!

Pery neppur si voltò.