Màlgari

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Il folletto nello specchio

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Màlgari




Molti e molti secoli fa, un gran vecchio poeta e Re di un paese lontano, cantò sulla riva del mare un magnifico poema, s’intenerì del proprio canto sino a piangerne; e le sue lagrime, cadendo nell’Oceano, vi diventarono perle. Trecento anni or sono fu pescata la più superba di queste perle, che aveva la forma d un cuore; e il Doge di Venezia la regalò a S. E. Contarina Contarini, moglie di un Cao della Repubblica. La Contarini, bella, ricca, virtuosa, non era felice. Aveva perduto nel terzo anno del suo matrimonio l'unica bambina; e siccome quando incomincia questa storia forse più vera che verosimile erano passati dodici anni dal giorno della sventura, nè lei nè suo marito osavano più sperare che il buon Dio [p. 200 modifica]mandasse loro un’altra creaturina in luogo della morta.

Un giorno mentre Contarina scendeva dalla sua gondola in campo S. Zanipolo per andare alla predica, una povera donna che aveva seco due bambini cenciosi e sparuti le chiese piangendo l’elemosina. Contarina le diede uno zecchino e la povera donna esclamò piena di gratitudine «Dio La benedica, Eccellenza, Lei e le sue creature! La Madonna Le dia allegrezza» La dama si turbò ed entrò a S. Zanipolo dove un frate predicava sulla educazione e stava raccontando all’uditorio la storia di Cornelia Romana che disse de’ suoi figliuoli «ecco i miei gioielli». Contarina pensò allora: ah se invece della perla che m’ha donato il Doge avessi ancora la mia bambina! Dopo la predica, ritornando in gondola al suo palazzo della Madonna dell’Orto, Contarina si addormentò e udì in sogno una voce che le disse queste parole incomprensibili «se non la vuoi perdere, guardati dalla poesia e dalla musica». Ella si svegliò subito assai meravigliata di un tal sogno, piena d’inquietudine. Scendendo al suo palazzo udì un gran [p. 201 modifica]chiasso, un gran litigare dei domestici. Le vennero incontro parlando tutti insieme, e Contarina potè a stento intendere che si accusavano a vicenda di aver lasciata aperta la porta della calle, poichè qualcuno doveva esser entrato di furto con una creatura che si era poi udita gemere, e si era trovata sola soletta proprio nella camera di Sua Eccellenza e proprio nella culla d’argento vuota da dodici anni. Contarina mise un grido e respingendo tutti col gesto si slanciò nella sua camera.



Trovò infatti nella culla d’argento una bambina bianca come l’alabastro, con due occhioni color di mare, che subito cessò di gemere e le stese le sue manine. Contarina corse allo stipo dei gioielli; era aperto, e la famosa perla del Doge, scomparsa. Ella intese allora che Dio aveva veduto il suo pensiero di S. Zanipolo ed esaudito il voto della mendicante. Folle di gioia, vestì subito la piccina con le vesti della sua dolce morta e mandò a chiamare il marito cui raccontò ogni cosa, l'au[p. 202 modifica]gurio, il pensiero e il miracolo. Sua Eccellenza Giovanni Contarini rispose che probabilmente un ladro aveva rubata la perla e lasciata la bambina, ma che vedendo lei così felice, egli era contento di tenersi la piccina per figliuola. Era il giorno di Santa Margherita e le fu imposto il nome di Margherita che vuol dire perla, ma lei, quando cominciò a parlare, invece di dire «Margherita» diceva sempre Màlgari e tutti finirono con chiamarla così.

Màlgari crebbe rapidamente e sarebbe stata la più bella bambina di Venezia senza quel suo pallore straordinario. I domestici di casa Contarini e le dame invidiose di Venezia volevano per forza che fosse sangue vile di zingari o di ladri; ma ell’aveva un viso così nobile e gentile, una voce così soave ch’era ridicolo di affermare tal cosa. Vivacissima di sentire, era molto gaia, scherzava, giuocava tutto il giorno, rideva spesso d’un suo breve riso argentino, a trilli; ma se udiva una [p. 203 modifica]maldicenza, una parola incivile o triviale, se vedeva un atto malvagio o villano, se le raccontavano dolori o tristizie della gente; se qualchevolta suo padre e sua madre altercavano insieme, e, sopratutto, se si accorgeva di una menzogna detta in sua presenza, si chiudeva tosto in una grave, silenziosa malinconia. Aveva quattro anni quando, una notte d'estate, passò per il rio della Madonna dell’Orto qualcuno che cantava accompagnandosi con la chitarra. Màlgari, che dormiva con sua madre, si svegliò, scivolò dal letto, vi rimase fino a che potè udire la voce che si perdeva verso S. Alvise, e cadde poi svenuta sul pavimento.

Quando rinvenne, nel letto di sua madre, la supplicò di lasciarla ritornare alla finestra, di farle udire ancora quel suono e quel canto. Poi assalita da una febbre ardente, delirò per tre giorni e tre notti, tornando sempre a questo punto che la chiamavano, che doveva partire, che lei non era veneziana, che aveva udito una voce del suo paese; e abbracciava la povera desolata Contarina dicendole: «Mamma, mamma, conducimi via!» Allora Contarina, ricordandosi delle parole udite in sogno [p. 204 modifica]e pensando che a Venezia sarebbe stato impossibile tener Màlgari lontana dalla musica, se non dalla poesia, propose al marito di partir per la sua isoletta di Syra nell’Arcipelago greco, dove aveva un palazzo che sorgeva fra boschi di ulivi, di aranci e di lauri a guardar il mare. L’isola non era abitata che dai coloni e dai giardinieri di Contarina. Sua Eccellenza Contarini rispose ch’era una pazzia e ch’egli non poteva spiantarsi da Venezia. Contarina si ostinò e partì sola con Màlgari.



Tutti gli abitanti di Syra ebbero subito assoluto divieto di tenere strumenti di musica e di cantare. Contarina proibì persino di suonar le campane della chiesa perchè la sera stessa del suo arrivo all’Ave Maria, Màlgari si era tutta rimescolata udendole suonare nella solitudine, tra il fragore del vento e delle onde. Non per questo la bambina riebbe l’umor lieto di prima. Giuocava di rado, adesso, e non rideva quasi mai; era però [p. 205 modifica]contenta di trovarsi proprio in mezzo al mare e passava lunghe ore sul lido ad ascoltar la gran voce dell’Egeo.

Avanzando negli anni diventò avida di letture e fece lunghe dimore nella biblioteca del palazzo, dove una volta sua madre la trovò a leggere il Tasso, con gli occhi scintillanti, con il polso e il calor febbrile, ebbra di quella poesia. Perciò Contarina fece togliere dalla biblioteca e bruciare tutti i libri di versi. Sua Eccellenza Contarini non veniva a Syra che una o due volte l’anno nè vi si tratteneva più di tre giorni. Egli era irritato, sulle prime, di ciò che chiamava la pazzia di sua moglie; poi vi si abituò. Màlgari si affliggeva segretamente di veder che suo padre e sua madre non si amavano più e aveva pregato più volte quest’ultima di ricondurla al padre, non sapendo il segreto della propria origine e della fuga da Venezia che ella attribuiva a quel suo capriccio infantile di bambina malata. Ma sua madre l’avea sempre supplicata, prima con baci e carezze, poi con lagrime, di non insistere.

Màlgari era sui tredici anni quando una came[p. 206 modifica]riera cacciata le disse, per vendetta, come ella fosse entrata in casa Contarini; per mano dei ladri e di zingari. Màlgari gelò, diventò ben più bianca d’una perla, rispose a colei «vi perdono» e andò da sua madre, volle, colla fermezza severa d’una piccola regina, conoscere da lei la propria storia. Contarina le raccontò tremando il miracolo, e, il bel viso pallido di Màlgari si trasfigurò come se vi salisse dentro una luce di alba. «Sì, mamma» diss’ella «sento che non sono la zingara, che son la perla; ma non bisogna dirlo nemmanco all’aria che non m’ingiallisca, nemmanco al mare che non mi prenda. Ora spiegami perchè non vuoi che nessuno qui suoni nè canti e perchè non mi hai più lasciato leggere quel libro così dolce.» Contarina si schermì dal rispondere a queste domande, e Màlgari non insistette. Si accontentò, di sussurrar nell’orecchio a sua madre, abbracciandola: «vorrei ritornare a Venezia».

Quella sera stessa la giovinetta discese al mare [p. 207 modifica]in un recondito seno chiuso fra due scogli neri dove l’onda si addormenta sulla sabbia fine e lucente, e grandi pini ad ombrello, levandosi sopra le macchie di Lauri, cantano ad ogni fiato di vento che passa in alto. Parve Màlgari non aver mai amato tanto il mare. Si lasciò cader sulla sabbia, si distese lungo l’umido confine dell’onda, se ne fece lambire dei piedi ai capelli, e l’onda era così tepida, molle, amorosa, che Malgari parlò con lei, piano piano, figurandosi la sua vita antica di perla, aprendo il suo cuore, domandando all’acque materne quella dolcezza che aveva sentita una notte a Venezia, che aveva sentita un giorno nella biblioteca leggendo la storia di Clorinda e di Tancredi. E l’onda rispondeva piano piano, pareva che avesse in sè qualche cosa dell’una e dell’altra dolcezza, che promettesse molto più. Il cielo era oscuro, l’alto mare si confondeva con esso; ma, a poco a poco, Màlgari, non sapendo bene se fosse desta o no, vide tanti piccoli chiarori argentei movere da lontano verso di lei; distinse a poco a poco, in ciascun chiarore, una figurina umana, tante bionde e brune teste di giovinette che rom[p. 208 modifica]peano veloci le acque fosforescenti, tante picciolette mani che gittavano scherzando a manca, a dritta e in alto spruzzi di brillanti. Non entrarono nel seno dove era Màlgari, ma gli passaron davanti rapidamente, così da presso che il bagliore delle fosforescenze illuminava gli scogli, la riva ed il bosco. Ciascuna testina si voltava, passando, a guardar Màlgari ma nessuna venne a lei tranne l’ultima che girò fra gli scogli ed entrò nella rada, fermandosi a pochi passi dal lido.

— Chi siete? — le chiese Malgari.

— Nereidi.

— Nereidi? Allora sapete predir l’avvenire?

— Sì.

— Dimmi il mio.

La piccola Nereide la guardò un poco e rispose:

— Di musica e di poesia sei nata, in poesia e musica ritornerai.

La Nereide aveva un delicato viso di bambina; ma gli occhi suoi erano belli, malinconici e profondi come d’una donna di trent’anni.

— Come sei bella! disse Màlgari. — Vieni a darmi un bacio. [p. 209 modifica]— Non posso. Le Nereidi non toccano il lido.

— Ci ritroveremo mai?

— Io son del mare — rispose la malinconica testolina bruna. — Tu sei del cielo.

E senza dirle addio girò veloce e disparve dietro lo scoglio, seguendo le sue sorelle.

Màlgari se ne ritornò a casa, non parlò delle Nereidi e non domandò mai più a Contarina perchè la tenesse lontana dalla musica e dalla poesia.



Ella non rise più, dopo quella sera; e diventò ancora più dolce e pia. Nessuno soffriva nell’isola senza ch’ella pure soffrisse, senz’avere da lei pietà, aiuto e conforto. Ella entrava nelle case e nelle anime della povera gente, e nelle case e nelle anime restava un lume di lei. Ritornò sovente, la sera, a quel golfo recondito ma non vide più le Nereidi.

A quindici anni ne mostrava nel viso e nell’alta graziosa persona, dieciotto; e Contarina andava già pensando se le cercherebbe marito o no. Gio[p. 210 modifica]vanni Contarini non veniva da due anni e scriveva di rado, non più di una volta ogni due mesi, quando la nave dei Borsari, mercanti a Rialto, andando a Smirne, toccava l'isola. Una volta la nave non portò lettere, portò invece la notizia che una terribile pestilenza era scoppiata in Venezia. Contarina ne fu atterrita pensando al pericolo del marito, al rimorso proprio s'egli venisse colto dal morbo e lei non fosse ad assisterlo; ma molto più rimase atterrita quando Màlgari le dichiarò con i suoi modi miti e risoluti che il loro dovere era di ritornare a Venezia e che bisognava compierlo. Contarina piegò il capo come lo avrebbe piegato davanti a Dio e quindici giorni dopo le due signore entravano nel loro palazzo della Madonna dell' Orto dove Giovanni Contarini era morto di peste il giorno innanzi. Contarina si disperò, pianse molto e propose a Màlgari di partire subito; ma la fanciulla che non aveva strillato nè pianto, le rispose che se Contarini era morto nell'abbandono, la colpa ne pesava sopra di loro e bisognava espiarla. Ella stessa, per sua parte, intendeva farsi infermiera degli appestatì. Contarina si sentì mo[p. 211 modifica]rire ma non ardì opporsi perchè Màlgari aveva parlato con un'aria di regina e anche di Santa.


Questa si pose subito all'opera. I poveri infermi erano spesso abbandonati, per paura, dai loro parenti, si trascinavano spesso a morire sulla pubblica via. Màlgari, con quella sua bellezza mistica, con la voce soave, con le delicate mani abili a tutto e di nulla sdegnose, fu invocata e benedetta da ricchi e da poveri, che la chiamavano la Madonna dell'Orto. Ella assistette fra gli altri, un giovine musicista straniero, venuto dal Nord in Italia per l'arte sua; un povero bello e gentile giovane, che, guarendo, si innamorò forte di lei e non glielo potè dire perchè ella, sentendo pure confusamente che l'avrebbe amato e che quello non era il tempo di amare, lasciò a un tratto di visitarlo. Cessata la morìa, pensò ancora a lui, e molto; ma non lo vide più.

Il Senato la onorò grandemente il Doge fece ancor più: la domandò in isposa. Contarina, [p. 212 modifica]malgrado mille trepidazioni sue proprie e la fredda renitenza di Màlgari, fu di avviso che non si potesse rifiutare il Doge. Tuttavia Màlgari lo rifiutò, e solo per ischerzo soggiunse che s'egli dotasse tutte le donzelle povere e ricoverasse tutti i pezzenti di Venezia ci ripenserebbe; se poi levasse dalla piazza di S. Marco il Campanile cui non poteva soffrire, si risolverebbe addirittura di sposarlo. Il Doge rispose che le due prime condizioni erano accettate e che eseguirebbe anche l'ultima nel terzo anno dalle nozze. Màlgari si rattristò assai perchè se diceva di no toglieva pane, tetto, allegrezza a tante migliaia di creature umane e il sì le ripugnava oltremodo. Le parve che il bene fosse dalla parte del sacrificio e si sacrificò.


Per ritardare le nozze, pregò all'ultimo momento che si celebrassero nell'isola di Syra. Il Doge acconsentì e i due fidanzati partirono sopra due navi della Repubblica, accompagnati dai loro parenti, da un gran numero d'amici, di clienti e di [p. 213 modifica]servi. Era il plenilunio di agosto e la seconda notte del viaggio, una notte splendida, Màlgari salì sola verso il tocco in coperta a goder la luna ed il fresco. Sedette a prora contemplando il mare e dopo qualche tempo s'avvide di un marinaio che voleva accostarsi a lei e non ardiva. Gli domandò affabilmente che desiderasse ed egli si scoperse per il giovane musicista straniero guarito dalla peste. Màlgari si turbò profondamente, non gli chiese perchè si trovasse a bordo in quel travestimento; e il giovane le disse solo che il suo repentino abbandono l'aveva accorato e che ora era felice di poterle almeno dire «grazie». Per la prima volta un lieve color di rosa passò non veduto sul viso della fanciulla che lasciò cadere questo discorso. Pregato da lei, il giovane straniero parlò del suo paese. Era un paese lontano lontano verso il nord, cinto a mezzogiorno e a ponente da un mare tempestoso d'estate, gelato d'inverno, un triste, povero paese tutto scogli, laghi, boschi di betulle che negli anni di carestia si scorticano per farne pane; un paese di gente buona e semplice, di pescatori che errano sui laghi nei [p. 214 modifica]tronchi incavati degli abeti, che cercan la trota sotto le cascate spumanti, di cacciatori che inseguono l'anitra selvatica e l'eider fin sulle onde del mare, che volano sulle slitte veloci in traccia della volpe, del lupo e dell'orso; un paese povero d'oro, conchiuse il giovane, ma ricco delle due più belle cose che il mondo abbia, la musica e la poesia. Màlgari trasalì. «Come mai?» esclamò. « Come può dir questo?»

Allora il giovane straniero le parlò di un magnifico poema della sua patria, che ancora si cantava dal popolo, nella fredda stagione intorno al focolare domestico e nell'estate all'aperto, sulle praterie, sulle sponde fiorite dei laghi, sui lidi del mare. E le raccontò le parti più belle del poema, storie d'amore, storie d'odio, storie di pace, storie di guerra. In ultimo le raccontò la storia di un gran vecchio glorioso, poeta e Re, che cantando sul lido s'intenerì del proprio canto, e pianse, e le lagrime cadendo nel mare, vi diventarono perle. Màlgari voltava le spalle alla luna che battea sul viso dello straniero; seguiva il racconto con gli occhi spalancati, intenti, stringendosi le mani di [p. 215 modifica]ghiaccio sul petto pieno d'amore e di dolor mortale.

«Perché» susurrò poi ch'egli tacque «perché non vi ho riveduto prima?» E subito si pentì di queste parole, si voltò a guardare il mare in silenzio. Ed ecco non tanto lontano i correnti chiarori argentei, le testine bionde e brune delle Nereidi. Màlgari credette ravvisar la sua, la sola che si voltasse a guardar il bastimento; credette incontrare e intendere quello sguardo. «Mi suoni» diss'ella subito al giovane «mi suoni il canto del vecchio poeta».



Il giovane andò e tolse il suo strumento, un violino italiano. « Grazie » disse Màlgari al suo ritorno. «Aspetti, non voglio esser veduta se mi cercano.» Sedette fra il cannone di prora e il parapetto della nave. Lo strumento suonò, con tutta l'anima sua di patriota, di artista, e di amante, una musica sublime. I delfini innamorati seguivano la nave, i [p. 216 modifica]marinai e gli ufficiali, i servi e signori accorsero, si affollarono sul ponte ad ascoltare il magico suono senza che il suonatore se ne avvedesse. Quando se ne avvide s'interruppe, volle congedarsi da Màlgari; ma di lei non trovò più che un fazzoletto bagnato di lagrime.

La gente stupida credette che si fosse gittata dalla nave per non andare sposa del Doge. Contarina Contarini morì di crepacuore vedendola tornata in perla sul fondo dell'Adriatico, ma noi non abbiamo queste idee sciocche e tristi. Se di lei solo rimase un fazzoletto bagnato di lagrime, noi sappiam che la perla era fatta di lagrime appunto e dell'anima d'un poeta; noi sappiamo cos'ha detto la piccola Nereide malinconica dell'Egeo:

«Io sono del mare, tu sei del cielo».