Geografia (Strabone) - Volume 3/Libro V

Libro V

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Libro V - Capitolo I

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DELLA

GEOGRAFIA

DI STRABONE




LIBRO QUINTO




CAPO PRIMO


Descrizione generale dell’Italia. — Sua denominazione e figura. — Della catena delle Alpi. — Ampiezza della Celtica (o Gallia) Cisalpina. — Figura del restante d’Italia. — Estensione del mare Adriatico. — Estremità meridionale dell’Italia. — Degli Apennini.

Alle radici delle Alpi è il principio di quella regione che ora chiamasi Italia: perocchè gli antichi dissero Italia soltanto l’Enotria, dallo stretto della Sicilia sino [p. 6 modifica]al golfo di Taranto ed al Posidoniate1; ma prevalse poscia qnel nome, e stendendosi fino alle radici delle Alpi, comprese la Ligustica che va lungo il mare dai confini tirreni al fiume Varo, ed anche l’Istria fino a Pola. E forse avvenne ch’essendo in buona fortuna i primi detti Itali, comunicassero il proprio nome anche ai vicini; e così s’andasse allargando fino ai tempi della dominazione romana. Più tardi poi, quando i Romani concedettero agl’Italiani il diritto di cittadinanza, stimarono conveniente d’impartire siffatto onore anche ai Celti al di qua dalle Alpi, ed agli Eneti2, denominandoli tutti Italiani e Romani: oltrechè fondarono in diversi tempi varie colonie, delle quali non si potrebbero facilmente trovar le migliori3.

Non è facile abbracciare sotto una sola figura geometrica tutta quella che ora nomasi Italia. Pure alcuni dicono ch’essa è un promontorio triangolare rivolto al mezzogiorno ed al levante d’inverno, sicchè tiene il vertice allo stretto di Sicilia, ed ha per base le Alpi4 … Io sono d’accordo quanto alla base ed all’uno dei lati, a quello cioè ch’è bagnato dal mar tirreno e finisce allo Stretto. Ma triangolo propriamente si [p. 7 modifica]chiama una figura rettilinea, e qui invece e la base ed i lati son curvilinei; sicchè qualora dovesse concedersi che l’Italia abbia la figura di un triangolo, bisognerebbe aggiungere però, che questo triangolo nella base e nei fianchi si descrive da linee curve; poi ammettere altresì che uno di questi lati si piega verso il levante. Ancora non si può dire con precisione un sol lato quello che dal seno dell’Adria corre fino allo Stretto; perocchè lato diciamo una linea senz’angoli, e senz’angoli è quando in tutte le sue parti o non devia punto o devia sol qualche poco dal retto. Ma la linea che va da Arimini al promontorio Iapigio5, e quella che dallo Stretto viene fino a questo promontorio hanno direzione molto diversa: e lo stesso è, per quanto mi pare, di quelle che partonsi dal fondo del golfo Adriatico e dal promontorio Iapigio; giacchè incontrandosi verso Arimini e Ravenna fanno angolo, o se non un angolo propriamente detto, almeno una notabile curva. Però quando bene la spiaggia che dal fondo dell’Adria va fino al promontorio Iapigio volesse considerarsi come un sol lato, non dovrebbe dirsi rettilineo; e il restante poi che dal promontorio Iapigio va fino allo Stretto descriverebbe un altro fianco, e nè questo pure diritto. Quindi l’Italia somiglierebbe ad una figura di quattro lati anzichè di tre; nè potremmo dirla triangolare se non se impropriamente: ma egli è il meglio confessare che di quelle figure le quali non sono geometriche non è facile dare un’esatta descrizione. Considerando poi [p. 8 modifica]le singole parti diremo, che le radici delle Alpi corrono per una linea curva e sinuosa colla concavità rivolta all’Italia. Il centro poi di questa sinuosità è nel paese dei Salassi6; e le estremità danno volta da un lato fino all’Ocra ed al fondo del golfo Adriatico, dall’altro verso la spiaggia ligustica fino a Genova, emporio dei Liguri dove i monti Apennini si congiungono colle Alpi.

Sotto alle Alpi trovasi subitamente una ragguardevol pianura che ha due mila e cento stadii così per larghezza, come per lunghezza. Il suo fianco meridionale è chiuso dalla spiaggia degli Eneti e da quei monti Apennini che stendonsi fino ad Arimini e ad Ancona. Perocchè questi monti partendosi dalla Ligustica, entrano nella Tirrenia, lasciando fra sè ed il mare un’angusta spiaggia; s’internano poscia fra terra, e quando son giunti al territorio di Pisa convertonsi verso l’oriente e verso il mar d’Adria fino alle vicinanze d’Arimini e d’Ancona, congiungendosi ad angolo retto colla spiaggia degli Eneti. Da questi confini pertanto è chiusa la Celtica al di qua dalle Alpi; e la lunghezza della sua spiaggia congiunta coi monti è di sei mila e trecento stadii; e la larghezza è di poco meno che mille.

Il restante poi dell’Italia è angusto ed oblungo, e riesce in due promontorii, l’uno dei quali va allo stretto di Sicilia, l’altro al capo Iapigio; e da un [p. 9 modifica]lato la cinge il mar d’Adria, dall’altro il mar tirreno. Ed è l’Adriatico così di forma come di grandezza uguale a quella parte d’Italia ch’è circoscritta dai monti Apennini e dai due mari fino alla Iapigia ed all’istmo ch’è fra il golfo di Taranto ed il Posidoniate: perocchè la maggiore ampiezza è nell’uno e nell’altra di circa mille e trecento stadii, e la lunghezza è poco meno di sei mila. Quello poi che rimane dell’Italia l’occupano i Brezii ed i Leucani7.

Dice Polibio che la spiaggia marittima dalla Iapigia fino allo Stretto, chi la misuri per terra, è di tre mila stadii; ma che per mare se ne contano cinquecento di meno: tutta poi quella spiaggia è bagnata dal mar di Sicilia.

I monti Apennini dopo essersi spinti fino ai dintorni d’Arimini e d’Ancona, ed aver quivi attraversata l’Italia da mare a mare, danno volta di nuovo e tagliano tutta la regione pel lungo. E fino ai Peucezii ed ai Leucani non si disgiungono molto dall’Adriatico; ma venuti a questi ultimi, declinano un poco più verso l’altro mare: e il rimanente passando per mezzo ai Leucani ed ai Brezii finisce alla così detta Leucopetra di Regina8.

Queste cose pertanto siano dette così in generale intorno a tutta quella regione che al presente dicesi Italia: ora ripigliando la nostra descrizione faremo prova di parlare di ciascuna sua parte separatamente; e innanzi tutto di quelle che sono sotto le Alpi. [p. 10 modifica]

CAPO II


Della Celtica (o Gallia) Cisalpina. — Popoli che l’abitano. – Descrizione della parte al di là del Po. — Descrizione della parte al di qua. — Lodi di tutta la Gallia Cisalpina.

È questa regione una pianura molto fertile ornata di fruttiferi colli, e divisa quasi pel mezzo dal Po; sicchè una parte dicesi Celtica al di là, un’altra Celtica al di qua del Po9. Al di qua dicesi tutta quella ch’è situata10 presso gli Apennini e la Ligustica; al di là poi la restante. E la prima è abitata da nazioni ligustiche e celtiche; da quelle nei monti, da queste nel piano: la seconda è abitata dai Celti e dagli Eneti. E i Celti di quella regione sono d’una medesima origine coi transalpini. Intorno agli Eneti poi v’ha una doppia tradizione: perocchè gli uni dicono che sono anch’essi una colonia de’ Celti abitanti lungo l’Oceano, i quali portano essi pure il nome di Eneti. Altri sostengono invece che alcuni degli Eneti di Paflagonia dopo la guerra troiana salvaronsi in questo luogo sotto la guida di Antenore: e ne recano in prova l’amore con cui attendono ad educare cavalli. Questo studio è al presente quasi spento del tutto, ma una volta era tenuto in pregio, in conseguenza dell’antico zelo dei [p. 11 modifica]loro maggiori nell’allevare i muli; di che anche Omero fa menzione dicendo:

Dall’Eneto paese ov’è la razza
Dell’indomite mule11.


Anche Dionigi tiranno di Sicilia v’instituì un luogo dove si allevassero cavalli destinati a’ pubblici giuochi; di modo che poi ne venne anche fra’ Greci la fama degli eneti puledri, e quella razza fu lungamente in onore.

Tutta la Celtica al di là del Po abbonda di fiumi e di paludi, ma principalmente la parte occupata dagli Eneti; nella quale poi si aggiungono anche gli accidenti del mare. Perocchè quasi soli que’ luoghi, in tutta l’estensione del nostro mare, soggiacciono al flusso e al riflusso come i paesi posti lungo l’Oceano; d’onde poi la maggior parte della pianura è piena di laghi marini. Quindi di canali e di argini si provvedono gli abitanti, come si fa nel Basso Egitto; e così il paese in parte si asciuga e si coltiva, in parte è navigabile. Delle città poi alcune sono isole, alcune son circondale dall’acqna soltanto in parte: e quelle che stanno al di là delle paludi nella terra ferma hanno fiumi che si possono rimontare fino ad una mirabile altezza. Fra questi è da notare principalmente il Po, il quale è grandissimo per sè medesimo, e spesse volte si gonfia per le piogge e per le nevi: quando poi è vicino a metter foce, si diffonde in molte parti, sicchè la sua bocca a stento si [p. 12 modifica]discerne, e l’entrarvi è malagevole; se non che la pratica vince anche le cose difficilissime.

Anticamente adunque, come già dissi, la sponda di questo fiume era abitata da moltissimi Celti. Le maggiori fra le celtiche nazioni erano quelle de’ Boj e degli Insubri, e quei Senoni i quali, insieme coi Gesati, corsero un tempo sopra la città di Roma e se ne impadronirono12. Ma i Romani poi li distrussero pienamente; e discacciarono i Boj dalle loro sedi. Questi allora essendosi tramutati alle vicinanze dell’Istro, abitarono insieme coi Taurisci e fecero guerra ai Daci finchè tutta la loro gente non rimase distrutta, lasciando a’ circonvicini quella parte d’Illiria ch’essi occupavano e ch’è tanto doviziosa di pascoli. Gl’Insubri invece sussistono tuttavia: e la loro metropoli è Mediolano13. Anticamente fu un borgo (perocchè allora abitavano tutti in borgate); ma ora è una ragguardevol città, situata al di là del Po, e quasi in contatto colle Alpi. Ivi presso è anche Verona, città grande essa pure; e Brescia, Mantova, Reggio14 e Como, minori di quelle due. E fu Como una mediocre abitazione: ma Pompeo Strabo, padre del gran Pompeo, la ripopolò dopo che i Reti abitanti al di sopra di essa l’avevano disertata; poscia Caio Scipione vi condusse anch’egli circa tre mila [p. 13 modifica]persone; ed all’ultimo il divo Cesare ve ne aggiunse ben cinque mila, fra’ quali i più illustri furono cinquecento Greci. A costoro egli diede il diritto della cittadinanza, e gl’inscrisse nel novero dei coabitanti: nè solamente si stabilirono essi in quel luogo, ma diedero anzi alla città il nome che porta al presente: perocchè tutti gli abitanti si dissero al pari di loro Neocomensi (Nuovi borghigiani): e interpretando questa parola si fece il nome di Novocomum15. Vicino a questa città è il lago detto Lario, a cui somministra le acque il fiume Adua16, che mette poi foce nel Po. Le sue sorgenti sono nel monte Adula, d’onde scaturisce anche il Reno.

Queste città sono situate molto al di sopra delle maree già dette, alle quali è per lo contrario vicina Patavio17, bellissima fra tutte le città di quella regione, dove si dice che nell’ultimo censo furono annoverati cinque cento cavalieri; e anticamente soleva mandar fuori ben cento e venti mila soldati. E la quantità delle [p. 14 modifica]merci ch’essa manda al mercato di Roma, principalmente di stoffe per abiti d’ogni maniera, attesta la molta popolazione di quella città e la sua agiatezza. Si ascende dal mare a Patavio navigando pel corso di duecento cinquanta stadii a ritroso di un fiume che attraversa le maree già mentovate, partendosi da un gran porto situato alla sua foce. E questo porto del pari che il fiume chiamasi Medoaco18.

Fra le città poi situate nelle paludi la maggiore è Ravenna, tutta fabbricata di legno19 e attraversata da correnti d’acque, sicchè vi si cammina o sopra ponti o sopra barche che servono a tragittar pei canali. Quando gonfiasi la marea questa città riceve dentro di sè non piccola parte di mare; ed essendo così da queste acque e dai fiumi spazzato via tutto quanto vi ha di fangoso, l’aria per sè stessa cattiva ne rimane per così dir medicata; e quel luogo è perciò tanto salubre, che i principi ordinarono di nutrirvi ed esercitarvi i gladiatori. Ha pertanto quel paese questa mirabile particolarità, che in mezzo alle paludi l’aria vi è nondimeno senza infezione; come avviene ad Alessandria d’Egitto, dove in tempo di state, il lago perde il suo cattivo effluvio pel gonfiarsi del fiume che nasconde sotto di sè i luoghi palustri. Ma è mirabile eziandio la natura della vite in que’ paesi; perocchè alligna nelle [p. 15 modifica]paludi, e cresce celeremente, e porta abbondevole frutto, ma si consuma poi in quattro o cinque anni.

Anche Altino20 è situata nelle paludi, in una posizione somigliante a quella di Ravenna. Fra mezzo trovansi Butrio castello di Ravenna, e Spina che ora è un borgo, e anticamente fu una ragguardevole città ellenica. Però in Delfo suol farsi vedere il tesoro degli abitanti di Spina, ed altre cose sogliono raccontarsi intorno ad essi, siccome d’un popolo stato una volta potente in mare. E dicono che anticamente questa città era situata lungo il mare; ma ora è invece dentro terra, e distante dal mare circa novanta stadii. Rispetto a Ravenna è fama che la fondassero i Tessali; i quali non potendo poi comportare le insolenze dei Tirreni, ricevettero volentieri fra loro alcuni Umbrii, che occupano tuttora quella città; ed eglino, i Tessali, se ne tornarono alle loro sedi di prima. Queste città adunque sono circondate nella maggior parte della loro periferia dalle paludi, per modo che ne sono anche qualche volta innondate. Ma Epiterpo, Concordia, Atria ed Ucezia21, ed altre consimili cittadelle souo manco soggette alle paludi, e comunicano col mare per mezzo di piccoli canali. E dicono che Atria fu un’illustre città, tanto che da quella venne il nome al golfo Adriatico colla mutazione di una sola lettera. [p. 16 modifica]

Aquileia, che più d’ogni altra è vicina all’ultimo recesso del golfo, la fondarono i Romani, e fortificaronla contro i Barbari abitanti nelle parti superiori. Si naviga alla volta di questa città rimontando il fiume Natisone per lo spazio di circa sessanta stadii; e serve d’emporio a quelle fra le nazioni illiriche che abitano lungo l’Istro, le quali vi portano le produzioni marine, e il vino che mettono in botti di legno su carri, e l’olio: e i Romani vi conducono schiavi, pecore e pelli. Questa città d’Aquileia è situata fuor dei confini degli Eneti, ai quali serve di limite un fiume ch’esce delle Alpi e che può navigarsi contro la sua corrente ben settecento stadii fino alla città di Norea, presso la quale Gneo Carbone si scontrò coi Cimbri, e ne fu superato22. Quella regione ha miniere d’oro e d’argento abbondevoli e facili ad essere lavorate.

Nel fondo poi del golfo Adriatico evvi Timavo, luogo consacrato a Diomede, e degno che se ne faccia menzione: perocchè ha porto, ed un bosco bellissimo, e sette fontane di acqua buona da bere, la quale cade assai presto nel mare, dopo essersi unita a formare un largo e profondo fiume. Ma Polibio dice che, fuori una sola, tutte queste fontane sono di acqua salata; e che perciò poi gli abitanti chiamano quel luogo sorgente e [p. 17 modifica]madre del mare. E Posidonio afferma che il fiume Timavo, disceso dai monti, si getta in un baratro, discorre ben cento trenta stadii sotterra, poi si apre un varco vicino al mare.

Della signoria poi avuta da Diomede intorno a quel mare fanno testimonianza le isole Diomedee23, e quello che si racconta dei Daunii e d’Argo Ippio; de’ quali luoghi noi pure diremo solo quel tanto che può tornar utile alla storia, perocchè le molte altre cose, che si dicono favoleggiando e mentendo, conviene affatto lasciarle. Di cotal genere è per esempio quello che raccontano di Fetonte e delle Eliadi cambiate in pioppi lungo l’Eridano; il qual fiume non si ritrova in nessuna parte della terra, e nondimeno si spaccia come vicino al Po24. E lo stesso dicasi anche delle isole Elettridi che si descrivono situate rimpetto al Po, e dei Meleagridi che in quelle abitavano: perocchè nulla di queste cose si trova in que’ luoghi. Alcuni poi raccontano che presso gli Eneti fu stabilita una specie di culto a Diomede, sagrificandosi a lui un cavallo bianco; oltrechè si mostrano due boschi, l’uno di Giunone Argiva, l’altro di Diana Etolica, e v’aggiungono al [p. 18 modifica]solito favoleggiando, che dentro que’ boschi le fiere sono mansuete ed i cervi s’aggreggian coi lupi, e si lasciano accostare e toccare dagli uomini; e che gli animali cacciati dai cani, qualora giungano a gittarsi là dentro, non ne sono più inseguiti. E narrasi che un tale, conosciutissimo ed anche beffato in que’ luoghi perchè soleva entrare spesse volte mallevadore per gli altri, s’abbattè un giorno in alcuni cacciatori i quali ne menavano avviluppato nelle reti un lupo. E dicendogli costoro che s’egli volesse fare malleveria pei danni del lupo essi lo scioglierebbero dalle reti, egli acconsentì alla proposta: e il lupo così liberato cacciò alla stalla del suo mallevadore un buon armento di cavalle sulle quali non appariva alcun marchio impresso col fuoco25. D’onde poi quel tale, così rimeritato, stampò sulle cavalle l’immagine di un lupo e le denominò lupifere; ed erano di celerità e bellezza singolare. E i suoi discendenti conservarono sempre quel marchio e quel nome; nè mai vollero vendere alcuna delle loro cavalle, acciocchè ad essi soli appartenesse quella razza genuina, la quale divenne illustre in que’ luoghi. Ma oggidì, come abbiamo già detto, quelle genti abbandonarono affatto l’amore e la cura dei cavalli.

Al di là del Timavo è una spiaggia marittima che si stende fra gl’Istrii infino a Pola, èd è congiunta [p. 19 modifica]all’Italia. Nel mezzo sta il castello Tergeste26 a cento ottanta stadii da Aquileia. Ed è la città di Pola situata in un golfo formato a somiglianza di un porto, con alcune isolette comode per approdarvi e fertili. La fondarono anticamente i Colchi spediti a raggiunger Medea, i quali non essendo riusciti nell’impresa loro affidata, si condannarono da sè medesimi all’esilio, e (come dice Callimaco) diedero a quel luogo il nome di Pola, che in greco si tradurrebbe città degli esuli.

Le varie parti adunque situate al di là del Po le abitano gli Eneti e gl’Istrii fino a Pola. E al di sopra degli Eneti sono i Carnii, i Cenomani, i Medoaci ed i Simbri27. Alcuni di costoro furon nemici dei Romani, ma i Cenomani e gli Eneti si collegarono invece con quelli, così prima della guerra di Annibale (allorchè guerreggiarono contro i Boj ed i Simbri) come anche dopo. I popoli poi abitanti al di qua del Po tengono tutto il paese circondato dai monti Apennini e dalle Alpi fino a Genova ed ai così detti Vada Sabbatorum28; e sono i Boj, i Liguri, i Senoni e i Gesati per la maggior parte. Essendo poi discacciati i Boj e distrutti i Gesati e i Senoni, rimasero le tribù Ligustiche e le colonie dei Romani. Con questi si frammischiò anche una tribù di Umbrii, e in qualche luogo anche di Tirreni. Perocchè tutte e due queste nazioni, prima [p. 20 modifica]che i Romani diventassero così potenti, gareggiaron fra loro di maggioranza; ed essendo separate soltanto dal fiume Tebro, facilmente il varcavano l’una a danno dell’altra. E se qualcuna di queste popolazioni faceva una spedizione fuori del proprio paese contro chi che si fosse, l’altra studiavasi di non rimanere addietro, e voleva cacciarsi anch’essa nel paese assalito. I Tirreni pertanto mandarono una volta un esercito contro i barbari che abitavano intorno al Po, e v’ebbero qualche vantaggio. Datisi poi a vivere mollemente ne furono in breve scacciati; e allora gli Umbrii inviarono un esercito contro coloro dai quali i Tirreni erano stati espulsi. Col tempo questi due popoli vennero poi a contesa per que’ luoghi, e vi posero molte colonie: ma quelle degli Umbrii furono in maggior numero, perchè erano più vicini. Finalmente i Romani impadronitisi di que’ paesi mandaronvi in più parti colonie, conservando per altro anche quelle che già vi s’erano stabilite prima: ed anche al presente, sebbene sieno tutti Romani, nondimeno alcuni si dicono Umbrii e Tirreni, altri Eneti, Liguri ed Insubri.

Al di qua del Po, e lungo anche quel fiume vi sono alcune città illustri. Piacenza e Cremona vicinissime fra loro stanno quasi nel mezzo di quella regione: e fra queste ed Arimini sono Parma, Mutina e Bononia29 che già s’accosta a Ravenna; ed anche fra queste trovansi altre cittadelle minori, alcune delle quali sono situate sulla strada di Roma, come a dire Acerra, Reggio [p. 21 modifica]Lepido30, e Macri Campi dove si celebra ogni anno una fiera, Cliterno e Foro Cornelio31. Faenza e Cesena situate lungo l’Isapi ed il Rubicone s’avvicinano già ad Arimini. Ed è Arimini una colonia degli Umbrii, come anche Ravenna: e l’una e l’altra ricevettero poi coloni romani. Arimini ha un porto ed un fiume cbe hanno lo stesso suo nome; ed è distante da Piacenza mille e trecento stadii. Al di sopra di Piacenza verso i confini degli Stati di Cozzio, alla distanza di trentasei miglia è la città di Ticino32 con un fiume dello stesso nome che l’attraversa e va a gettarsi nel Po: quindi chi esce alcun poco di via trova Clastidio, Dertona, Aquae-Statiellae33. Ma la strada diritta fino ad Ocello, lungo il Po e la Dora, è piena di precipizii, e intersecata da molti altri fiumi (fra i quali è anche la Druenza), e si stende per lo spazio di circa sessanta miglia. Quivi poi cominciano i monti delle Alpi e la Celtica.

Presso alle montagne situate al di sopra di Luni sta Lucca. Alcune popolazioni di quelle parti abitano in borgate; ma nondimeno il paese è ben popolato, e se ne trae la maggior parte delle milizie, e gran numero [p. 22 modifica]anche di cavalieri, de’ quali il senato medesimo si compone34.

Dertona è una città ragguardevole situata nel mezzo della via da Genova a Piacenza, e distante da entrambe quattrocento stadii. Lungo quella medesima via trovasi anche il paese detto Aquae Statiellae. Da Piacenza ad Arimini già s’è descritta la via: per andare poi a Ravenna navigando sul Po, il viaggio è di due giorni e due notti.

Anche molta parte della Celtica al di qua del Po era coperta da paludi, per le quali Annibale passò a stento andando verso la Tirrenia: ma Scauro asciugò quelle pianure raccogliendone le acque in canali navigabili da Piacenza fino a Parma; perocchè la Trebbia ch’entra nel Po dopo Piacenza, ed anche prima di quel punto parecchi altri fiumi che vi si scaricano, lo ingrossano oltre misura. Questo Scauro è quel medesimo che fece la via Emilia, la quale attraversando Pisa e Luni va fino ai Sabazii, e di quivi fino a Dertona. Avvi poi un’altra via Emilia, la quale è una continuazione della Flaminia. Perocchè furono colleghi nel consolato Marco (Emilio) Lepido e Caio Flaminio; e dopo avere debellati i Liguri, l’uno di questi due consoli fece la via Flaminia che va da Roma fino ai dintorni di [p. 23 modifica]Arimini attraversando la Tirrenia e l’Umbria; l’altro quella che da Arimini va fino a Bologna e poi fino ad Aquileia lungo le radici delle Alpi e costeggiando le paludi.

I confini, da cui questa regione che noi chiamiamo Celtica cisalpina è separata dal restante d’Italia, erano una volta quella porzione del monte Apennino che già mostrammo imminente alla Tirrenia, ed il fiume Æsis; più tardi invece fu il Rubicone35: e tutti e due questi fiumi mettono foce nell’Adria. Della bontà di questi luoghi sono indizio così la molta popolazione, come la grandezza e la ricchezza delle città; pel che i Romani ch’ivi abitano sono superiori a tutto il restante d’Italia. Perocchè la terra che quivi coltivasi produce in gran copia frutti di ogni maniera; e le selve abbondano tanto di ghiande, che delle mandre di porci ivi allevate si nutre la maggior parte della cittadinanza di Roma. È anche notabilmente ferace di miglio per essere abbondevole d’acqua: e questo è grandissimo preservativo dalla carestia; perocchè il miglio resiste a tutte le mutazioni dell’aria, nè manca giammai, quando bene vi sia penuria d’ogni altro grano. V’è anche in quelle contrade una mirabile quantità di pece. Dell’abbondanza del vino fan testimonio le botti, le quali sono di legno36 [p. 24 modifica]e più grandi di case. La gran copia della pece fa sì che la sia di poco prezzo. I luoghi d’intorno a Mutina ed al fiume Scutana37 producono lana molle e molto più bella d’ogni altro sito: ma la Ligustica ed il paese dei Simbri la producono invece ruvida; e di questa poi fansi gli abiti casalinghi della maggior parte degl’Italiani. Finalmente i paesi vicini a Padova la producono mediocre; della quale si fanno i tappeti preziosi, i gausapi38 e tutte le altre stoffe consimili con amendue le superficie villose o con una sola. Le miniere non vi sono oggidì curate gran fatto, forse perchè si trovano più proficue quelle che sono nella Celtica transalpina e nell’Iberia; ma una volta si lavoravano con diligenza. E v’ebbe già tempo una cava d’oro anche a Vercelli, ch’è un borgo vicino ad Ittimuli: ed anche Ittimuli è un borgo, e tutti e due sono nei dintorni di Piacenza39. Fin qui pertanto ci siamo aggirati descrivendo la prima parte dell’Italia. [p. 25 modifica]

CAPO III.


Della seconda parte dell’Italia, cioè della Ligustica.


Ora convien parlare della seconda parte dell’Italia, la Ligustica, la quale è situata proprio dentro ai monti Apennini fra quella Celtica di cui abbiam parlato poc’anzi, e la Tirrenia. Ma questo paese non ha bisogno di veruna descrizione, se non forse per dire che gli abitanti vivono dispersi in borgate, arando e scavando un aspro terreno, o piuttosto (come dice Posidonio) tagliando macigni.


CAPO IV.


Divisione generale della terza parte dell’Italia, la quale comprende la Tirrenia colle tre isole d’Ethalia, di Cirno e di Sardegna; non meno che l’Umbria, la Sabina ed il Lazio. — Origine della Tirrenia. Descrizione della Tirrenia marittima e delle tre isole predette. — Descrizione della Tirrenia mediterranea od interiore. — Buone doti naturali della Tirrenia.


Contigui a costoro vengono in terzo luogo i Tirreni, abitanti quelle pianure che stendonsi fino al fiume Tevere. Essi nelle parti orientali sono per lo più circondati da questo medesimo fiume sin dove mette poi foce; e nelle altre dal mar Tirreno e da quel di Sardegna. Il Tevere discende dagli Apennini, ed è ingrossato da molti altri fiumi. Per un certo tratto corre a traverso della Tirrenia, poi serve a disgiunger da quella, prima [p. 26 modifica]l’Umbria, quindi i Sabini e i Latini che fino a Roma abitano tutta la spiaggia. E questi popoli rispetto al fiume e ai Tirreni sono situati pel largo, fra loro pel lungo. Ascendono poi su pe’ monti Apennini dove questi avvicinansi all’Adria, primi gli Umbrii; dopo costoro i Sabini, ed ultimi quelli che occupano la provincia Latina, partendosi tutti dal fiume Tevere. Ora il paese dei Latini giace nel mezzo della spiaggia marittima che va da Ostia sino alla città di Sinuessa (ed è Ostia l’arsenale di Roma, presso a cui il Tevere scorre e si getta in mare), e si stende pel lungo fino alla Campania ed alle montagne sannitiche. La Sabina poi è fra i Latini e gli Umbrii, e stendesi anch’essa verso i monti Sannitici, ma più s’accosta a quella parte degli Apennini che sono presso i Vestini, i Peligni ed i Marsi40. Gli Umbrii sono fra mezzo alla Sabina ed alla Tirrenia, e si spingono fino ad Arimini ed a Ravenna oltrepassando i monti. I Tirreni finiscono ai piedi di quelle montagne le quali dalla Ligustica all’Adria si stendono in cerchio, movendosi dal proprio mare e dal Tevere. Ora dunque discorreremo di ciascuna di queste regioni, cominciaudo appunto dai Tirreni.

I Romani li dicono Etruschi o Tusci: ma gli Elleni li chiamarono così da Tirreno figliuolo di Ati che dalla Lidia mandò coloni in questo paese. Perocchè Ati (uno dei discendenti di Ercole e d’Omfale) avendo due figli, in un tempo di carestia e di sterilità, ne trasse a sorte uno, per nome Lido, e lo tenne presso di sè, [p. 27 modifica]e mandò fuori Tirreno accompagnato da molto popolo. E questi chiamò dal proprio suo nome Tirrenia il luogo nel quale fermossi, e fondovvi dodici città, alla edificazione delle quali prepose Tarcone, da cui ebbe il nome la città di Tarquinia. Costui per la saggezza che mostrò sin da fanciullo, raccontano che nascesse canuto. Una volta pertanto quelle città, ordinate sotto un sol capo, ebbero grande potenza: ma poi è probabile che col tempo quella unione si disciogliesse, sicchè ogni città governandosi da sè, poterono essere superate dalla forza prevalente dei popoli circonvicini. Perocchè non si vuol credere che abbandonassero volontariamente un fertile paese per darsi al ladroneggio siccome fecero, corseggiando chi l’uno chi l’altro mare: mentre fintanto che avessero tutti cospirato insieme a un sol fine, erano sufficienti, non solo a respingere chiunque venisse per assalirli, ma sì anche ad assalire eglino stessi ed a fare grandi spedizioni. Dopo la fondazione di Roma, pervenne poi colà Demarato che vi condusse gente da Corinto: ed avendogli quei di Tarquinia dato ricetto, d’una moglie nativa di quel paese generò Lucumone. Il quale fattosi amico ad Anco Marzio re dei Romani, divenne poi re egli stesso, e cambiando il nome si disse Lucio Tarquinio Prisco. Costui dunque, ed anche suo padre prima di lui, abbellirono l’Etruria: questi col soccorso de’ molti artisti che avevan con lui emigrato colà dalla patria; quello colle ricchezze di Roma. E dicesi altresì ch’egli trasportasse da Tarquinia a Roma la pompa dei trionfi e l’abito consolare, e in breve [p. 28 modifica]le insegne di tutti i magistrati, i fasci, le scuri, le trombe, i sacrificii, la divinazione e la musica, quale popolarmente si usa dai Romani. Fu poi figliuolo di costui quel secondo Tarquinio che fu denominato il Superbo, il quale fu l’ultimo re di Roma e ne fu discacciato. E Porsenna re di Clusi, città della Tirrenia, dopo avere intrapreso di rimetterlo nel regno per mezzo delle armi, vedendo che non gli veniva fatto, si tolse da quelle ostilità, e se ne partì amico a’ Romani con grandi onori e regali.

Questo ci basti aver detto intorno alla celebrità dei Tirreni: ai quali si può soggiungere una notizia che riguarda quelli di Cere41. Costoro debellarono quei Galli che avevano presa Roma, avendoli assaliti nel loro ritorno sul territorio Sabino; ed a forza spogliaronli di quelle ricchezze che i Romani avevano ad essi cedute. Oltre di che salvarono quei Romani che rifuggironsi presso di loro, e il fuoco immortale, e le sacerdotesse di Vesta. Ma pare poi che i Romani per colpa di quelli che allora amministravano la loro città non si ricordassero bene della gratitudine a cui li obbligava un tal beneficio: perocchè quando concessero ad altri il diritto della cittadinanza, non iscrissero i Ceriti fra i cittadini; ed anzi registrarono nelle tavole di quel popolo i nomi di coloro che non erano partecipi di quel diritto42. Tuttavolta presso gli Elleni divenne illustre [p. 29 modifica]quella città pel valore e per la giustizia, giacchè si astenne dai ladronecci sebbene fosse potente, e consacrò a Delfo il tesoro detto degli Agillei: chè in antico nomavasi Agilla quella città che ora è Cere; ed è fama che la fondassero que’ Pelasghi che vennero colà dalla Tessaglia. Quando poi que’ Lidi che pigliarono il nome di Tirreni mossero guerra agli Agillei, uno di loro accostandosi al muro domandò qual fosse il nome della città; al quale uno dei Tessali ch’erano sulle mura, in luogo di risposta, gridò Cere (cioè addio): e i Tirreni ricevendo l’augurio, com’ebbero presa la città, sostituirono questo nome all’antico. Ma ora d’una città così splendida e così illustre rimane sol qualche avanzo; e sono invece più popolate le terme ad essa vicine, e denominate Terme Ceretane, a motivo di coloro che vi concorrono per curar la salute.

Che i Pelasghi fossero un’antica gente diffusa per tutta quanta l’Ellade, ma principalmente fra gli Eolii della Tessaglia, è cosa riconosciuta quasi da tutti. Eforo poi dice che costoro, per essere una schiatta discesa dagli Arcadi, abbracciarono una vita militare; ed avendo attirati a sè molti altri, ai quali tutti

[p. 30 modifica]comunicarono il proprio nome, salirono in molta celebrità, così presso gli Elleni, come presso tutti gli altri ai quali per caso pervennero. Però lasciaron coloni anche in Creta, come attesta Omero, là dove Ulisse dice a Penelope:

Bella e feconda sovra il negro mare
Giace una terra che s’appella Creta,
Dalle salse onde d’ogni parte attinta.
Gli abitanti v’abbondano, e novanta
Contien cittadi, e la favella è mista:
Poichè vi son gli Achei, sonvi i natii
Magnanimi Cretesi, ed i Cidonj,
E i Dorj in tre divisi, e i buon Pelasgi
43.

E quella parte di Tessaglia che si stende dalle bocche del fiume Peneo e dalle Termopili fino alle montagne di Pindo chiamasi Argo Pelasgico, perchè in que’ luoghi dominarono un tempo i Pelasghi: e lo stesso Omero chiama Pelasgo anche Giove Dodoneo:

Dio che lungi fra’ tuoni hai posto il trono,
Giove Pelasgo, regnator dell’alta
Agghiacciata Dodona
44.

Alcuni poi dissero pelasgiche anche le genti dell’Epiro, perchè i Pelasghi ebbero signoria anche di quel paese: e poichè a molti degli eroi furono dati nomi pelasgici, quelli che vennero dopo credettero pelasgiche anche le nazioni delle quali essi furono capi. Quindi dissero [p. 31 modifica]Pelasgia Lesbo; ed Omero asserisce che coi Cilicii della Troade confinavano alcuni Pelasghi:

Dalla pingue Larissa i furibondi
Lanciatori pelasghi Ippotoo mena45.

Ed Eforo afferma che i Pelasghi sono d’Arcadia sulla testimonianza d’Esiodo, il quale dice: Sei figliuoli nacquero dal divo Licaone, a cui fu padre Pelasgo46. Ma Eschilo nelle Supplicanti o Danaidi fa invece procedere questa gente da Argo presso Micene47: ed Eforo asserisce che anche il Peloponneso fu un tempo denominato Pelasgia: e infatti Euripide nell’Archelao dice: Danao padre di cinquanta figliuole, venuto in Argo popolò la città d’Inaco, e fece una legge che si dovessero chiamar Danai quelli che quivi prima si nominavan Pelasghi48. Anticlide poi scrive che costoro pei primi popolarono i luoghi vicini alle isole Lemno ed Imbro, e che alcuni di essi condotti da Tirreno figliuolo di Ati emigrarono nell’Italia. E coloro che scrissero la storia dell’Attica, parlano dei Pelasghi, come se alcuni di loro fossero stati anche in Atene; [p. 32 modifica]affermando che a cagione del loro andare vagando e del fermarsi che facevano a guisa di uccelli dovunque il caso li avesse portati, gli Attici denominaronli Pelarghi49.

La maggior lunghezza della Tirrenia si dice che sia la spiaggia che corre da Luni ad Ostia per lo spazio di due mila e cinquecento stadii: e che la sua larghezza, dal mare fino alle montagne, è una metà di meno. Da Luni pertanto sino a Pisa v’ha più che quattrocento stadii: di quivi a Volterra duecento ottanta: da Volterra a Poplonio50 duecento settanta: da Poplonio fin presso a Cossa ottocento, o secondo altri seicento. Ma Polibio dice che questa distanza non giunge in tutto a mille e quattrocento trenta stadii51.

Fra’ luoghi qui mentovati, Luni è ad un tempo stesso città e porto; e gli Elleni la chiamano porto e città di Selene52. E la città non è grande, ma il porto [p. 33 modifica]è grandissimo e bellissimo, siccome quello che in sè ne racchiude molti altri, tutti profondi; quale insomma si conveniva ad uomini che signoreggiarono in mare, e in un mare di quella fatta, e per così gran tempo. È circondato quel porto da eccelse montagne dalle quali si dominano il mare soggetto e la Sardegna, con gran tratto di spiaggia dall’una e dall’altra parte. E v’hanno colà miniere di pietra bianca o variegata da strisce cerulee, in gran numero e di tal sorta, che se ne traggono tavole e colonne d’un pezzo solo, per modo che la maggior parte de’ più bei lavori che veggonsi in Roma e nelle altre città hanno quivi l’origine loro. E vi contribuisce anche l’essere agevole il portar via di colà quelle pietre, giacchè le miniere sono poco al di sopra del mare, e da questo s’entra nel Tevere. Ed anche il legname per fabbricare (ciò sono cerri dirittissimi e grandissimi) lo somministra per la maggior parte la Tirrenia, portandolo il fiume con grande agevolezza via giù per le montagne. Fra Luni e Pisa v’ha un luogo detto Macra, che molti scrittori considerano come il confine tra la Tirrenia e la Ligustica.

Pisa la fondarono i Pisati peloponnesi, i quali dopo essere stati con Nestore ad Ilio, nel ritorno approdarono in parte a Metaponto, in parte nel territorio Pisano, e tutti furono detti Pilii. È situata fra due fiumi, l’Arno e l’Esaro53, vicino al loro confluente; dei quali [p. 34 modifica]il primo discende da Arezzo, non unito ma diviso in tre canali; l’altro discorre dai monti Apennini. Dove poi sboccano tutti e due in un solo canale, s’innalzano tanto per la contrarietà de’ loro urti, che quelli i quali stanno sulle due sponde non si posson vedere l’un l’altro. Quindi riesce difficile il navigarvi a chi vi entra dal mare; e lo spazio pel quale vi si può far viaggio all’insù è di circa venti stadii. Favoleggiano poi che quando primamente cotesti fiumi cominciarono a discender dai monti, gli abitanti di quelle regioni s’adoperarono per impedire che non confluissero in uno, acciocchè non accadesse che il paese ne fosse inondato: ma i fiumi promisero di non traboccare, e custodirono la data fede. Pare che Pisa abbia avuta un tempo buona fortuna, e non è ignobile nemmanco adesso a motivo della fertilità del terreno, delle cave di pietre, e del legname di cui gli abitanti anticamente valevansi nelle cose del mare. Perocchè da un lato essi erano più guerreschi degli altri Tirreni, dall’altro erano tribolati dai Liguri, pessimi vicini che loro stavano a fianco. Ora poi la maggior parte di quel legname consumasi negli edifizii di Roma, ed anche nelle ville che i Romani costruiscono a somiglianza delle reggie di Persia.

Il territorio de’ Volterrani è circondato dal mare. Il luogo dove la città è fondata è un colle alto e scosceso tutto all’intorno, che s’innalza nel mezzo di una valle profonda, ed ha la cima piatta su cui è piantato il muro della città. La sua altezza è di quindici stadii, tutta scabra e diffìcile. Ivi si congregarono alcuni Tirreni ed alcuni dei proscritti da Silla; e compostisi in [p. 35 modifica]quattro coorti, dopo avere sostenuto un assedio di due anni, finalmente n’uscirono sotto la fede di un trattato.

Poplonio è fondata sopra un promontorio molto elevato54 che discende a precipizio nel mare nel quale entra a modo di penisola. Anche questa città ne’ tempi già detti sostenne un assedio: ora essa è intieramente deserta, fuor solo i tempj ed alcune poche case. Un po’ meglio popolata è la stazione delle navi ch’è alla radice del monte con un picciolo porto e con luoghi da raccogliervisi i legni. Per questo a me pare che Poplonio sola fra le antiche città Tirrenie fosse fabbricata proprio sulle rive del mare: mentre, per essere in tutto il restante la spiaggia importuosa, i fondatori delle città fuggirono sempre il mare, od almeno mettevano loro dinanzi dei baluardi, acciocchè non fossero quasi una preda apparecchiata per chiunque navigasse a quella volta. Nella parte poi più elevata del promontorio su cui Poplonio è fondata avvi una vedetta d’onde stanno spiando l’avvicinarsi dei tonni55. E si vede dalla città in lontananza ed a stento la Sardegna; più da vicino Cirno56, la quale è distante dalla Sardegna circa sessanta stadii. Molto più di queste due isole è vicina al continente l’Etalia57, siccome quella che n’è disgiunta soltanto lo spazio di duecento stadii, e [p. 36 modifica]altrettanto poi è lontana da Cirno. Poplonio pertanto è luogo acconcissimo a imbarcarsi per alla volta di qualcuna delle predette tre isole: e noi stessi navigando a Poplonio le abbiamo vedute, insieme con alcune miniere di que’ dintorni ora deserte. Vedemmo inoltre coloro i quali attendono a lavorare il ferro che portasi fuori da Etalia: perocchè non è possibile ridurlo in verghe nelle fornaci dell’isola, ma tosto come è scavato trasportasi nel continente. Oltre a questa particolarità quell’isola n’ha anche un’altra, che gli scavi fatti por trarne i metalli si riempiono col tempo di per sè stessi, come raccontasi delle platamone di Rodi, delle cave di marmo in Paro, e di quelle del sale nell’India, delle quali parla Clitarco.

Non ha dunque ragione Eratostene quando afferma che dal continente non veggonsi nè Cirno, nè la Sardegna: e nemmanco Artemidoro il quale dice che tutte due queste isole sono addentro nel mare mille e due cento stadii. Perocchè a qualcun altro forse, ma non a me per certo sarebbero state visibili in tanta distanza così pienamente come le ho pur vedute, massime Cirno.

Avvi in Etalia58 un porto denominato Argoo, dicono, dalla nave Argo: perocchè è fama che navigasse a quel luogo Giasone cercando l’abitazione di Circe per soddisfare a Medea desiderosa di veder quella Dea; e affermano che delle gocce d’olio cadute sul suolo [p. 37 modifica]mentrechè gli Argonauti si ungevano formaronsi quelle pietre variegate che vi si trovano ancora59. E queste favolose tradizioni vengono a confermare le cose già dette da noi; cioè che Omero non inventò di suo capo tutto quanto racconta, ma sentendo parecchie di siffatte credenze divulgate fra il popolo, egli v’aggiunse poi del suo questo solo, che le trasferì a grandi distanze, e le tramutò da uno ad un altro luogo. E però come fece uscire nell’Oceano Ulisse, così immaginò che vi fossero stati anche Giasone e Menelao, dei quali pure si raccontavano lunghi viaggi di mare.

Tanto basti aver detto intorno all’Etalia. Cirno poi da’ Romani chiamasi Corsica. Essa è male abitata per essere d’aspro terreno, e in quasi tutte le sue parti di accesso malagevolissimo: d’onde avviene che coloro i quali ne abitano i monti e vivono di ladroneccio, sono più salvatici delle stesse fiere. Quando pertanto i condottieri romani s’ inoltrano in quell’isola, e sorprendendo qualcuna delle fortezze, ne conducono via grande quantità di prigioni, è cosa miserabile a vedere la salvatichezza e la bestialità che in loro apparisce. Perocchè o non sostengono di vivere, o vivendo, coll’apatia e coll’insensibilità loro, son di tormento a chi li ha comperati; di sorte che poi sebbene li abbiano avuti per un nonnulla, nondimeno hanno a dolersi di quel che hanno speso60. Vi si trovano per altro alcune [p. 38 modifica]parti abitabili, ed anche alcune piccole città, come a dire, Blesinone, Carace, Epiconia e Vapane. La lunghezza dell’isola, dice il Corografo61, è di cento sessanta miglia, la larghezza di settanta; mentre la Sardegna è lunga duecento venti miglia, e larga novantotto. Ma secondo altri il perimetro di Cirno è di circa tremila e due cento stadii, e quello della Sardegna di quattro mila.

Una gran parte della Sardegna è terreno aspro, e paese non punto tranquillo62; ma un’altra parte è abbondevole d’ogni cosa, e soprattutto poi di frumento. Vi sono parecchie città, fra le quali son da notare Calari63 e Sulchi. Ma alla buona qualità di que’ luoghi, se ne oppone una dannosa, chè l’isola in tempo di state è malsana, principalmente appunto in que’ siti che sono più fertili: oltrechè sono di continuo depredati da’ montanari chiamati ora Diagebri, e prima denominavansi Iolei; perocchè si racconta che Iolao64 avendo con sè alcuni dei figliuoli d’Ercole approdò a quell’isola, e vi si mise ad abitare coi barbari. Costoro eran Tirreni: appresso vi dominarono i Fenicii venuti colà da Cartagine, i quali insiem con que’ barbari guerreggiarono contro i Romani; ma essendo poi distrutti, ogni [p. 39 modifica]cosa rimase nella signoria di Roma. Le nazioni montanesche sono quattro, i Parati, i Sossinati, i Balari, gli Aconiti, i quali abitano nelle spelonche. E sebbene abbiano qualche terra acconcia alle seminagioni, non la coltivano con punto di cura, ma vanno invece depredando quelle che sono coltivate da altri, così nella loro isola stessa, come (ciò che fanno più spesso) nel continente65, e principalmente su quel de’ Pisani. E i capitani che si spediscono colà da Roma, qualche volta giungono a reprimerli, qualche tolta abbandonan l’impresa, non trovandosi conveniente il mantener sempre un esercito in que’ paesi insalubri. Rimane per tanto di combatterli con certi stratagemmi, approfittando di un costume che hanno quei barbari di congregarsi insieme dopo il bottino e festeggiare per più giorni; ed allora li assalgono e ne prendono molti. Nascono nella Sardegna certi montoni che in vece di lana hanno un pelo caprino, e sono chiamati musmoni. Gli abitanti si valgono delle pelli di questi animali per farne corazze: e portano inoltre pelti66 e pugnali.

Da tutta la spiaggia situata fra Poplonio e Pisa si vedono pienamente le isole delle quali parlammo. Sono tutte e tre di forma oblunga e quasi parallele fra loro, e guardano al mezzogiorno e alla Libia: ma nella grandezza Etalia si rimane molto addietro dalle altre. Il [p. 40 modifica]Corografo poi dice che dalla Libia alla Sardegna il tragitto minore è di trecento miglia.

Dopo Poplonio è Cossa67, piccola città al di sopra del mare, fondata sopra un’eminenza che s’alza nel fondo del golfo. Sotto questa città trovasi il porto d’Ercole, ed ivi presso un lago marino; poi sulla sommità del promontorio imminente al golfo, è una vedetta pei tonni: perocchè questi pesci non vanno dietro soltanto alle ghiande, ma sì anche alle conchiglie d’onde si trae la porpora.

Navigando da Cossa ad Ostia si trovano alcune piccole cittadelle, come Gravischio, Pirgo, Alsio, Fregenia. Da Cossa a Gravischio si contano trecento stadii, e nello spazio frapposto è un luogo detto Regis-Villa. Raccontasi che questa fosse una volta la residenza di Maleoto pelasgo, il quale dopo avere in que’ luoghi regnato per qualche tempo sopra i suoi connazionali pelasghi, è fama che, partitosi di colà, venisse in Atene. E di questa tribù furono anche que’ Pelasghi che abitarono Agilla. Da Gravischio poi a Pirgo v’ha poco meno di cento ottanta stadii; ed a cinquanta stadii da Pirgo è il porto de’ Ceretani68. In Pirgo v’ha un porto d’Ilitia fondato dai Pelasghi, dovizioso una volta, [p. 41 modifica]ma lo spogliò poi Dionigi tiranno di Sicilia mentre navigava alla volta di Cirno. Da Pirgo fino ad Ostia si contano duecento sessanta stadii, e nello spazio di mezzo stanno Alsio e Fregenia.

Questi adunque sono i paesi che trovansi lungo la spiaggia tirrena: ma nelle parti mediterranee, oltre alle città già dette sonvi Arezzo, Perugia, Volsinio, e Sutrio; ed altre cittadelle vicine, Blera, Ferentino, Falerio, Falisco, Nepita, Statonia, e molte altre; alcune delle quali sussistono come in antico, alcune invece furono ripopolate dai Romani, od invece abbattute, siccome accadde di Vejo contro cui combatterono parecchie volte; e così anche di Fidene. Alcuni sostengono che i Falerj non erano punto Tirreni, ma sibbene Falisci. E dicono alcuni che questi Falisci sono una nazione particolare con lingua sua propria: ed altri la chiamano Equum Faliscum, situata luogo la via Flaminia tra Ocricli e Roma69.

Ai piedi del monte Soratte70 è la città di Feronia, [p. 42 modifica]c’ha il nome a comune con una divinità di quel luogo, grandemente onorata dagli abitanti circonvicini, e della quale avvi colà un tempio dove le suol esser renduto un mirabile culto. Perocchè alcuni invasati da quella Dea attraversano a piedi nudi un ampio letto di cenere calda e di ardenti carboni, senza rimanerne offesi; e vi concorre gran numero d’uomini, così per la fiera che vi si celebra ogni anno, come per lo spettacolo or ora detto.

La città più dentro terra e verso i monti è Arezzo a mille e due cento stadii da Roma. Clusio71 poi è distante da Roma ottocento stadii: e Perugia è vicina ad Arezzo ed a Clusio. Contribuiscono alla felicità di quel paese i laghi grandi e molti che vi sono; siccome quelli che son navigabili, e nutrono gran quantità di pesci e di uccelli palustri: ed oltre a ciò gran copia di tife, papiro e antela72 viene portata a Roma dai fiumi che uscendo di questi laghi vanno a sboccare nel Tevere. Tali sono il lago Ciminio73, quei di Volsinio e di [p. 43 modifica]Clusio, quello di Sabata74 ch’è il più vicino a Roma, e quello del Trasimeno che n’è il più discosto verso Arezzo. Lungo quest’ultimo lago è una via acconcia a trasferire eserciti dalla Celtica nella Tirrenia, e se ne valse anche Annibale. Oltre di questa ve n’ha poi un’altra vicino ad Arimini attraverso dell’Umbria; e questa è migliore per essere le montagne che vi s’incontrano mezzanamente basse: ma perchè l’avevano i Romani diligentemente presidiata, Annibale fu necessitato di eleggere la più malagevole, e ne riuscì dopo aver vinto sopra Flaminio una grande battaglia. Ancora è a notare che la Tirrenia nelle parti vicine a Roma ha molta abbondanza di acque calde, le quali sogliono frequentarsi non meno che quelle di Baja, che pur sono le più celebrate di tutte75.


CAPO V.

Descrizione dell’Umbria.

Alla Tirrenia dalla parte d’oriente congiungesi l’Umbria che piglia il suo principio dagli Apennini ed anche più in là, e stendesi fino all’Adria. Perocchè cominciandosi da Ravenna gli Umbrii occupano tutto il paese circonvicino, e poi via via Sarsina, Arimini, Sena76, [p. 44 modifica]e Camarino. Appartengono all’Umbria anche il fiume Æsi e il monte Ginguno77, la città di Sentino, il fiume Metauro, e Fanum Fortunae. Quivi sono i confini tra l’antica Italia e la Celtica dalla parte del mare Adriatico; ma furono poi spesse volte tramutati dai governatori di quel paese. Perocchè da prima stabilirono per confine l’Æsi; poi il fiume Rubicone. Ed è l’Æsi fra Ancona e Seno Gallia78; e il Rubicone è fra Arimini e Ravenna: e tutti e due sboccano nell’Adria. Ora poi, denominandosi Italia tutto quanto il paese infino alle Alpi, non accade più ragionare di cotesti limiti. Nondimeno tutti s’accordano a dire che l’Umbria propriamente detta si stende niente manco che fino a Ravenna, perocchè questa città è abitata da Umbrii.

Da Ravenna pertanto ad Arimini dicono che vi sono trecento stadii. Chi poi va da Arimini a Roma per la Via Flaminia, attraversando tutta quanta l’Umbria fino ad Ocricli ed al Tevere, percorre un cammino di mille e trecento cinquanta stadii: e questa è la lunghezza dell’Umbria; ma la sua larghezza è irregolare.

Al di qua dell’Apennino le città notabili lungo la stessa Via Flaminia sono Ocricli sul Tevere, [p. 45 modifica]Larolo79 e Narna, attraversata dal Nar che si unisce col Tevere poco al di sopra di Ocricli, ed è navigabile da barche non grandi: poi si trovano Carsuli e Mevania presso cui scorre il Tenea80, il quale porta anch’esso nel Tevere sopra barche non grandi le produzioni della pianura: poi ancora altri luoghi abbondevoli d’abitanti piuttosto perchè si trovano situati lungo quella via, che per qualche loro politica importanza; tali sono Foro Flaminio, Nuceria, dove lavoransi vasi di legno, e Foro Sempronio81.

Alla destra poi di chi va da Ocricli ad Arimini stanno Interamna, Spolitio, Æsio e Camerta82, proprio nei monti che servono di confine al territorio Picentino. Dall’altra parte83 si trovano Ameria, Tuder, città forte, Ispello e Itoro, vicina al più alto passaggio delle montagne. [p. 46 modifica]

Tutto il paese dell’Umbria è fertile, se non quanto è un po’ troppo montuosa, e somministra a’ suoi abitanti per nutrirsi più spelta che frumento. Montuosa è anche la Sabina che tien dietro, all’Umbria in quel modo che questa tien dietro alla Tirrenia. Ed anche quella parte del Lazio ch’è vicina a costoro ed ai monti Apennini è anch’essa di suolo scabroso. Queste due nazioni pertanto84 cominciano dal Tevere e dalla Tirrenia, e si stendono fino ai monti Apennini verso l’Adria, inoltrandosi obliquamente: e l’Umbria anch’essa si stende nella medesima direzione fino al mare. E tanto basti aver detto intorno agli Umbrii.


CAPO VI.

Descrizione della Sabina.

I Sabini abitano un paese angusto, il quale stendesi in lungo per mille stadii dal Tevere e dalla piccola città di Nomento85 sino ai Vestini: e posseggono alcune città piccole e rovinate dalle guerre continue, come a dire Amiterno, e Reate nelle cui vicinanze trovansi il borgo d’Interocrea, e le acque fredde di Cotilia buone da bere ed anche da bagnarvisi per guarire di certi mali86. Appartiene ai Sabini anche [p. 47 modifica]il luogo detto Sassi Foruli, acconcio piuttosto ad essere un rifugio di ribelli, che un’abitazione propriamente detta. Curi poi al presente è un borghetto da nulla; e fu una volta illustre città, della quale uscirono Tito Tazio e Numa Pompilio re di Roma: e di qui inoltre gli oratori sogliono chiamar Curiti (Quirites) i Romani. Anche Trebura ed Ereto ed altre abitazioni consimili voglionsi considerar come borghi piuttosto che come città. Tutto poi il paese dei Sabini è abbondevolissimo di ulivi e di viti, e produce anche molte ghiande; ed è vantato come a motivo di alcuni altri suoi animali, così principalmente per la razza dei muli di Reate che sono in gran fama. E brevemente può dirsi che in tutta quanta l’Italia crescono ottimamente i bestiami e i frutti d’ogni maniera, benchè alcune specie poi si trovino in qualche sua parte meglio che in un’altra.

I Sabini sono una razza d’uomini antichissimi ed autoctoni: i Picentini e i Sanniti ne sono colonie; da’ Sanniti vennero poscia i Leucani, e da questi i Brezii. E la loro antichità potrebbe congetturarsi dal valore e dalle altre virtù colle quali si sostennero fino a questa età. Lo storico Fabio87 dice che i Romani allora per la prima volta conobbero le ricchezze, quando diventaron signori di questa nazione. La Via Salaria, che non è lunga gran fatto, passa pel territorio Sabino: presso ad Ereto (borgo situato sul Tevere) le si congiunge la Via Nomentana, la quale comincia anch’essa dalla porta Collina. [p. 48 modifica]

CAPO VII.


Descrizione del Lazio. — Sue antichità e suoi primitivi confini. — Sue città marittime e mediterranee. — Città del Lazio situate lungo le Vie Latina, Valeria ed Appia.


Di seguito alla Sabina sta il Lazio88, nel quale è compresa anche Roma con molte altre città che non appartennero al Lazio antico. Perocché gli Equi, i Volsci, gli Ernici, gli Aborigini (quelli almeno che abitano intorno a Roma) e que' Rutoli che occupavano l'antica Ardea, ed altre città maggiori o minori che stavano intorno ai Romani allorchè fu fabbricata primamente la loro città, si abitavano in borgate reggendosi con proprie leggi, senza essere punto ordinate in una sola nazione. Diecsi poi che Enea insieme col padre Anchise e col figliuolo Ascanio essendo approdato a Laurento vicino ad Ostia89 ed al Tevere, fondò su quella spiaggia una città a ventiquattro stadii dal mare. Latino re di quegli Aborigini che occupavan quel luogo dove ora è Roma, venuto ad Enea si valse di lui e de’ suoi come alleali a combattere i Rutoli a lui vicini che tenevano Ardea (da questa città a Roma si contano cento sessanta stadii); ed essendo rimasto vincitore, fabbricò quivi presso una [p. 49 modifica]città e la disse Lavinio dal nome della propria figliuola. Tornati poscia i Rutoli un’altra volta alla pugna, Latino vi perdette la vita; ma Enea rimasto vittorioso regnò invece di lui, è chiamò Latini quanti gli erano soggetti; e quando furono morti Enea ed Anchise, Ascanio edificò Alba sul monte Albano, distante da Roma quanto Ardea; e quivi i Romani insiem coi Latini formando una sola e comune signoria sogliono sagrificare a Giove, preponendo nel tempo di quel sagrificio alla città qualcuno de’ giovani più illustri90. Quattro cento anni dopo91 raccontansi le cose di Amulio e di Numitore suo fratello, in parte favolose, in parte più vicine alla credibilità. Costoro ereditarono a comune dai discendenti d1 Ascanio la signoria d’Alba che si stendeva fino al Tevere: ma Amnlio ch’era il più giovane, scacciato il fratello maggiore, occupò solo il regno; ed essendovi un figlio ed una figlia di Numitore, quello uccise a tradimento nella caccia, questa (acciocché non avesse a lasciar figliuoli) fece sacerdotessa di Vesta, obbligandola per tal modo alla verginità. Costei chiamavasi Rea Silvia. Ma la scoperse poi violata, sicché le nacquero due figliuoli gemelli: pure in grazia [p. 50 modifica]del fratello la imprigionò invece di farla morire, ed espose i neonati nel Tevere secondo il patrio costume. Dicono pertanto che costoro fossero figliuoli di Marte, e che sendo esposti fu veduta una lupa che li allattava finchè poi Faustolo, uno dei pastori di quel luogo, avendoli tolti di là, gli allevò (e vuolsi intendere che qualche ricco signore fra i soggetti di Amulio li prese con sè e li nutrì), chiamandone l’umo Romolo e l’altro Remo. Fatti poi uomini assalirono Amulio e i suoi figli, e dopo averli tolti di mezzo, ed avere restituita a Numitore la signoria, se ne tornarono al luogo della loro dimora e fondarono Roma in un sito proposto loro dalla necessità anzichè scelto: siccome quello che non era forte per natura, nè aveva un terreno proprio e sufficiente a nutrire una città, e nemmanco uomini che l’abitassero. Perocchè i circonvicini abitavano separati, e sebbene contigui alle mura della fondata città, non si accomunavano molto cogli Albani. Tali erano quei di Collatra, Antemua, Fidene, Labino, ed altri luoghi siffatti che allora erano piccole città, ed ora sono borghi e possedimenti d’uomini privali, a poco più di trenta o quaranta stadii da Roma. E nel vero tra la quinta e la sesta di quelle pietre che indicano le miglia da Roma avvi un luogo denominato Festi; il quale suol essere mostrato come il limite del territorio romano a que’ tempi; e quivi del pari che in parecchi altri luoghi creduti anch’essi confini, i custodi de’ sacri archivii92 fanno in un giorno determiuato un sagrificio detto Abarunia. [p. 51 modifica]

Raccontasi dunque che nel tempo stesso in cui si fondava questa città, essendo nata discordia tra i due fratelli, Remo vi perdette la vita. Quando poi la città fu costrutta, Romolo vi congregò molti uomini insieme raccolti, coll'avere assegnato come luogo d’asilo un bosco situato fra la rocca ed il Campidoglio93; e quanti colà riparavano dai paesi circostanti, li dichiarò cittadini. Non vi essendo poi donne da dare a costoro, bandì una certa solennità equestre sacra a Nettuno, la quale suol celebrarsi anche al presente: e quando molti furono concorsi a quello spettacolo, ordinò a coloro ai quali maucavan le mogli di rapire le giovani forestiere. Tito Tazio re dei Curiti volle vendicare l’ingiuria coll’armi; ma poi fe la pace con Romolo, e composero una sola nazione, avendo pattuita una comunanza di Signoria: finchè, ucciso a tradimento Tazio in Lavinio, di consenso dei Curiti Romolo regnò solo. Dopo di lui prese il regno Numa Pompilio già cittadino di Tazio, avendolo ricevuto dalla volontà medesima dei soggetti. Questa pertanto è la storia più creduta della fondazione di Roma.

Un’altra più antica e favolosa tradizione dice che i Romani furono una colonia venuta dall’Arcadia sotto la scorta di Evandro. Appo costui (dicono) stette come ospite Ercole quando traeva seco i buoi di Gerione;

[p. 52 modifica]ed avendo quel principe saputo dalla propria madre Nicostrata (era costei esperta nell’arte de’ vaticinii) che ad Ercole, come avesse compiute le sue imprese, era riserbato di essere ascritto fra i Numi, glielo fece palese, ed inoltre gli cousacrò un bòsco, e gl’instituì un sagrificio alla maniera degli Elleni, quale anche al presente si osserva in onore di Ercole stesso. Questa madre poi di Evandro la venerano i Romani reputandola una delle Ninfe, e la denominano Carmenta.

Adunque i Latini da principio furono pochi, e i più di loro non eran soggetti ai Romani: ma poi abbattuti dal valore di Romulo e di quei che regnarono dopo di lui, divennero sudditi tutti quanti. E così in progresso di tempo, vinti gli Equi, i Volsci, gli Ernici, e prima di costoro i Rutoli e gli Aborigini, ed anche i Reci, gli Argirusci e parte dei Privernati, tutto il paese che da costoro occupavasi venne sotto il nome di Lazio. La pianura de’ Volsci Pomezii confinante coi Latini era pregevole, e così anche la città di Apiola, la quale fu distrutta da Tarquinio Prisco. Gli Equi erano più vicini di tutti ai Curiti, ed anche le loro città furono da quel medesimo re devastale; e il figliuolo di lui prese Suessa94 metropoli de’ Volsci. Gli Ernici abitavano presso a Lavinio, ad Alba ed alla stessa Roma; nè distanti sono Aricia, Tellene ed Anzio. Gli Albani sulle prime erano in tutto concordi coi Romaui, siccome quelli che avevano una medesima lingua, ed erano aneli’essi Latini; [p. 53 modifica]e però sebbene questi due popoli si reggessero con governi particolari e divisi, nulla di meno celebravano matrimonii fra loro, e le cerimonie religiose ed altri dritti civili cran comuni in Alba ed in Roma: ma essendo poi nata guerra., Alba fu distrutta fuor solameute il tempio; e gli Albani furouo dichiarati cittadini di Roma. Delle altre città circonvicine, alcune furono distrutte, alcune furono danneggiate per avere voluto negare ubbidienza ai Romani; ma altre invece ne furono ampliate dalla loro amicizia. Ora poi tutta la spiaggia da Ostia fino alla città di Sinuessa chiamasi Lazio, il qual nome si estendeva da prima sol fino al monte Circeo95. Rispetto alle parti in fra terra, una volta il Lazio non si allargava gran fatto; ma poscia si estese fino alla Campania, ai Sanniti, ai Peligni e ad altri popoli abitanti presso l’Apennino.

Tutto il Lazio è un paese felice e fertile, qualora se ne eccettuino piccole parti lungo la spiaggia del mare, le quali sono pantanose e insalubri come a dire il territorio degli Ardeati, e quello fra Anzio e Lavinio fino a Pomezia, e parte di quel dei Setini e del territorio intorno a Taracina ed al Circeo, oltre ad alcuni altri siti montani e sassosi. Pur nè auche questi sono del tutto salvatici e infruttuosi, ma somministrano o pascoli abboudanti, o produzioni che amano le paludi e le rocce. Così il Cecubo ch’è un territorio palustre, nondimeno produce una vile arborosa e di vino squisito. [p. 54 modifica]Le città del Lazio sulla spiaggia del mare sono Ostia che non ha porto a motivo della continua alluvione del Tevere ingrossato da molti fiumi: quindi le navi stanno colà ancorate nell’alto mare, e vi corrono anche pericolo; ma vince nondimeno l’amor del guadagno, perocchè gran moltitudine di barche da trasporto si muove a pigliarne le mercatanzie onde sono aggravate, e così le pone in grado di continuare ben tosto la loro navigazione prima che abbian toccato alla foca del fiume, su pel quale poi alleggerite procedono fino a Roma per lo spazio di cento novanta stadii. In quanto ad Ostia la fondò Anco Marzio, e la sua posizione è quale l’abbiamo descritta. Dopo di essa trovasi Anzio città anch’essa importuosa, fondata sopra scogli, e lontana da Ostia circa duecento sessanta stadii. Al presente essa è quasi consacrata ai magistrati per riposarsi dalle faccende politiche quando l’occasione il comporti; d’onde poi vi furono costrutte molte splendide abitazioni per servire al soggiorno di que’ personaggi. Un tempo gli abitanti di quella città possedettero un navilio, e si associarono co’ Tirreni nel corseggiare, sebbene fossero già soggetti ai Romani. Per questo Alessandro da prima mandò a farne querela; e Demetrio poscia avendone pigliali alcuni96 li mandò a Roma, dicendo che perdonava loro la vita in grazia della consanguinità ch’era fra i Romani e gli Elleni; ma che nondimeno parevagli cosa indegna che una medesima [p. 55 modifica]gente e avesse la maggioranza in Italia, e lanciasse in mare ladroni; e che mentre nel foro in un tempio a tal uopo elevato adoravano i Dioscuri97, i quali da tutti sono denominati Salvatori, mandassero poi nell’ Eliade chi ne corseggiasse la patria. Il vero si è che i Romani distolsero poi gli Anziati da quell’nsanza. Nel mezzo di queste due città è Lavinio dov’è il tempio di Venere comune a tutti i Latini, e del quale hanno cura gli Ardeati fino ab antico. Trovasi colà anche Laurento; e al di sopra d’entrambe è Ardea colonia de’ Rutoli distante settanta stadii dal mare. Anche iu viciuanza di questa città è un tempio di Venere, nel quale sogliono congregarsi i Latini. I Sanniti devastarono una volta que’ luoghi ed ora vi rimangono solo alcune rovine di città, celebri nondimeno per essere state il soggiorno d’Enea: e si dice che le cerimonie religiose ch’ivi si praticano furono insegnate fin da que’ tempi.

Dopo Anzio è il monte Circeo a duecento novanta stadii circondato dal mare e dalle paludi per modo che rende sembianza d’un isola. Dicono ch’esso ha dentro di sè gran quantità di radici, forse per accomodarsi a quello che si favoleggia di Circe 98. Avvi anche una cittadella di Circe, ed un’ara sacra a Minerva 99; oltrechè sogliono quivi mostrare una coppa, [p. 56 modifica]la quale si dice che appartenne ad Ulisse. Fra Anzio e questo monte corre il fiume Sutra, alla cui foce è una stazione di navi: in tutto il resto la spiaggia è importuosa, se uon che v’ha un piccolo porto alla falda dello stesso Circeo. Al di sopra di questa spiaggia, dentro terra è la pianura Pomentina. E il paese che a quella tieu dietro l’abitarono primamente gli Ausonii, i quali occupavano anche la Campania. Dopo costoro sono gli Osci, ai quali pure appartenne una parte della Campania, che ora è tutta quanta dei Latini fino a Sinuessa, come s’è detto. Rispetto agli Osci ed alla nazione degli Ausouii è da uotare questa particolarità, che sebbene gli Osci siauo stati distrutti, il loro parlare dura tuttavia presso i Romani, per modo che se ne valgono anche al presente in certe poesie e in certe rappresentazioni drammatiche solite celebrarsi secondo un’antica usanza; e che sebbene gli Ausoni! non abbiauo mai abitato lungo il mar di Sicilia, esso per altro chiamasi Ausonio.

Cento stadii al di là del Circeo è Taracina100 chiamata primamente Trachina dalla sua situazione. Dinanzi ad essa sta una gran palude formala da due fiumi, il maggiore dei quali dicesi Aufido. Ivi per la prima volta la Via Appia s’accosta al mare, che da Roma va fino a Brentesio101, ed è frequentatissima. Le città

[p. 57 modifica]marittime che quella via attraversa sono queste sole, Taracina, poi Formio, Minturno, Sinuessa, ed all’ultimo Taranto e Brentesio. Presso a Taracina dalla parte di Roma va parallelo alla Via Appia un canale, che in molti siti è ingrossato dalle acque di maree e di fiumi. Sogliono navigarvi principalmente di notte, sicchè s’imbarcan la sera e smontano di buon mattino, a compiere il viaggio per la Via Appia: nondimeno anche di giorno si traggono per mezzo di muli le navi su quel canale.

Dopo Taracina è Formio fondata già dai Laconi, e detta Ormia da prima a motivo del suo buon porto102. I1 golfo ch’é fra queste due città lo chiamarono Caïatta, perocchè i Laconi danno tal soprannome a tutte le cavità. Alcuni dicono che quel golfo ha il nome della nutrice d’Enea103. La sua lunghezza è di cento stadii cominciandosi da Taracina sino al promontorio detto anch’esso Caïatta. Apronsi quivi smisurate caverne, le quali contengono grandi e sontuose abitazioni. Da Caïatta a Formio si contano quaranta stadii. Fra questa città e Sinuessa giace Minturno distante da entrambe circa ottanta stadii. Le scorre pel mezzo il fiume Liri che anticamente chiamavasi Clauis. Csso discende dai monti Apennini, bagna il paese de’ [p. 58 modifica]Vescini104 presso il borgo Fregelle che un tempo fu città di gran nome, ed entra in un bosco veneratissimo dagli abitanti di Minturno, al di sotto di questa città. Proprio nel cospetto delle mentovate spelonche sorgon nell’alto del mare due isole, Pandataria e Ponzia, piccole a dir vero, ma assai popolate, non molto distanti fra loro, e lontane dal continente duecento cinquanta stadii.

Al golfo di Caïatta seguita il Cecubo, ed a questo tien dietro Fondi, città situata lungo la Via Appia. Tutti questi luoghi poi sono molto feraci di buoni vini, fra i quali il Cecuba, il Fondano, il Sciino sono de’ più rinomati, come anche il Falerno, l’Albano e lo Statano.

Sinuessa è fondata nel golfo Setino105, e da questa sua posizione piglia il suo nome; perocchè un golfo dicesi sinus (seno). Vicino a questa città trovatisi bagni caldi opportuni a certe malattie. E queste sono le città dei Latini situate sul mare. Dentro terra poi la prima al di sopra di Ostia è Roma, ed è la sola bagnata dal Tevere; la quale abbiamo già detto che fu quivi costrutta per necessità, non per elezione. Or si vuol dire altresì che coloro i quali vi aggiunsero poi di tempo in tempo alcune nuove parli, non poterono eleggere quelle posizioni che sarebbero state migliori, ma servirono a quelle che già sussistevano. I primi pertanto murarono il Campidoglio, il Palatino ed il colle [p. 59 modifica]Quirinale, il quale dava così facil salita a quelli di fuori, che Tito Tazio, quando tolse a vendicare lo scorno delle rapile fanciulle, lo investì e lo prese. Anco Marzio aggiungendo alla città il monte Celio e l’Aventino colla pianura che giace loro nel mezzo (luoghi disgiunti cosi l’uno dall’altro fra loro, come anche dal rimanente della città già fabbricata) ubbidì anch’egli alla necessità. Perocchè non sarebbe stato conveniente laciar fuori delle mura colli di tanta importanza, e dei quali avrebbe potuto un nemico valersi a danno della cità; nè a lui era possibile di condurre la cinta fino al colle Quirinale. Ma Servio conobbe quel difetto, e conpiè il muro aggiungendovi il colle Esquilio ed il Viminale, e perchè anche questi davano facile accesso a cui veniva dal di fuori, perciò scavando una profonda fossa e gettando al di dentro la terra che ne traevano, fornirono un rialto lungo circa sei stadii sul margine interiore di quella fossa e vi piantarono un muro ed alcune torri dalla porta Collina fino all’Esquilina: e verso il mezzo di quel rialto è una terza porta che piglia il suo nome dal colle Viminale. Tale pertanto è la munizone di Roma, la quale poi aveva bisogno d’altri baluardi. E nel vero sembra che gli antichi abitanti di quella città così per sè stessi come pei loro discendenti pensassero che ai Romani era conveniente il procacciarsi e sicurezza e abbondanza non già colle fortificazioni, ma colle armi e col proprio valore; portando opinione che non i miri agli uomini, ma sì gli uomini ai muri debbon esseri baluardi. Da principio pertanto, non appartenendo a Roma il fertile ed ampio territorio ond’è [p. 60 modifica]circondata, ed essendo inoltre quella città facilmente accessibìle a chi volesse investirla, non potea trarre dalla sua posizione speranza veruna di dover essere coll’andare del tempo felice: ma poichè a forza di valore e di fatica ebbe fatti suoi que’ luoghi, si mostrò un certo concorso di beni, superiore ad ogni naturale feliciti. Laonde poi questa città, sebbene tanto accresciuta provvede al nutrimento de’ proprii cittadini; nè mai le mancano il legname e le pietre occorrenti alle sue costruzioni, che di continuo si fanno a motivo delle rovine, degli incendj e delle vendite, le quali cose sono anch’esse continue: perocchè anche le vendite sono una specie di volontarie rovine, diroccando e rifabbricando i cittadini le case a capriccio. Pure a tutto questo bastano mirabilmente l’abbondanza delle miniere, e le selve ed i fiumi sui quali trasportansi gli occorrenti materiali. Il primo di questi fiumi è l’Anio106 che scorre da Alba, città latina presso ai Marsii, e attraversa la pianura a quelli soggetta fin dove poi entra nel Tevere; poi il Nar e il Tenea107, i quali attraversando l’Umbria vanno anch’essi a gettarsi nel fiume Tevere; e finalmente il Clani108 che scorre per la Tirrenia e pel territorio Clusino. Ora Cesare Augusto provvide a siffatti mali della città, ordinando a soccorrere contro gl’incendii una coorte di [p. 61 modifica]libertini, e ponendo per evitare le rovine una legge, che non si possa costruire lungo la pubblica via alcun edifizio la cui altezza ecceda i settanta piedi. Tuttavolta sarebbe impossibile effettuare tutte le riparazioni occorrenti se loro non abbondassero le miniere ed i boschi, ed i mezzi per trasportarne in città gli oggetti che fan di mestieri.

Questi sono i vantaggi che la natura del paese somministra alla città di Roma; ma i Romani ne aggiunsero molti altri co’ loro provvedimenti. E nel vero gli Elleni sono in fama di avere felicemente fondale le loro città perchè guardarono alla bellezza, alla fortezza, ai porti, alla fertilità dei paesi: ma i Romani provvidero principalmente a quelle cose le quali gli Elleni neglessero, come sono le strade lastricale, gli acquidotti e le cloache per trasmettere nel Tevere le immondezze della città. Fecero poi strade anche nel restante del loro territorio spianando colli ed empiendo cavità, per modo che i carri potessero diffondere nelle provincie quanto veniva recato per mare sopra le navi nei porli; e costrussero al di sotto delle strade siffatti canali che possono qualche volta servir di passaggio per sino a carri carichi di fieno. E tanta è l’acqua degli acquidotti, ch’essa scorre per la città e pe’ canali sotterranei a guisa di fiumi: e quasi ogni abitazione ha cisterne, canali e serbatoj in gran numero, delle quali cose ebbe grandissima cura M. Agrippa che ornò la città anche di molti altri monumenti. A dir breve, gli antichi badarono poco alla bellezza di Roma, intenti alle cose di maggiore importanza e necessità; ma quelli che [p. 62 modifica]vennero poi, e principalmente quelli che vivono ai nostri giorni, senza lasciare addietro la cura di questi oggetti, empierono la città di molti e belli edifizii. Perocchè e Pompeo, e il Divo Cesare, e Augusto, e i figliuoli e gli amici, e la moglie e la sorella di lui superarono ogni diligenza e ogni spesa in siffatti ornamenti. La maggior parte di questi si trovano nel Campo Marzio, il quale e dalla natura e dallo studio degli uomini è stato abbellito: perocchè l’ampiezza di quella pianura è mirabile, e somministra lo spazio aperto ch’è necessario al correr dei carri e dei cavalli ed a quella gran moltitudine che suole esercitarvisi alla palla, al disco ed alla palestra; oltrechè gli edifizii ond’è circondato, il terreno sempre erboso, e la corona dei colli che rendono immagine di una scena cominciando al di sopra del fiume109 e venendo a ricongiungersi colla sua corrente, somministrano uno spettacolo da cui l’uomo non può distoglier i senza rincrescimento. Vicino a quel campo ve n’ha un altro, e molti portici all’intorno, e boschi, tre teatri, un anfiteatro, e templi sontuosi e contigui fra loro; per modo che a veder quella parte della città potrebbe credersi che la rimanente fosse quasi un’aggiunta. Laonde i Romani stessi considerando quel luogo come più venerabile di tutti, quivi eressero anche i monumenti degli nomini e delle donne più illustri. Fra questi monumenti ragguardevolissimo è quello chiamato Mausoleo110, il quale è un [p. 63 modifica]cumulo di terra che s’alza sopra un’eccelsa base di pietra bianca in vicinanza dei fiume, e tutto coperto sempre dall’ombra delle piante, e sul vertice poi v’è l’immagine di Cesare Augusto di bronzo. Sotto quel rialto di terra stanno le ceneri di Augusto stesso, de’ suoi congiunti e famigliari. Da tergo è un gran bosco, dentrovi mirabili passeggi. Nel mezzo poi del Campo111 avvi il sito dove fu già il suo rogo: all’intorno ha un cerchio di pietra bianca, ed una sbarra di ferro; al di dentro è tutto pieno di pioppi. Tuttavolta se l’uomo da questo Campo si trasferisce al vecchio foro, e contempla le basiliche, i portici, i templi chi quivi sono l’uno all’altro contigui, e poi vede anche il Campidoglio co’ suoi edifizii, e quelli che stanno sul Palatino, e il passeggio di Livia, facilmente dimenticherà tutto il resto. Tale è Roma.

Le altre città del Lazio si possono enumerare come con qualche altro ordine, così principalmente seguitando quello delle strade più conosciute che discorrono quel paese; perocchè trovansi o lungo quelle strade, o vicino ad esse o fra mezzo. Le strade poi più conosciute sono l’Appia, la Latina e la Valeria. L’Appia112 circonda le parti marittime del Lazio da Roma fino a Sinuessa: la Valeria va rasente la terra Sabina fino ai [p. 64 modifica]Marsii; e fra queste due sta la Via Latina la quale si unisce coll’Appia presso la città di Casilino distante diciannove stadii da Capua. Questa Via comincia dall’Appia, dalla quale si disgiunge inclinando a sinistra mentre è tuttora vicina a Roma; poi valica il monte Tosculano, fra la città di Tosculo ed il monte Albano, discende alla piccola città di Algido ed alla stazione di Pieta. Quindi le si unisce la Via Livia, la quale comincia dalla porta Esquilina d’onde muove anche la Via Prenestina: ma lasciando poi a mano manca così quella strada come il territorio Esquilino procede per più che cento venti stadii, e dopo essersi avvicinata all’antico Lavico, castello diroccato sopra un’altura, sel lascia a destra insieme con Tosculo, e finalmente a Pieta si confonde colla Via Latina, lontano da Roma duecento dieci stadii. Quinci innanzi, lungo la stessa Via Latina trovansi illustri abitazioni e città, Ferentino, Frusino, presso la quale scorre il fiume Cosa, e Fabrateria bagnata dal Trero113. Aquino è una grande città, lungo la quale scorre il Melpi, gran fiume; e Interamnio, che giace sul confluente dei due fiumi Liri e Casino, è anch’essa una città riguardevole, ed è l’ultima del Lazio. Perocchè Teano Sidicino che viene appresso, dal suo medesimo soprannome si fa conoscere appartenente ai Sidicini, i quali sono Osci e un avanzo della nazione dei Campani. Laonde meglio diremo che questa città appartiene alla Campaoia, ed è [p. 65 modifica]per altro anch’essa una delle maggiori che siano lungo la Via Latina. Ragguardevole è pure anche Caleno114 che le tien dietro, la quale è contigua a Casilino.

Rispetto ai luoghi situati lungo la Via Latina, sulla destra si trovano quelli posti tra essa e la Via Appia, cioè Setia e Signia115 feraci di vino: e quello di Selia è uno dei più cari; l’altro è acconcissimo a corroborar gl’intestini, e lo denominan Signio. Oltre Signia116 sono Priverno, Cora, Suessa, Trapunzio, Velitra, Aletri e Fregelle, lungo la quale scorre il Liri che va in mare presso Minturno: al presente è un borgo, e fu una volta ragguardevol città, e dipendevan da lei la maggior parte dei luoghi circonvicini da noi già mentovati, i cui abitanti anche oggidì sogliono convenire in Fregelle in certi giorni di mercato o di sacre solennità; ma fu rovinata quando si ribellò dai Romani117. Moltissime poi di queste città situate o lungo la Via Latina o dai lati, e costrutte nel territorio degli Ernici, degli Equì dei Volsci, furono fondate dai Romani.

Alla sinistra della Via Latina fra questa e la Via Valeria v’ha Gabio sulla strada di Preneste118, con una cava [p. 66 modifica]di pietre, della quale più che dell’altre fanno uso in Roma, e distante da questa città, ugualmente che da Preneste, circa cento stadii. Seguita poi Preneste di cui diremo appresso. Quindi nei monti che stanno al di sopra di Preneste si trovano Capitulo, piccola città degli Ernici, Anagni illustre città, e Cereale e Sora presso cui scorre il Liri119 andando a Fregelle e a Minturno; poi alcune altre Terre, e finalmente Venafro, d’onde si trae l’olio migliore. Questa città siede sull’alto di un colle, la cui radice è lambita dal Vulturno, il quale dopo essere passato lungo Casilino entra in mare presso alla città che ha il nome a comune con lui. Ma Æsernia ed Alife, che vengono appresso, appartengo già ai Sanniti; e la prima fu distrutta nella guerra co’ Marsi, l’altra dura tuttora.

La Via Valeria comincia da Tiburi120, e mena fra’ Marsii ed a Corfinio, metropoli de’ Peligni. Stanno lungh’essa le città latine Valeria, Carseoli ed Alba, ed ivi presso anche Cuculo.

Tiburi, Preneste e Tusculo si veggono da Roma. A Tiburi sono un tempio di Ercole, ed una cataratta formata dall’Anio121, fiume navigabile che da una grande altezza precipita giù in una valle profonda e boscosa vicino alla detta città. Di quivi poi va scorrendo per luoghi fertilissimi, lungo le cave del marmo Tiburtino [p. 67 modifica]e Gabio, e di quello che dicesi rosso; sicchè agevolmente le pietre da quelle cave si conducono per nave a Roma, dove si adoperano poi nella maggior parte degli edifizii. In quella pianura per la quale scorre l’Anio vanno anche le acque dette Albule che sgorgano fredde da molte fonti e risanano da varie malattie così chi le beve come chi vi si bagna. Tali sono anche, a poca distanza da queste, le acque Labane122 che trovansi Dell’agro Nomentano e nelle vicinanze di Ereto. A Preneste avvi un celebre tempio della Fortuna, dove si rendono oracoli. Tutte e due quelle città (Tiburi e Preneste) sono fondate sopra una stessa catena di monti, e sono distanti fra loro circa cento stadii. Da Roma poi la città di Preneste è lontana il doppio, e Tiburi un poco meno: ed è fama ch’entrambe siano d’origine ellenica, e che Preneste fosse primamente chiamata Polustefano. Sì l’una come l’altra sono città forti, ma Preneste assai più di Tiburi: perocchè al di sopra di quella città, e quasi per esserle in luogo di cittadella, s’innalza un monte scosceso che tagliato a picco da tergo sorpassa di due stadii il colle che da quel lato lo unisce alla catena delle montagne. Ma oltre a questa naturale fortezza, tutto il terreno è perforato da strade sotterranee che discendono sino alla pianura, e servono in parte come acquidotti, in parte per le uscite segrete. In una di queste vie sotterranee morì Mario123 assediato in Preneste. Ma dove nelle [p. 68 modifica]altre città l’avere una forte posizione suole considerarsi come cosa di gran vantaggio, ai Prenestini invece tornò in danno, a motivo delle sedizioni di Roma: perocchè i promotori delle politiche novità sogliono colà rifuggirsi, e quando poi sono costretti ad arrendersi, oltre al danno che ne soffre la città, accade sempre che ne sia confiscato il territorio, soggiacendo alla pena anche coloro che sono innocenti. A traverso poi del territorio Prenestino corre il fiume Veresis124.

All’oriente di Roma pertanto si trovano le città fin qui mentovate. Al di qua poi di quelle montagne sulle quali esse stanno v’ha un’altra sublime catena di monti (fra mezzo rimane la valle d’Algido) che si estende fino al monte Albano125. Sopra questa catena è fondata Tusculo, città non mal fabbricata. L’adornano le piantagioni e gli edifizii che le stanno d’intorno, principalmente quelli che trovansi dalla parte dì Roma: perocchè da quel lato il Tusculo è un colle fertile e abbondevole d’acqua, d’insensibil pendio, con bellissimi palazzi a somiglianza di reggie. Contigui al Tusculo sono i luoghi sottoposti al monte Albano, che di fertilità e di bellezza gli vanno del pari. Seguitano poi le pianure che in parte si vanno a congiungere con Roma e co’ suoi sobborghi, in parie si stendono al mare. Quest’ultima parte è meno salubre; il restante è sito comodo e ben coltivato.

Dopo il monte Albano, lungo la Via Appia, è la città [p. 69 modifica]di Aricia a cento sessanta stadii da Roma. Il terreno in cui essa giace è avvallato; pur nondimeno ha una forte rocca. Al di sopra di Aricia stanno Lavinio, città de’ Romani sulla destra della Via Appia, d’onde si posson vedere e il mare ed Anzio; e l’Artemisio chiamato Nemus (bosco di Diana), che trovasi sulla sinrstra di quelli parte che ascende al tempio di Aricina126. E dicono che sia questa la Diana Tauropulo: e veramente nelle sacre cerimonie che vi si fanno predomina qualche cosa di barbarico e di scitico. Perocchè suol esservi nominato sacerdote qualche uomo fuggiasco, il quale di propria mano abbia ucciso chi v’era da prima: ed egli per conseguenza va sempre armato di pugnale, e sta in sospetto ed apparecchiato a respinger le insidie. Il tempio è in un bosco, e gli sta dinanzi un lago somigliante ad un mare; e tutto all’intorno un cerchio di monti recinge quel tempio e quei lago in un sito cavo e profondo. Le fonti ch’empiono il lago si possono colà vedere; una delle quali chiamasi Egeria dal nome di una certa divinità: ma non vi si scorgono le uscite del lago, le quali appariscono invece assai lungi di là nella pianura. [p. 70 modifica]

Vicino a cotesti luoghi è anche il monte Albano che innalzasi molto più del bosco di Diana e de' gioghi ond’è circondato, sebbene siano molto elevati e scoscesi; e questo monte ha altresì un lago molto maggiore di quello che sta dinanzi al predetto bosco. All’oriente di questo monte stanno le città situate lungo la Via Latina e già menzionale da noi. Fra le città latine quella ch’è più dentro terra è Alba confinante coi Marsii, e fondata sopra un’alta collina presso il lago Fusinate che nell’ampiezza somiglia ad un mare.

Di questo lago si giovano grandemente e i Marsii e tutti i popoli circonvicini. Dicono che qualche volta s’empie fino all’altezza de’ monti, poi di nuovo s’abbassa per modo che rimangono all’asciutto i siti da prima allagati, sicchè possono coltivarsi. E queste mutazioni avvengono o perchè in alcuni tempi le acque del lago colano e si disperdono a traverso di uscite segrete; o perchè le sue sorgenti si chiudono per riaprirsi poi di bel nuovo; siccome dicono che avviene del fiume Amenano127 che attraversa Catana: il quale cessa talvolta per molti anni, e poi ripiglia nuovamente il suo corso. Raccontano che nel lago Fusinate siano le fonti di quell’acqua Marciana che suol beversi in Roma dov’è più stimata di tutte.

Di Alba poi, per essere quella città situata nel centro del paese, e molto fortificata, se ne valsero spesse volte i Romani come d’una prigione per tenervi coloro che più volevano custodire. [p. 71 modifica]

CAPO VIII


Detenzione del Picentino. — Dei Vestini. — Dei Marsi.
Dei Peligni. — Dei Marucini — Dei Trentini.

Cominciando dalle nazioni situate alla radice delle Alpi, siam proceduti agli Apennini; poi, valicali que’ monti abbiamo discorsa tutta la regione che giace fra il mare Tirreno e quella parte degli Apennini che incliuasi verso il mare Adriatico fino ai Sanniti ed ai Campani. Ora, ripetendo il cammino già fatto, descriveremo le nazioni che abitano dentro que’ monti medesimi od alle loro radici, così lungo la spiaggia del mare Adriatico, come verso il paese interiore. E si vuol cominciare anche questa volta da’ Celtici confini.

Il territorio Picentino viene dopo le città dell’Umbria situate fra Arimini ed Ancona. I Picentini sono originarii dalla Sabina: e la via ne fu mostrata ai condottieri di quella colonia da un Pico; dal quale uccello (stimato da loro come sacro a Marte) essi derivarono poi il proprio nome. Costoro cominciandosi dai monti abitano la pianura che va sino al mare, regione assai più lunga che larga, buona ad ogni coltura, ma pur migliore ne’ frutti degli alberi che nelle biade. La sua larghezza dai monti al mare non e da per tutto uguale: la lunghezza dal fiume Æsis fino a Castro, radendo la spiaggia del mare, è di ottocento stadii.

La città di Ancona è di origine ellenica, e la fondarono i Siracusani che fuggivano la tirannia di [p. 72 modifica]Dionigi. Sta sopra un promontorio che volgendosi a settentrione ne forma il porto; ed è molto abbondevole di vino e di frumento. Ivi presso è Auxumo128 poco al di sopra del mare: poi Septempeda, Pneuenzia, Potenzia, Fermo-Piceno col suo porto o castello. Tien dietro il tempio di Cipra fabbricato dai Tirreni e consacrato a Giunone ch’essi chiamano Cipra: poi il fiume Truentino129 ed una città del medesimo nome: poi Castro-Novo, e il fiume Matrino130 che bagna la città degli Adriani e n’ha sull’imboccatura l’arsenale che porta lo stesso suo nome. Dentro terra stanno la città predetta di Adria, ed Asculo Piceno, luogo munitissimo cosi pel muro ond’è cinto, come per le circostanti montagne che non danno via agli eserciti.

Al di là del Picentino stanno i Vestini, i Marsi, i Peligni, i Marucini e i Frentani, sannitica schiatta. Costoro occupano la parte montuosa, e toccano qualche poco anche al mare. Queste popolazioni poi sono piccole ma valorosissime, e spesse volte mostrarono il proprio valore ai Romani, primamente combattendo contro di loro, poscia uniti insieme con essi; e per la terza volta allorchè domandarono la libertà e il diritto della cittadinanza, e non l’avendo ottenuto, si ribellarono e accesero la guerra denominata Marsica: [p. 73 modifica]perocchè stabilirono allora che Corfinio, metropoli dei Peligni, fosse in vece di Roma città comune a tutti gl’Italioti, e centro della guerra; e però le diedero il nuovo nome d’Italica. E quivi avendo raccolti i messi de’ loro partigiani, e creatisi consoli e condottieri di eserciti, durarono per ben due anni nella guerra, finchè poi ottennero quella uguaglianza per la quale combattevano. E quella guerra fu detta Marsica dal nome di coloro che si ribellarono pei primi, fra i quali fu illustre principalmente Pompedio.

Questi popoli vivono generalmente in borgate; pur hanno anche città: alcune a qualche distanza dal mare, come sono Corfinio, Sulmona, Maruvio e Teate metropoli dei Marucini: altre proprio sulla marina; e sono Aterno, confinante col Picentino, che porta lo stesso nome del fiume che attraversa il paese dei Vestini e dei Marucini; perocchè esce dal paese di Amiterno, e scorre pei Vestini lasciandosi a destra i Marucini situati al di là del territorio dei Peligni, e quivi ha un ponte che lo attraversa. La città che porta lo stesso nome del fiume appartiene ai Vestini, ma se ne valgono anche i Marucini come di stanza comune di navi. Il ponte poi è distante da Corfinio ventiquattro stadii.

Dopo Aterno è Ortona arsenale marittimo de’ Frentani, e poi Buca131 che appartiene anch’essa ai [p. 74 modifica]Frentani, il suo territorio confina con Teano Apulo. Ortona è un luogo sassoso nel territorio de’ Frentani abitato da ladroni, i quali costruiscono le loro abitazioni colle reliquie dei naufraghi, e in tutto il restante vivono bestialmente. Fra Ortona e Aterno scorre il Sagro che divide i Frentani dai Peligni: e la navigazione dal Picentino agli Apuli che gli Elleni chiamano Daunii, è di circa quattrocento cinquanta stadii.


CAPO IX


Divisione generale della rimanente Italia.
Descrizione della Campania — Della Sannitica. — Dei Picentini.


Dopo il Lazio, procedendo con ordine, trovasi la Campania che stendesi lungo il mare; e al di sopra di questa è la Sannitica la quale si allarga nel continente fino ai Frentani ed ai Daunii: poi s’incontrano i Daunii stessi, e quelle altre nazioni che abitano fino allo stretto della Sicilia. Primamente dunque si vuol parlare della Campania.

Dopo Sinuessa, tenendo dietro alla restante costa del mare avvi un golfo assai grande fino al Capo Miseno; poi apresi un altro golfo molto maggiore del primo (lo chiaman Cratere) che si addentra fra i due promontoni Miseno e Ateneo132. Ora lungo le spiagge di questi golfi è situata tutta la Campania, paese piano e [p. 75 modifica]felice sopra ogni altro. Le stanno d’intorno fertili colline, e i monti de’ Sanniti e degfi Osci. Antioco dice che quella regione fu abitata dagli Opici; e che questi si chiamarono anche Ausonii: ma par che Polibio sotto questi due nomi intenda due popoli diversi, dicendo che gli Opici e gli Ausonii abitano il paese intorno al Cratere. Altri dicono invece che da principio la Campania fu abitata dagli Opici e dagli Ausonii, i quali poi ne furono discacciati da una nazione di Osci; questi da’ Cumei, e i Cumei da’ Tirreni: perocchè a motivo della sua fertilità quel suolo fu molto combattuto. I Tirreni v’ebbero dodici città, e quella che n’era come capitale denominarono Capua. Ma voltisi poi per troppa abbondanza al vivere mollemente, come prima erano stati espulsi dal paese vicino al Po, così cedettero anche questo ai Sanniti, i quali col tempo ne furono discacciati dai Romani. Della bontà di quel suolo v’ha questo indizio, ch’ivi sa raccoglie il frumento migliore: io dico quel frumento del quale si fa un condro133 migliore di ogni riso, e per dir breve, di qualsivoglia altro cibo composto di grano. Raccontasi che alcuni campi di quella regione sogliono seminarsi ogni anno due volte di spelta134, e una terza volta di panico; e che alcuni producono altresì de’ legumi in una quarta seminagione. Anche il vino migliore sogliono trarlo i Romani dalla Campania, come a dire quel di Salerno, lo Statano e il Caleno, ai quali non cede oggimai il Sorentino, sendosi da poco tempo [p. 76 modifica]falla esperienza che anch’esso può esser lasciato invecchiare. Così pure e la Campania ferace d’olio in tutta quella parte ch’è presso a Venafro e confinante colla pianura135.

Le città sulla marina dopo Sinuessa, sono Vulturno e poi Literno136 dov’è il monumento del primo Scipione soprannomato Africano; perocchè quivi consumò l’ultima parte della sua vita dopo avere lasciati i pubblici affari per l‘inimicizia di alcuni suoi concittadini. Scorre lungo quella città un fiume detto anch’esso Literno. Così anche il Vulturno ha il nome della città che giace sulla sua sponda, e scorre pel territorio di Venafro e pel mezzo della Campania. ‘

Appresso a queste si trova Cuma, antichissima fondazione de’ Calcidesi e de’ Cumei, e la più vecchia di tutte le città della Sicilia e dell’Italia. Coloro che guidavano quella colonia, Ippocle cumeo e Megastene calcidese, avevano pattuito che agli uni appartenesse la colonia, e gli altri le dessero il nome: d’onde poi ora la città nomasi Cuma, ma si suol dire che la fondarono i Calcidesi. Anticamente pertanto quella città fu in buono stato, e così anche tutto il campo detto Flegreo, sul quale si favoleggia che avvenisse quanto raccontasi dei Giganti; nè senza qualche motivo, per quanto pare, ma perchè quel terreno a cagione della sua [p. 77 modifica]fertilità deve aver mossi parecchi a contenderselo. All’ultimo poi i Campani rimasti padroni della città, ne vilipesero gli abitanti in tutte maniere, e si mischiarono colle loro consorti. Nondimeno vi restano ancora molte tracce dell’ellenica civiltà, così nelle sacre come nelle civili istituzioni. Alcuni dicono che quella città fu denominata Cuma dai fiotti137 che rompono alla vicina spiaggia tutta aspra di scogli, e lungo la quale v’ha luoghi di abbondevolissima pescagione. In questo golfo avvi anche una selva tutta d’arbusti, che si stende per uno spazio di molti stadii, senz’acqua e sabbiosa, denominata Selva Gallinaria. Quivi i comandanti delle navi di Sesto Pompeo ragunarono insieme i pirati quand’egli mosse a ribellione la Sicilia.

Vicin di Cuma è il promontorio Miseno, e frammezzo sta il lago Acherusio ch’è un pantanoso diffondimento di mare. A chi abbia oltrepassato il Miseno si presenta subito un porto sotto il promonlorio stesso; dopo del quale la spiaggia si curva e fa un golfo di grande profondità. Quivi si trovano e baje ed acque calde opportune così al diletto come alla cura de’ mali. Alle baje tien dietro il seno Locrino, e più dentro terra l’Aorno138 che fa una penisola di tutto il promontorio finito nel capo Miseno, inoltrandosi dentro terra e [p. 78 modifica]perciò dalla parte di Cuma: perocchè dal fondo dell’Aorno sino a Cuma ed alla spiaggia vicina a quella città rimane soltanto un istmo di pochi stadii attraversato anch’esso da una via sotterranea. I nostri maggiori applicarono all’Aorno ciò che Omero favoleggia nella sua Necya139; e raccontano che quivi si trovasse una volta un oracolo dei morti, al quale venne anche Ulisse. È dunque l’Aorno un seno profondissimo anche rasente la riva, con angusto ingresso, e per estensione e per natura acconcio ad essere un porto; ma non se ne valgon però, giacchè gli sta innanzi il seno Locrino vasto e pieno di bassi fondi. L’Aorno è tutto chiuso in giro da gioghi scoscesi che gli sono imminenti da ogni lato, tranne quel punto pel quale vi s’entra; ed ora sono accuratamente coltivati, ma anticamente erano ombreggiati da un salvatico bosco con grandi alberi e inaccessibile, sicchè rendevano opaco anche il golfo e opportuno alla superstizione. Gli abitanti circonvicini v’aggiungono anche la favola, che se qualche uccello attraversa sorvolando l’Aorno, cade nell’acqua ucciso dai vapori che ne esalano, siccome avviene ne’ luoghi Plutonii140. Ed anche l’Aorno fu considerato come un luogo Plutonio, e si disse che quivi abitarono una [p. 79 modifica]volta i Cimmerii: e chiunque volea navigarvi propiziavasi innanzi tratto i Mani con sagrifizii, secondo il rito prescritto da certi sacerdoti che toglievano come a pigione quel luogo. Avvi colà una sorgente d’acqua dolce snlla riva del mare; ma tutti se ne astenevano, persuasi che fosse acqua dello Stige. Dicesi inoltre che quivi in qualche parte fosse fondato un oracolo, e dalle acque calde che si trovano presso all’Acherusio congetturano ch’ivi fosse il Piriflegetonte. Ed Eforo accomodando la descrizione di questo luogo ai costumi dei Cimmerii, dice che vivevano in sotterranee abitazioni chiamate Argille, comunicando fra loro per mezzo di strade pur sotterranee, e che così ricevevano anche i forestieri che andavano all’oracolo, fabbricato molto sotterra. Vivono poi co’ proventi delle miniere e dell’oracolo, e collo stipendio loro assegnato dal re. Dice inoltre Eforo che di coloro i quali stavano al servizio del tempio, nessuno mai per antico costume vedeva il sole, ma di notte soltanto uscivano delle loro caverne; laonde poi il Poeta disse di loro:

Lo sfavillante d’ór Sole non guarda
Quegl’infelici popoli
141.

In progresso di tempo i Cimmerii furono disfatti da un re a cui non s’era avverata una risposta dell’oracolo; il quale però trasferito in un altro luogo continuò a sussistere. Queste cose dicevano i nostri maggiori. A’ dì nostri poi, avendo Agrippa tagliata la selva che [p. 80 modifica]circondava l’Aorno, empiuti di edifizii que’ luoghi, e rotta la via sotterranea che dall’Aorno conduceva fino a Cuma fu chiarito che tutti codeste cose erano una favola. E Coccejo che fece riattare quella strada, e un’altra ne aperse la quale da Dicearchia142 situata al di là di Baja, conduce a Napoli, seguitò in certo modo l’antica tradizione divolgata rispetto ai Cimmerii, e forse ancora credette che fosse un costume proprio di quel paese l’avere le strade sotterra.

Il golfo Locrino allargasi fino a Baja: e lo divide dal mare esteriore un argine lungo otto stadii e largo per modo che vi può capire una strada da passarvi con carri. Dicono che ve lo alzò Ercole quando condusse via i buoi di Gerione: ma perchè poi nelle tempeste del mare l’onde lo soverchiavano in modo che il camminarvi a piedi era difficile, Agrippa lo fece alzare. Del resto soltanto le barche leggiere possono entrare in quel golfo che non potrebbe mai servire di porto; e in ciò solo è utile, che vi si fa una copiosissima pescagione di ostriche. Alcuni poi dicono che questo golfo Locrino è il lago Acherusio; e Artemidoro lo scambia coll’Aorno. In quanto a Baja ed al capo Miseno dicesi che ricevettero il loro nome da due compagni di Ulisse143.

Seguitano poi le spiagge di Dicearchia ed anche la città stessa, la quale fu anticamente l’arsenale [p. 81 modifica]marittimo de’ Cumei fabbricato sopra un’altura; ma nel tempo della guerra di Annibale i Romani vi collocarono una colonia, e cambiandole il nome la dissero Puteoli, o dai pozzi che vi sono, o secondo altri dalla puzza che mandano le acque in tutto il paese che stendesi fino a Baja ed all’agro Cumano, pieno di solfo, di fuoco e di acque calde. E alcuni tengono che per questo motivo il territorio di Cuma sia stato detto Flegreo; e che questi fuochi e queste acque calde abbiano dato luogo a quello che si racconta dei Giganti colpiti dal fulmine e atterrati in quella regione. Del resto Dicearchia è divenuta un grandissimo emporio, con buone stazioui di navi che furono agevolmente costrutte per la natura della sabbia di que’ dintorni, la quale meschiata con certa misura alla calce si collega e fa presa con quella; sicchè meschiando al cemento quella polvere sabbionosa poterono piantare argini dentro il mare, e dar alle piagge aperte forma di golfi, dove poi si potessero introdurle con sicurezza le più grandi navi da carico. Al di sopra di questa città s’apre il Foro di Vulcano, una pianura tutta circondata da monti ardenti, i quali in più luoghi spirano fiamme quasi da camini, con uno strepito simile al tuono. Ed anche la pianura è piena di cave di solfo.

Dopo Dicearchia vien Napoli che fu prima de’ Cumei: appresso vi si trasferirono anche dei Calcidesi, ed alcuni delle Pitecuse e d’Atene; per che poi la chiamarono Nuova-città144. Quivi si suol mostrare il [p. 82 modifica]monumento di Partenope, una delle Sirene; e secondo un certo oracolo vi si celebra anche un giuoco ginnastico. In progresso di tempo discordando fra loro questi varii abitanti ricevettero nella città alcuni Campani, e furono necessitati di tenersi come familiarissimi i più nemici, poichè s’erano disaffezionati i proprii concittadini. Di ciò sono indizio i nomi dei demarchi145; chè i primi furono ellenici; poi fra gli ellenici se ne frammischiarono alcuni campani. Restati per altro colà moltissime tracce della dominazione ellenica, come a dire ginnasii, collegi di efebi, fratrie 146, e nomi ellenici ancora, sebbene gli abitanti siano al presente romani. Ora poi suol celebiarvisi ogni cinque anni un certame di musica e di ginnastica che dura parecchi giorni, ed è tale da potersi paragonare co1 più famosi dell’Eliade. Avvi anche colà una strada sotterranea e nascosta a traverso a quel monte ch’è posto fra Dicearchia e Napoli, e somigliante a quella che mena, come s! è detto, dal lago Aorno a Cuma: questa strada la quale può capire due carri che vadano in opposta direzione si stende per molti stadii; e la luce v’è introdotta per molte aperture che dalla superficie del monte si addentrano ad una grande profondità147. Anche Napoli ha sorgenti di acque calde, con edifizii di bagni non punto inferiori a quelli di Baja, ma di gran tratto però meno [p. 83 modifica]frequentati148: perocchè quivi (a Baja) si è formata una nuova città non meno grande di Dicearchia, a forza di costruirvi palagi gli uni vicini agli altri. A Napoli poi mantengono viva l’usanza del vivere ellenico coloro che vi si trasferiscono da Roma per riposare; uomini letterati o notabili per altre doti, che l’età o l’inferma salute costringe a desiderar la quiete; oltrechè alcuni Romani ai quali diletta quel colal modo di vivere, vedendo la moltitudine di coloro che quivi ne godono, volentieri vi si trasferiscono e vi fermano la loro stanza.

Vicinissimo a Napoli è il castello Eraclio che ha un promontorio sporgente nel mare, dove il vento di Libia149 soffia mirabilmente, sicchè l’abitarvi è salubre. Questo sito, con Pompeja che viene subito dopo ed è irrigata dal fiume Sarno, furono un tempo possedute dagli Osci, poi da’ Tirreni e da’ Pelasghi, e poi da’ Sanniti, i quali ne furono anch’essi cacciati150. Pompeja è l’arsenale marittimo di Nola, Nuceria ed Acerra (cotesto nome ha anche un luogo vicino a Cremona); ed è bagnata, come già dissi, dal fiume Sarno sul quale si possono portare mercatanzie così a seconda come a ritroso del suo corso.

A tutti codesti luoghi sovrastà il monte Vesuvio, tutto coperto di bei colti fuorchè nella cima. Questa è [p. 84 modifica]piana in gran parte, sterile tutta, e cinericcia a vedersi, con grandi cavità tutte di pietre fuligginose, come se fossero abbrustolite dal fuoco. Potrebbe quindi congetturarsi che quel luogo in antico sia stato ardente ed avesse crateri di fuoco, il quale poi siasi spento mancandogli la materia151. E questa forse è la cagione della fertilità de1 luoghi circostanti; come dicono che nel territorio di Catania la parte che fu coperta dalla cenere piovutavi giù dall’Etna si fece terreno acconcissimo alle viti. E nel vero la polvere che i vulcani gettano fuori ha molto di quel grasso che si trova (sebbene in differente proporzione) nelle glebe abbruciate e nelle terre vegetali: e finchè la parte grassa vi sovrabbonda fa sì che le terre facilmente s’accendano; ma quando poi la pinguedine è consumata, e la gleba estinta è divenuta cenere, sì trova buouissima a fecondatisi i semi152.

Contiguo a Pompeja è Sorento, città de’ Campani, d’onde poi si protende nel mare il promontorio Ateneo che alcuni chiamano delle Sirenuse. Nella sua sommità trovasi un tempio di Minerva fondato da Ulisse. Di quivi all’isola di Caprea è un breve tragitto, e quando abbiasi ollrepassato quel promontorio s’incontrano alcune isolette deserte e pietrose [p. 85 modifica]chiamate Sirenuse. In quella parte del premontorio Ateneo che accenna a Sorento soglion mostrare un tempio, e gli antichi voti che vi dedicarono gli abitanti circonvicini veneratori di quel luogo. E quivi appunto ha fine quel golfo ch’è soprannomato Cratere153, circoscritto da due promontorii (il Miseno e l’Ateneo) che guardano al mezzogiorno. Tutto il golfo è ornato in parte dalle città che abbiam nominate, in parte da case e da piantagioni, le quali succedonsi da vicino fra loro, e rendono sembianza di una sola città.

Dinanzi al Miseno poi sta Procida, un’isola che dir si potrebbe staccata da quella di Pitecusa154. Questa fu popolata dagli Eretriesi e dai Calcidesi i quali, dopo esservi stati in buona fortuna per la fertilità del suolo e per le miniere dell’oro, l’abbandonarono poi a motivo di una sedizione; e in progresso di tempo ne furono anche scacciati da’ tremuoti, e dalle eruzioni di fuoco, di mare e di acque calde. Perciocchè l’isola va soggetta a tali accidenti pe’ quali poi anche coloro che v’erano stati spediti da Ierone tiranno di Siracusa abbandonarono e il forte ch’essi avevan costrutto e l’isola stessa. Vi approdarono quindi i Napoletani e se ne impadronirono. E di qui è nata quella favola la quale dice che sotto quest’isola giace Tifone, e che quando egli si voltola fa sbucar fuori e fiamme ed acqua, e talvolta persino piccole isole con getti di acqua bollente. Ma una cosa più credibile disse Pindaro argomentando dai [p. 86 modifica]fenomeni ch’ivi si veggono. Perocchè siccome tutto il tragitto cominciando da Cuma fino alla Sicilia è pieno di fuoco, e di sotterranei meati, per mezzo de’ quali le isole di quel luogo comunicano fra di loro e col continente (d’onde poi l’Etna è di quella natura che tutti descrivono, e così anche le isole de’ Liparesi, e il territorio circostante a Dicearchia, a Napoli, a Baja ed a Pitecusa), così il poeta considerando tal cosa dice che a tutto quel sito è sottoposto Tifone:

I lidi ove il mar geme
Di Cuma, e tutta insieme
Sicilia, or son penoso
Pondo che a lai l’ispido petto opprime
155.

E Timeo dice che delle Pitecuse gli antichi spacciarono molte cose incredibili; ma che per altro poco prima dell’età sua un colle che sta nel mezzo dell’isola ed ha nome Epomeo, scosso da’ tremuoti gittò fuoco, ed aveva spinto nell’alto il terreno che si trovava fra esso colle ed il mare. La parte del suolo incenerita e lanciata in alto, era poi di nuovo caduta sull’isola a modo di turbine156, sicchè il mare erasi ritirato per lo spazio di circa tre stadii: se non che di lì a poco, essendo venuto a riurtare da capo, aveva inondata e coperta l’isola, e il vulcano erasi estinto. Nel qual tempo (soggiunge) gli abitanti del continente spaventati dal grande frastuono, dalla spiaggia fuggirono addentro nella Campania. — Pare poi che [p. 87 modifica]le acque calde di quell’isola guariscano chi patisce di renella.

Anticamente Caprea157 ebbe due piccole città, ma appresso poi una sola. La possedettero un tempo i Napoletani; ma avendo perduto Pitecusa in guerra, Cesare Augusto la restituì loro per averne Caprea, della quale egli fece un suo privato possedimento, e l’ornò di edificii. Queste pertanto sono le città marittime dei Campani e le isole situate rimpetto a quella regione.

Nella parte mediterranea Capua è la metropoli, e veramente il capo, siccome indica l’etimologia del nome: perocchè le altre paragonate con questa ci direbbero cittadelle, tranne solo Teano Sidiceno, la quale è ragguardevole anch’essa. Capua è situata lungo la Via Appia, e così anche quelle altre che incontransi da Capua a Brentesio158, cioè Callateria, Caudio e Benevento. Verso Roma è fondato Casilino lungo il fiume Vulturno; dove essendo già assediati cinquecento quaranta Prenestini, poterono tanto resistere ad Annibale quando egli era più in fiore, che un topo fu venduto al prezzo di duecento dramme, e chi lo comperò visse, ma il venditore ne morì di fame: e vedendoli Annibale seminar rape presso alle mura, ammirò (com’era ben naturale) il loro grande animo, giacchè speravano di resistere tanto che le rape crescessero a maturanza. E [p. 88 modifica]si dice che tutti poi n’uscirono sani e salvi, fuor pochi consumati dalla fame o dalle battaglie.

Oltre a queste sono della Campania anche le città delle quali feci menzione già prima, Calce159 e Teano Sidiceno, che han per confine due tempj della Fortuna fabbricati dall’una e dall’altra parte della Via Latina poi anche Suessula, Atella, Nola, Nuceria, Acerra, Abella, ed altri luoghi anche minori, alcuni dei quali sono da certi autori ascritti al territorio sannitico. E nel vero i Sanniti facendo anticamente delle scorrerie nel territorio latino fin ne’ dintorni di Ardea, poi corseggiando anche la stessa Campania s’erano acquistata molta possanza; perocchè avendo imparato a lasciarsi governare dispoticamente, ubbidivano con prontezza agli ordini dei loro capi. Ma al presente quel popolo è annichilito, vinto e da altri, ed all’ultimo da Silla che governò da monarca i Romani. Il quale, dopo che in molte battaglie ebbe prostrata la congiura de’ popoli italici ribellati, vedendo che soli quasi i Sanniti persistevano in quella guerra e si tenevano uniti per modo che movevano fin contro Roma, venne con essi alle mani dinanzi alle mura di questa città; e parte ne uccise nella battaglia (avendo ordinato di non perdonare la vita a nessuno), e gli altri che in numera di tre o quattro mila gettarono l’armi, comandò che fossero cacciati nella Villa Pubblica160 di Campo Marzio, dove tre giorni dopo mandò [p. 89 modifica]suoi soldati che li trucidassero tutti quanti. Dopo di che istituì le proscrizioni, nè le intermise prima di avere distrutti tutti coloro che portavano il nome di Sanniti, o di averli almeno sterminati dall’Italia: ed a chi gli rimproverava quella sì grande severità rispondeva, avere dall’esperienza imparato, che nessun Romano potrebbe mai vivere in pace, finchè vi fossero dei Sanniti che potessero cospirare di nuovo. Le città dei Sanniti pertanto sono ora semplici borghi: ed alcune sono anzi rovinate del tutto, come Bojano, Esernia, Panna, Telesia (contigua a Venafro), ed altre consimili, nessuna delle quali merita di essere annoverata fra le città: se non che noi, guardando alla celebrità ed alla potenza dell’Italia, andiamo indicando fin anco i luoghi mediocri. Benevento poi e Venosa sussistono tuttavia in buono stato.

Rispetto ai Sanniti torre anche questa tradizione, che avendo guerra i Sabini già da gran tempo contro gli Umbrii fecero voto (come usarono alcuni Elleni) di consacrare agli Dei tutto quanto nascerebbe appo loro in quell’anno. Riusciti quindi vittoriosi, parte delle produzioni sacrificarono, parte offersero alle divinità; d’onde nacque nel paese una gran carestia. Allora qualcuno disse che bisognava consacrare agli Dei anche i figliuoli: secondo il quale consiglio dedicarono a Marte tutti i fanciulli nati in quell’anno; e quando costoro furono divenuti uomini, li mandarono fuori a fondare una colonia, dando loro un toro per condottiero. Questo animale fermossi a dormire nel territorio degli Opici, i quali vivevano in borgate: e però quegli [p. 90 modifica]stranieri cacciaronli dalle loro sedi, dove si stabilirono essi medesimi, e secondo il responso degli indovini sagrificarono a Marte quel toro che il Dio stesso aveva dato loro per guida. E quindi probabile che per questa cagione gli antichi li chiamassero col nome diminutivo Sabelli161: ma per un’altra cagione poi furono nominali Sanniti, o, come dicono gli Elleni, Sauniti. Alcuni raccontano eziandio che certi Lacuni vennero ad abitare insieme con loro, e che per questo poi i Sanniti furono sempre filelleni, e in parte si dissero anche Pitanati162. Par nondimeno che questa sia un’invenzione de’ Tarantini per lusingare quel popolo confinante con loro e molto potente, e conciliarsi così una nazione che può mandar fuori ottanta mila fanti e ottomila cavalli. È fama che i Sanniti abbiano una bella legge e molto opportuna per muovere alla virtù. Perocchè non possono i padri dare le proprie figliuole in moglie a chi essi vogliono; ma ogni anno eleggonsi dieci fanciulle e dieci giovani, e la migliore al migliore si dà, poi la seconda di pregio al secondo, e così via via: e se mai qualcuno che abbia ricevuto tal premio, mutandosi diviene malvagio, lo dichiarano infame e gli tolgono la moglie che gli fu data.

Appresso vengono gl’Irpini che sono anch’essi Sanniti, ed ebbero il proprio nome dal condottiero della loro colonia; giacchè i Sanniti chiamano Irpo il [p. 91 modifica]lupo163. Costoro sono contigui ai Leucani mediterranei. Ma dei Sanniti ciò basti. A’ Campani poi la fertilità del terreno è stata cagione che le prosperità andassero del pari colle sventare. Perocchè vennero a tanto lusso, che si banchettavan fra loro e davansi lo spettacolo di molte paja di gladiatori, il cui numero veniva determinato dalla dignità dei convitati. E quando Annibale si fu impadronito di Capua che gli si arrese, e vi pose il suo esercito a svernare, lo effeminarono tanto coi loro piaceri, ch’egli ebbe a dire, come il vincitore correva pericolo di soggiacere ai nemici, giacchè i suoi soldati s’erano tramutati d’uomini in donne. Quando poi i Romani ebbero la vittoria, con molti castighi assennarono i Campani, ed all’ultimo ne distribuirono a sorte il territorio. Ed ora sono felici vivendo in concordia coi nuovi coloni164; e custodiscono l’antica dignità, la grandezza e il valore delle loro città.

Dopo la Campania e la Sannitide sino ai Leucani, lungo il mare Tirreno, abita la nazione de’ Picentini, piccola porzione staccata dai Picentini dell’Adriatico, e trasferita dai Romani nel golfo Posidoniate che ora si dice Pestano165. La loro città, l’antica Posidonia che ora chiamasi Pesto, giace nel mezzo del golfo. I Sibariti [p. 92 modifica]n’avevano piantato il muro sulla marina; ma quelli che l’abitarono dopo trasportarono pia in alto. In progresso di tempo i Leucani tolsero quella città ai Sibariti, e i Romani ai Leucani. Finalmente è da notare che Pesto è insalubre a cagione del fiume che quivi presso impaluda.

Fra le Sirenuse166 e Posidonia avvi Marcina fondata da’ Tirreni e abitata dai Sanniti. L’istmo che di quivi conduce a Pompeja ed a Nuceria è di non più che cento venti stadii.

I Picentini si stendono sino al fiume Silari167; che divide dal loro territorio l’antica Campania. Raccontasi questa proprietà dell’acqua di cotal fiume, che una pianta che vi si getti impietrisce, conservando per altro il suo colore e la sua figura. De’ Picentini fu metropoli Picenza: ma ora essi vivono in borgate, cacciati delle loro città dai Romani dacchè parteggiarono per Annibale. Ingiunsero oltre di ciò a quella popolazione che in luogo della milizia facesse gli uffici de’ corrieri e de’ messaggi, ciò che fu pure comandato per le stesse cagioni anche ai Leucani ed ai Brezii. Fortificarono inoltre contro di loro Salerno poco al di sopra del mare.

Dalle Sirenuse al Silari v’ha duecento sessanta stadii.

Indice

  1. Il Golfo di Salerno.
  2. I Veneti.
  3. Ὦν οὐ ῥᾴδιον εἰπεῖν ἀμείνους ἑτέρας.
  4. Gli Edit. franc. non considerano questi puntini come una lacuna, ma come una reticenza dell’Autore che non volle riferir tutto intiero il testo di Polibio, da cui è tolta la descrizione dell’Italia qui in parte riferita.
  5. Da Rimini al Capo di Leuca.
  6. La Valle d’Aosta. — L’Ocra poi, già menzionata nel libro precedente, è la parte più bassa delle Alpi.
  7. Quei di Calabria e della Terra di Otranto.
  8. Al Capo dell’armi nel territorio di Reggio.
  9. La Gallia Traspadana e la Gallia Cispadana dei Romani.
  10. Gli Edit. franc. aggiungono per più chiarezza: situata sulla destra del Po.
  11. Il. lib. II, v. 852.
  12. Credesi che Strabone confonda in una due diverse spedizioni dei Celti o Galli.
  13. Milano.
  14. Non pare possibile che Reggio (Rhegium Lepidum) sia mai stato parte della Gallia Transpadana dei Romani. Quindi gli Edit. franc. credono che debba forse leggersi Bergamo.
  15. A molte difficoltà va soggetto in questo luogo il testo di Strabone. Le principali sono: 1.° Se il diritto di cittadinanza fu da Cesare impartito a tutti, o solo ai 500 Greci; giacchè le parole del testo parrebbero quasi accennare quest’ultima opinione: 2.° Se questi Greci fermarono la loro stanza nel luogo ov’è Como, o l’abbandonarono (οὐ μέν τοι ᾤκησαν αὐτόθι). L’interpretazione degli Edit. franc. mi parve più conforme di tutte così alla grammatica, come all’opinione degli storici più accreditati.
  16. L’Adda. Il monte onde nasce ora chiamasi Braulio.
  17. Padova.
  18. Probabilmente il porto di Malamoco all’imboccatura del Brenta, che gli antichi denominarono Medoacus major.
  19. Ξυλοπαγὴς ὅλη. Gli Edit. franc. spiegano: Toute bâtie sur pilotis.
  20. Secondo il Filiasi questa città era posta nel luogo detto poi Motte di Altino, nelle maree di Zoccarello e di Montirone.
  21. Qualche manoscritto in luogo di Οὐκέτια legge Οὐἲκεντια, Vicenza.
  22. Οὐδὲν ἔπραξε: Letteralmente: non riportò alcun vantaggio. Ma sappiamo dalla storia che Carbone fu disfatto: perciò gli Edit. franc. stanno in forse se debba intendersi di Gneo Carbone o di Q. Lutazio Catulo e de’ suoi pochi progressi contro i Cimbri prima di essersi unito con Mario.
  23. Le Isole Tremiti in faccia al Monte Gargano. Dei Daunii e d’Argo Ippio si troverà parlato più sotto.
  24. Comunemente si crede che Eridano e Pado (Po) fossero due nomi di uno stesso fiume: ma qui par che si accenni una diversa tradizione. E il P. Bardetti dice che l’Eridano potè essere l’Eretano, il quale scorreva presso Vicenza e si gittava poi nel Po.
  25. Ἵππων ἀκαυτηριάστων. Secondo l’usanza praticata spesso anche oggidì, di stampare sulla coscia dei cavalli un qualche segno che ne dinoti il padrone.
  26. Trieste.
  27. Molte opinioni si trovano intorno a questo nome di Simbri, il quale è probabilmente una corruzione della voce Insubri.
  28. Ora Vada.
  29. Modena e Bologna.
  30. Questo luogo conferma l’osservazione fatta a p. 12, nota 3.
  31. Cioè: Quaderna ed Imola. Non è poi ben conosciuto dove fossero veramente Acerra e Macri Campi. L’Isapi dicesi ora Savio. Rispetto al Rubicone, i più lo rappresentano nel Fiumicino, ma non è opinione sicura.
  32. Pavia.
  33. Chiasteggio, Tortona ed Acqui.
  34. L’espressione del testo è: ἐξ ὧν καὶ ἡ σύγκλητος λαμβάνει τὴν σύνταξιν. La versione latina dice: E quibus et senatus legiones constituit. Notano poi il Casaubono, il Cluvier ed altri che queste parole spettanti a Lucca paion essere fuori di luogo, e che dovrebbero trasportarsi dopo la descrizione della Liguria di cui Strabone parlerà di qui a poco.
  35. Al fiume Æsis corrisponde il Fiumesino o Fiumicino, come suona la voce stessa. Ma se l’Æsis e il Rubicone erano due fiumi bisognerà cercare quest’ultimo fuori del medesimo Fiumesino.
  36. Di legno. A differenza dei Greci che usavano solo vasi di terra.
  37. Probabilmente il Panaro.
  38. Pare che questo o consimil nome (giacchè alcuni leggono Gaunacchi) si desse ad una stoffa consistente e villosa della quale facevansi tappeti per mense e per letti, ed anche abiti.
  39. Poco ci dicono gl’interpreti intorno al vero luogo d’Ittimuli; alcuni anzi dubitano se mai siavi stato paese di cotal nome. Nondimeno parla delle miniere d’Ittimuli nel territorio di Vercelli anche Plinio. Bensì è da dire cogli Edit. franc. che bisognerebbe sostituire qualche altro nome a quel di Piacenza.
  40. Di questi popoli l’Autore farà menzione più sotto.
  41. Cerveteri.
  42. Tutto questo luogo è oscuro. Il testo dice: πολιτείαν γὰρ δόντες, οὐκ ἀνέγραψαν εἰς τοὺς πολίτας, ἀλλὰ καὶ τοὺς ἄλλους, τοὺς μὴ μετέχοντας τῆς ἰσονομίας, εἰς τὰς δέλτους ἐξώριζον τὰς Καιρετανῶν. E la traduzione francese: Contens d’avoir donné aux Caeretani le droit de bourgeoisie, ils ne les inscrivirent point parmi les citoyens Romains, ecc. Non è meraviglia (soggiungono poi quegli Edit.) se Strabone parla oscuramente di queste cose, quando anche gli Scrittori romani ci lasciano nella dubbiezza, e i critici moderni non sanno recarvi bastevol luce.
  43. Odiss., lib. xix, v. 175.
  44. Il., lib. xvi, v. 233.
  45. Il., lib. ii, v. 840.
  46. È incerto a quale Opera appartenga questo luogo d’Esiodo.
  47. Eschilo veramente dice soltanto

    . . . . . . Il figlio io sono
    Di Palectone indigena, Pelasgo,
    Re di questa contrada, ed i Pelasgi
    Da questo suol nudriti han da me nome.

    Trad. Bellotti.

  48. Questa citazione appartiene ai Frammenti d’Euripide.
  49. Cioè: Cicogne.
  50. Di Poplonio o Populonio trovansi alcuni avanzi sulla penisola di Piombino. (Edit. franc.).
  51. Oltre alla differenza che si trova fra il calcolo di Strabone e quello di Polibio, gli Edit. franc. rettificano così queste distanze:
    Da Luni a Pisa st. 400
    Da Pisa a Volterra » 290
    Da Volterra a Poplonio » 270
    Da Poplonio a Cossa » 800
         o secondo altri 600

    1760
         od almeno 1560.
  52. Di Selene, cioè: della Luna.
  53. L’Arno e il Serchio: ma al presente quest’ultimo non si unisce punto col primo, e va al mare solo con un corso suo proprio.
  54. Ora Capo di Campana.
  55. Θυννοσκοπεῖον.
  56. La Corsica.
  57. L’isola d’Elba.
  58. Cioè nell’Isola d’Elba. Il porto di cui qui fa menzione dicesi ora Porto-Ferrajo.
  59. Forse i cristalli di ferro abbondanti nell’isola d’Elba, e di bello e vario colore. (Edit. franc.).
  60. Diodoro Siculo (lib. v, § 13) dice tutto al contrario.
  61. Non trovano gl’interpreti a chi voglia alludere Strabone in questo luogo.
  62. Il Siebenkees vorrebbe leggere ὀρεινὸν, montuoso.
  63. Cagliari. Rispetto a Sulchi si crede che fosse dove ora è Palma di Solo, vicino alla Punta dell’Ulga.
  64. Figliuolo d’Ificle e nipote d’Ercole.
  65. Altri leggendo, non ἐπιπλέον τοῖς ἐν τῇ περαίᾳ, ma ἐπιπλέοντες κ. τ. λ., traducono: Così nell’isole loro, come anche nel continente su cui discendono.
  66. Specie di scudi.
  67. Se ne veggono le rovine sopra una collina fra l’imboccatura del fiume Pescia e Porto Ercole.
  68. Notano gli Edit. franc. che le parole del testo potrebbero anche significare, essere Pirgo un porto de’ Ceretani a cinquanta stadii dalla loro città: Ἑστι δ᾽ἐπίνειον τῶν Καιρετανῶν ἀπὸ ν σταδίων.
  69. La lezione comune è guasta. Ho seguitata l’opinione del Salmasio che la corresse cosi: Ἔνιοι δ᾽ οὐ Τυρρηνούς φασι τοὺς Φαλερίους, ἀλλὰ Φαλίσκους. Ἴδιον ἔθνος τινὲς τοὺς Φαλίσκους, καὶ πόλιν ἰδιόγλωσσον. Οἱ δὲ Αἰκουμ Φαλίσκον κ. τ. λ. Gli Edit. franc. traducono, secondo una loro congettura: Giusta alcuni autori gli abitanti di Falerium non appartenevano alla nazione dei Tirreni, ma sì a quella dei Falisci che sono un popolo assolutamente distinto dai Tirreni, e con un linguaggio suo proprio. La loro capitale era Falisco, denominata da altri Æcquum Faliscum, e situata sulla via Flaminia tra Roma ed Ocricli. — Quest’ultima città è ora detta Otricoli
  70. Monte di S. Silvestro.
  71. Chiusi.
  72. Non trovasi una sicura dichiarazione di queste tre produzioni marine.
  73. Ora Lago di Vico o Ronciglione. Il lago Volsinio poi è quello di Bolsena; e sotto il nome di lago di Clusio non può intendersi se non la marea vicina a Chiusi, attraversata dalla Chiana che si perde nel Tevere presso Orvieto. È uopo notare però che il nome di lago dato a questa marea è improprio, sicchè alcuni vollero intendere qui il Trasimeno; e che dal lago di Bolsena esce bensì il fiume detto la Marta, ma invece di sboccare nel Tevere va al mare direttamente. (Edit. franc.)
  74. Ora Lago Bracciano.
  75. Vincenzo Borghini sospetta che questo capitolo sulla Tirrenia non ci sia pervenuto tutto intiero. (Edit. franc.).
  76. Sinigaglia e Camerino.
  77. L’Æsi è il Fiumesino. Il Ginguno non è conosciuto. Sentino è ora Sentina, e il Metauro dicesi Metaro. Del nome latino poi Fanum Fortunae (Tempio delta Fortuna) ora è rimasto sol Fano.
  78. Poco prima la nominò semplicemente Sena.
  79. Non vi ha notizia di questa città; però credono alcuni che il testo sia corrotto. — Narna dicesi ora Narni, e il Nar è La Nera.
  80. Il Topino; e secondo altri le Vene di Piscignano (l’antico Clitumnus), che presso Bevagna (Mevania) piglia il nome di Timia. (Edit. franc.).
  81. Foro Sempronio è ora Fossombrone. Nuceria è Nocera; e Foro Flaminio è secondo alcuni Ponte Centesimo a sette miglia da Nocera, secondo altri Castel S. Giovanni.
  82. Cioè Terni, Spoleto, Jesi, e (secondo il Cluvier) Camerino; ma rispetto a quest’ultima gli Edit. franc. dimostrano che Camerino e Camerta dovettero essere due luoghi distinti.
  83. Cioè sulla sinistra della via Flaminia. Delle città poi menzionate subito dopo, Ameria è Amelia, Tuder è Todi, Ispello conserva il suo nome, e Itoro od Ituro non è conosciuta.
  84. Il Lazio e la Sabina.
  85. Lomentano.
  86. Di Amiterno veggonsi ancora le ruine presso alla piccola città di san Vittorino alla sinistra del fiume Aterno. Reate è Rieti. All’aulico Interocrea corrisponde il luogo dello ora Interdojo o Interdoco.
  87. Visse 216 anni circa prima dell’E. V.
  88. Letteralmente la Latina; ἡ Λατίνη.
  89. Cioè: Vicino al luogo dove si fondò poi Ostia. — Notano poi gli Edit. franc. che se la città quì assegnata è Troja-Nova (Virg., lib. vii, v. 157) dovrebbe leggersi quattro stadii invece di ventiquattro.
  90. Il Siebenkees crede che tutte queste parole riguardanti il sagrificio (o le Ferie Latine) siano una interpolazione: e gli Edit. franc. notano che in un loro bel manoscritto non si leggono le parole preponendo, ecc. Il Falconer nella sua bellissima edizione (Oxonii, 1807) non fa verun cenno di questo dubbio del Siebenkees.
  91. O piuttosto: Trecento anni.
  92. I Ieromnemoni, Ἱερομνήμονες. — Rispetto al nome del grificio di cui quì si parla, sulla fede di qualche manoscritto per consiglio di molti interpreti dovrebbero intenderli i riti Ambarvali.
  93. Per rocca s’intende quì il monte Palatino.
  94. Dicevasi Suessa Pometia per distinguerla da Suessa Aurunca.
  95. Monte Circello.
  96. Leggo coi più recenti: καὶ Δημήτριος ὕστερον, τοὺς ἁλόντας, τῶν λῃστῶν ἀναπέμπων τοῖς Ῥωμαίοις, ecc.
  97. Castore e Polluce salvatori dei naufraghi.
  98. Cioè che col succo di radici veneGche tramutasse gli uomini in animali.
  99. Così la lezione comune. Secondo il Coray dovrebbe dirsi: Avvi una cittadella sacra a Circe, ed un’ara di Minerva. Gli Edit. franc. poi adottando una diversa punteggiatura traducono: Avvi una piccola città, un tempio di Circe, ed un’ara di Minerva.
  100. Terracina. Il nome poi di Trachina significherebbe aspra, montuosa.
  101. Brindisi.
  102. Buon porto, Εὔορμον.
  103. Gaeta chiamavasi la nutrice di Enea, che altri dicono invece essere stata nutrice di Crensa sua moglie o di Ascanio suo figlio. Dicesi che per molti secoli si vide in quella città un tempio sacro ad Apollo ed a Gaeta. (Edit. franc.)
  104. Leggo cogli Edit. franc. Οὐησκίνης in vece di Οὐηστίνης.
  105. Pare che dovrebbe leggersi nel golfo Vescino. (Ed. franc.)
  106. Teverone.
  107. La Nera e il Topino.
  108. La Chiana. Osservano gli Edit. franc. che questo nome Cleni o Glani fu comune a parecchi fiumi d’Italia.
  109. Cioè, descrivendo un semicerchio sul Tevere.
  110. Il monumento d’Augusto.
  111. S’intende ancora del Campo Marzio. Svetonio nella vita d’Augusto dice: Senatorum humeris delatus in Campum, crematusque.
  112. La via Appia cominciava dalla porta Capena: la Valeria da Tivoli.
  113. Clavier dice che Fabrateria (Falvaterra o Falvoterra) era situala sul Liri nominato ora Garigliano.
  114. Calvi.
  115. Sessa e Segni.
  116. Noi saremmo tentati (dicono gli Ed. franc.) di leggere non ταύτης, ma ταύταις, alludendo alle due città.
  117. Ciò accadde 125 anni prima dell’E. V.
  118. Paleslrina. Gabio ai crede che fosse presso a poco dov’ora è Castel dell’Osa. (Edit. franc.).
  119. Il Garigliano.
  120. Tivoli.
  121. Anio od Aniene si disse Teverone.
  122. I Bagni di Grotta Marozza. — I geografi poi non sono d’accordo sulla vera posizione di Ereto. (Edit. franc.)
  123. È questi il figlio di Cajo Mario; e Plutarco dice che si uccise da se medesimo.
  124. S’ignora qual sia questo fiume che Strabone qui accenna.
  125. Monte Calvo.
  126. Fra le molte maniere proposte dai commentitori per correggere il testo pare assai ragionevole quella degli Edit. franc., i quali con poche mutazioni lo ristabiliscono così: Ὑπέρκειται δ᾿ αὐτῆς (τῆς Ἀρικίας) τὸ μὲν Λανούβιον... ἐν δεξιᾷ τῆς Ἀππίας ὁδοῦ... τὸ δ᾿ Ἀρτεμίσιον, ὃ καλοῦσι Νέμος, ἐκ τοῦ ἐν ἀριστερᾷ μέρους τῆς ὁδοῦ, τῆς ἐξ Ἀρικίας ἀναβαινούσης εἰς τὴν δ᾿ Ἀρικίνην καὶ τὸ ἱερὸν. E interpretano la dizione τὴν Ἀρικίνην pel territorio d’Aricia.
  127. Il Judicello nella Sicilia.
  128. Forse dee leggersi Auximo. Certo è poi che si tratta di Osimo. (Edit. franc.).
  129. Trento.
  130. La Piomba. Adria fu poi delta Atri. — Asculo Piceno è Ascoli.
  131. Buca è una di quelle città distrutte, delle quali non può determinarsi con sicurezza la posizione. La lezione poi del testo non è qui sicura.
  132. Cioè fra Punta di Miseno (detta anche Monte Dragone) e la Punta della Campanella.
  133. Il significalo di questa parola χόνδρος non è ben noto.
  134. τῇ ζέᾳ
  135. L’Autore ha già detto che Venafro era situata sopra una collina.
  136. Cosl gli Edit. franc. rettificando il testo che dice: Le città sulla marina dopo Sinuessa sono Literno, ecc.
  137. Nel greco la probabilità di questa etimologia si fonda sulla somiglianza fra Κύμη (la città di Cuma) e κύμα flutto; come chi dicesse in italiano che Cuma deriva da schiuma.
  138. Καὶ ἐντὸς τούτου ὁ Ἄορνος. Potrebbe forse voler dire che il seno Aomo (il Lago d’Averno) è dentro il Locrino; ma l’altra spiegazione pare preferibile.
  139. Necya (νεκυῖα) od Evocazione delle ombre è il titolo che suol darai al lib. xi dell’Odissea dove Ulisse vede ed interroga le ombre dei trapassati.
  140. Luoghi Plutonii (e presso i Latini, Ostia Ditis) chiamavansi certi siti d’aria malsana, quasi che appartenessero a Plutone e fossero porte dell’inferno.
  141. Odiss., lib. xi, v. 15.
  142. Pozzuolo.
  143. Il testo che qui è mutilato riceve un sicuro sussidio dalle parole proprie dell’Autore, vol. i, pag. 55.
  144. Questo appunto significa la parola Νεάπολισ.
  145. Demarchi (da δῆμος e ἀρχή) vale capi, comandanti del popolo.
  146. Fratrie. Specie di confraternite.
  147. Trattasi della Grotta di Posilipo.
  148. Πολὺ δὲ τῷ πλήθει λειπομένους
  149. I1 vento di sud-ovest.
  150. Ciò debb’essere avvenuto quando se ne resero padroni i Romani, verso l’anno 272 prima dell’E. V.
  151. È noto che il Vesuvio cominciò poi a mandar fuoco di nuovo ai tempi di Tito.
  152. Cosi presso a poco gli Edit. franc. spiegano questo passo mollo oscuro uel greco, e sul quale può leggersi il lungo e diligente commento cb’c» 1 hanno scritto.
  153. Ora Golfo di Napoli.
  154. Ischia.
  155. Pind. Pyth. i, v. 32. Traduz. del Mezzanotte.
  156. Letteralmente: a modo di tifone, τυφωνοειδῶς.
  157. L’Isola di Capri.
  158. Brindisi. Callateria poi risponde a Galazzo. Caudio è il famoso luogo delle Forche Caudine. E Benevento conserva tuttora il suo nome.
  159. Calvi; e dovrebbe forse leggersi Καλὴς invece di Κάλκη.
  160. Εἰς τὴν δημοσίαν ἔπαυλιν
  161. Come chi dicesse: Piccoli Sabini.
  162. Cioè originarii da Pitane luogo della Laconia, e forse parte di Lacedemone stessa. (Edit. franc.).
  163. Come ai Sanniti un toro, così agl’Irpini dicevasi che fosse stato condottiero un lupo.
  164. τοῖς ἐποίκοις ὁμονοήσαντες. Il latino traduce colentes concordiam cum vicinis; ma oltre alla naturale significazione della voce ἔποικος, par evidente che qui si tratti dei coloni romani fra’ quali s’era distribuito a sorte il territorio di Capua.
  165. Il Golfo di Salerno.
  166. Il Casaubono tiene per fermo che sotto questo nome l’autore intende qui l’Ateneo, d Promontorio di Minerva.
  167. Il Sele.