Geografia (Strabone) - Volume 3/Libro V/Capitolo II

Capitolo II

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Strabone - Geografia - Volume 3 (I secolo)
Traduzione dal greco di Francesco Ambrosoli (1832)
Capitolo II
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CAPO II


Della Celtica (o Gallia) Cisalpina. — Popoli che l’abitano. – Descrizione della parte al di là del Po. — Descrizione della parte al di qua. — Lodi di tutta la Gallia Cisalpina.

È questa regione una pianura molto fertile ornata di fruttiferi colli, e divisa quasi pel mezzo dal Po; sicchè una parte dicesi Celtica al di là, un’altra Celtica al di qua del Po1. Al di qua dicesi tutta quella ch’è situata2 presso gli Apennini e la Ligustica; al di là poi la restante. E la prima è abitata da nazioni ligustiche e celtiche; da quelle nei monti, da queste nel piano: la seconda è abitata dai Celti e dagli Eneti. E i Celti di quella regione sono d’una medesima origine coi transalpini. Intorno agli Eneti poi v’ha una doppia tradizione: perocchè gli uni dicono che sono anch’essi una colonia de’ Celti abitanti lungo l’Oceano, i quali portano essi pure il nome di Eneti. Altri sostengono invece che alcuni degli Eneti di Paflagonia dopo la guerra troiana salvaronsi in questo luogo sotto la guida di Antenore: e ne recano in prova l’amore con cui attendono ad educare cavalli. Questo studio è al presente quasi spento del tutto, ma una volta era tenuto in pregio, in conseguenza dell’antico zelo dei [p. 11 modifica]loro maggiori nell’allevare i muli; di che anche Omero fa menzione dicendo:

Dall’Eneto paese ov’è la razza
Dell’indomite mule3.


Anche Dionigi tiranno di Sicilia v’instituì un luogo dove si allevassero cavalli destinati a’ pubblici giuochi; di modo che poi ne venne anche fra’ Greci la fama degli eneti puledri, e quella razza fu lungamente in onore.

Tutta la Celtica al di là del Po abbonda di fiumi e di paludi, ma principalmente la parte occupata dagli Eneti; nella quale poi si aggiungono anche gli accidenti del mare. Perocchè quasi soli que’ luoghi, in tutta l’estensione del nostro mare, soggiacciono al flusso e al riflusso come i paesi posti lungo l’Oceano; d’onde poi la maggior parte della pianura è piena di laghi marini. Quindi di canali e di argini si provvedono gli abitanti, come si fa nel Basso Egitto; e così il paese in parte si asciuga e si coltiva, in parte è navigabile. Delle città poi alcune sono isole, alcune son circondale dall’acqna soltanto in parte: e quelle che stanno al di là delle paludi nella terra ferma hanno fiumi che si possono rimontare fino ad una mirabile altezza. Fra questi è da notare principalmente il Po, il quale è grandissimo per sè medesimo, e spesse volte si gonfia per le piogge e per le nevi: quando poi è vicino a metter foce, si diffonde in molte parti, sicchè la sua bocca a stento si [p. 12 modifica]discerne, e l’entrarvi è malagevole; se non che la pratica vince anche le cose difficilissime.

Anticamente adunque, come già dissi, la sponda di questo fiume era abitata da moltissimi Celti. Le maggiori fra le celtiche nazioni erano quelle de’ Boj e degli Insubri, e quei Senoni i quali, insieme coi Gesati, corsero un tempo sopra la città di Roma e se ne impadronirono4. Ma i Romani poi li distrussero pienamente; e discacciarono i Boj dalle loro sedi. Questi allora essendosi tramutati alle vicinanze dell’Istro, abitarono insieme coi Taurisci e fecero guerra ai Daci finchè tutta la loro gente non rimase distrutta, lasciando a’ circonvicini quella parte d’Illiria ch’essi occupavano e ch’è tanto doviziosa di pascoli. Gl’Insubri invece sussistono tuttavia: e la loro metropoli è Mediolano5. Anticamente fu un borgo (perocchè allora abitavano tutti in borgate); ma ora è una ragguardevol città, situata al di là del Po, e quasi in contatto colle Alpi. Ivi presso è anche Verona, città grande essa pure; e Brescia, Mantova, Reggio6 e Como, minori di quelle due. E fu Como una mediocre abitazione: ma Pompeo Strabo, padre del gran Pompeo, la ripopolò dopo che i Reti abitanti al di sopra di essa l’avevano disertata; poscia Caio Scipione vi condusse anch’egli circa tre mila [p. 13 modifica]persone; ed all’ultimo il divo Cesare ve ne aggiunse ben cinque mila, fra’ quali i più illustri furono cinquecento Greci. A costoro egli diede il diritto della cittadinanza, e gl’inscrisse nel novero dei coabitanti: nè solamente si stabilirono essi in quel luogo, ma diedero anzi alla città il nome che porta al presente: perocchè tutti gli abitanti si dissero al pari di loro Neocomensi (Nuovi borghigiani): e interpretando questa parola si fece il nome di Novocomum7. Vicino a questa città è il lago detto Lario, a cui somministra le acque il fiume Adua8, che mette poi foce nel Po. Le sue sorgenti sono nel monte Adula, d’onde scaturisce anche il Reno.

Queste città sono situate molto al di sopra delle maree già dette, alle quali è per lo contrario vicina Patavio9, bellissima fra tutte le città di quella regione, dove si dice che nell’ultimo censo furono annoverati cinque cento cavalieri; e anticamente soleva mandar fuori ben cento e venti mila soldati. E la quantità delle [p. 14 modifica]merci ch’essa manda al mercato di Roma, principalmente di stoffe per abiti d’ogni maniera, attesta la molta popolazione di quella città e la sua agiatezza. Si ascende dal mare a Patavio navigando pel corso di duecento cinquanta stadii a ritroso di un fiume che attraversa le maree già mentovate, partendosi da un gran porto situato alla sua foce. E questo porto del pari che il fiume chiamasi Medoaco10.

Fra le città poi situate nelle paludi la maggiore è Ravenna, tutta fabbricata di legno11 e attraversata da correnti d’acque, sicchè vi si cammina o sopra ponti o sopra barche che servono a tragittar pei canali. Quando gonfiasi la marea questa città riceve dentro di sè non piccola parte di mare; ed essendo così da queste acque e dai fiumi spazzato via tutto quanto vi ha di fangoso, l’aria per sè stessa cattiva ne rimane per così dir medicata; e quel luogo è perciò tanto salubre, che i principi ordinarono di nutrirvi ed esercitarvi i gladiatori. Ha pertanto quel paese questa mirabile particolarità, che in mezzo alle paludi l’aria vi è nondimeno senza infezione; come avviene ad Alessandria d’Egitto, dove in tempo di state, il lago perde il suo cattivo effluvio pel gonfiarsi del fiume che nasconde sotto di sè i luoghi palustri. Ma è mirabile eziandio la natura della vite in que’ paesi; perocchè alligna nelle [p. 15 modifica]paludi, e cresce celeremente, e porta abbondevole frutto, ma si consuma poi in quattro o cinque anni.

Anche Altino12 è situata nelle paludi, in una posizione somigliante a quella di Ravenna. Fra mezzo trovansi Butrio castello di Ravenna, e Spina che ora è un borgo, e anticamente fu una ragguardevole città ellenica. Però in Delfo suol farsi vedere il tesoro degli abitanti di Spina, ed altre cose sogliono raccontarsi intorno ad essi, siccome d’un popolo stato una volta potente in mare. E dicono che anticamente questa città era situata lungo il mare; ma ora è invece dentro terra, e distante dal mare circa novanta stadii. Rispetto a Ravenna è fama che la fondassero i Tessali; i quali non potendo poi comportare le insolenze dei Tirreni, ricevettero volentieri fra loro alcuni Umbrii, che occupano tuttora quella città; ed eglino, i Tessali, se ne tornarono alle loro sedi di prima. Queste città adunque sono circondate nella maggior parte della loro periferia dalle paludi, per modo che ne sono anche qualche volta innondate. Ma Epiterpo, Concordia, Atria ed Ucezia13, ed altre consimili cittadelle souo manco soggette alle paludi, e comunicano col mare per mezzo di piccoli canali. E dicono che Atria fu un’illustre città, tanto che da quella venne il nome al golfo Adriatico colla mutazione di una sola lettera. [p. 16 modifica]

Aquileia, che più d’ogni altra è vicina all’ultimo recesso del golfo, la fondarono i Romani, e fortificaronla contro i Barbari abitanti nelle parti superiori. Si naviga alla volta di questa città rimontando il fiume Natisone per lo spazio di circa sessanta stadii; e serve d’emporio a quelle fra le nazioni illiriche che abitano lungo l’Istro, le quali vi portano le produzioni marine, e il vino che mettono in botti di legno su carri, e l’olio: e i Romani vi conducono schiavi, pecore e pelli. Questa città d’Aquileia è situata fuor dei confini degli Eneti, ai quali serve di limite un fiume ch’esce delle Alpi e che può navigarsi contro la sua corrente ben settecento stadii fino alla città di Norea, presso la quale Gneo Carbone si scontrò coi Cimbri, e ne fu superato14. Quella regione ha miniere d’oro e d’argento abbondevoli e facili ad essere lavorate.

Nel fondo poi del golfo Adriatico evvi Timavo, luogo consacrato a Diomede, e degno che se ne faccia menzione: perocchè ha porto, ed un bosco bellissimo, e sette fontane di acqua buona da bere, la quale cade assai presto nel mare, dopo essersi unita a formare un largo e profondo fiume. Ma Polibio dice che, fuori una sola, tutte queste fontane sono di acqua salata; e che perciò poi gli abitanti chiamano quel luogo sorgente e [p. 17 modifica]madre del mare. E Posidonio afferma che il fiume Timavo, disceso dai monti, si getta in un baratro, discorre ben cento trenta stadii sotterra, poi si apre un varco vicino al mare.

Della signoria poi avuta da Diomede intorno a quel mare fanno testimonianza le isole Diomedee15, e quello che si racconta dei Daunii e d’Argo Ippio; de’ quali luoghi noi pure diremo solo quel tanto che può tornar utile alla storia, perocchè le molte altre cose, che si dicono favoleggiando e mentendo, conviene affatto lasciarle. Di cotal genere è per esempio quello che raccontano di Fetonte e delle Eliadi cambiate in pioppi lungo l’Eridano; il qual fiume non si ritrova in nessuna parte della terra, e nondimeno si spaccia come vicino al Po16. E lo stesso dicasi anche delle isole Elettridi che si descrivono situate rimpetto al Po, e dei Meleagridi che in quelle abitavano: perocchè nulla di queste cose si trova in que’ luoghi. Alcuni poi raccontano che presso gli Eneti fu stabilita una specie di culto a Diomede, sagrificandosi a lui un cavallo bianco; oltrechè si mostrano due boschi, l’uno di Giunone Argiva, l’altro di Diana Etolica, e v’aggiungono al [p. 18 modifica]solito favoleggiando, che dentro que’ boschi le fiere sono mansuete ed i cervi s’aggreggian coi lupi, e si lasciano accostare e toccare dagli uomini; e che gli animali cacciati dai cani, qualora giungano a gittarsi là dentro, non ne sono più inseguiti. E narrasi che un tale, conosciutissimo ed anche beffato in que’ luoghi perchè soleva entrare spesse volte mallevadore per gli altri, s’abbattè un giorno in alcuni cacciatori i quali ne menavano avviluppato nelle reti un lupo. E dicendogli costoro che s’egli volesse fare malleveria pei danni del lupo essi lo scioglierebbero dalle reti, egli acconsentì alla proposta: e il lupo così liberato cacciò alla stalla del suo mallevadore un buon armento di cavalle sulle quali non appariva alcun marchio impresso col fuoco17. D’onde poi quel tale, così rimeritato, stampò sulle cavalle l’immagine di un lupo e le denominò lupifere; ed erano di celerità e bellezza singolare. E i suoi discendenti conservarono sempre quel marchio e quel nome; nè mai vollero vendere alcuna delle loro cavalle, acciocchè ad essi soli appartenesse quella razza genuina, la quale divenne illustre in que’ luoghi. Ma oggidì, come abbiamo già detto, quelle genti abbandonarono affatto l’amore e la cura dei cavalli.

Al di là del Timavo è una spiaggia marittima che si stende fra gl’Istrii infino a Pola, èd è congiunta [p. 19 modifica]all’Italia. Nel mezzo sta il castello Tergeste18 a cento ottanta stadii da Aquileia. Ed è la città di Pola situata in un golfo formato a somiglianza di un porto, con alcune isolette comode per approdarvi e fertili. La fondarono anticamente i Colchi spediti a raggiunger Medea, i quali non essendo riusciti nell’impresa loro affidata, si condannarono da sè medesimi all’esilio, e (come dice Callimaco) diedero a quel luogo il nome di Pola, che in greco si tradurrebbe città degli esuli.

Le varie parti adunque situate al di là del Po le abitano gli Eneti e gl’Istrii fino a Pola. E al di sopra degli Eneti sono i Carnii, i Cenomani, i Medoaci ed i Simbri19. Alcuni di costoro furon nemici dei Romani, ma i Cenomani e gli Eneti si collegarono invece con quelli, così prima della guerra di Annibale (allorchè guerreggiarono contro i Boj ed i Simbri) come anche dopo. I popoli poi abitanti al di qua del Po tengono tutto il paese circondato dai monti Apennini e dalle Alpi fino a Genova ed ai così detti Vada Sabbatorum20; e sono i Boj, i Liguri, i Senoni e i Gesati per la maggior parte. Essendo poi discacciati i Boj e distrutti i Gesati e i Senoni, rimasero le tribù Ligustiche e le colonie dei Romani. Con questi si frammischiò anche una tribù di Umbrii, e in qualche luogo anche di Tirreni. Perocchè tutte e due queste nazioni, prima [p. 20 modifica]che i Romani diventassero così potenti, gareggiaron fra loro di maggioranza; ed essendo separate soltanto dal fiume Tebro, facilmente il varcavano l’una a danno dell’altra. E se qualcuna di queste popolazioni faceva una spedizione fuori del proprio paese contro chi che si fosse, l’altra studiavasi di non rimanere addietro, e voleva cacciarsi anch’essa nel paese assalito. I Tirreni pertanto mandarono una volta un esercito contro i barbari che abitavano intorno al Po, e v’ebbero qualche vantaggio. Datisi poi a vivere mollemente ne furono in breve scacciati; e allora gli Umbrii inviarono un esercito contro coloro dai quali i Tirreni erano stati espulsi. Col tempo questi due popoli vennero poi a contesa per que’ luoghi, e vi posero molte colonie: ma quelle degli Umbrii furono in maggior numero, perchè erano più vicini. Finalmente i Romani impadronitisi di que’ paesi mandaronvi in più parti colonie, conservando per altro anche quelle che già vi s’erano stabilite prima: ed anche al presente, sebbene sieno tutti Romani, nondimeno alcuni si dicono Umbrii e Tirreni, altri Eneti, Liguri ed Insubri.

Al di qua del Po, e lungo anche quel fiume vi sono alcune città illustri. Piacenza e Cremona vicinissime fra loro stanno quasi nel mezzo di quella regione: e fra queste ed Arimini sono Parma, Mutina e Bononia21 che già s’accosta a Ravenna; ed anche fra queste trovansi altre cittadelle minori, alcune delle quali sono situate sulla strada di Roma, come a dire Acerra, Reggio [p. 21 modifica]Lepido22, e Macri Campi dove si celebra ogni anno una fiera, Cliterno e Foro Cornelio23. Faenza e Cesena situate lungo l’Isapi ed il Rubicone s’avvicinano già ad Arimini. Ed è Arimini una colonia degli Umbrii, come anche Ravenna: e l’una e l’altra ricevettero poi coloni romani. Arimini ha un porto ed un fiume cbe hanno lo stesso suo nome; ed è distante da Piacenza mille e trecento stadii. Al di sopra di Piacenza verso i confini degli Stati di Cozzio, alla distanza di trentasei miglia è la città di Ticino24 con un fiume dello stesso nome che l’attraversa e va a gettarsi nel Po: quindi chi esce alcun poco di via trova Clastidio, Dertona, Aquae-Statiellae25. Ma la strada diritta fino ad Ocello, lungo il Po e la Dora, è piena di precipizii, e intersecata da molti altri fiumi (fra i quali è anche la Druenza), e si stende per lo spazio di circa sessanta miglia. Quivi poi cominciano i monti delle Alpi e la Celtica.

Presso alle montagne situate al di sopra di Luni sta Lucca. Alcune popolazioni di quelle parti abitano in borgate; ma nondimeno il paese è ben popolato, e se ne trae la maggior parte delle milizie, e gran numero [p. 22 modifica]anche di cavalieri, de’ quali il senato medesimo si compone26.

Dertona è una città ragguardevole situata nel mezzo della via da Genova a Piacenza, e distante da entrambe quattrocento stadii. Lungo quella medesima via trovasi anche il paese detto Aquae Statiellae. Da Piacenza ad Arimini già s’è descritta la via: per andare poi a Ravenna navigando sul Po, il viaggio è di due giorni e due notti.

Anche molta parte della Celtica al di qua del Po era coperta da paludi, per le quali Annibale passò a stento andando verso la Tirrenia: ma Scauro asciugò quelle pianure raccogliendone le acque in canali navigabili da Piacenza fino a Parma; perocchè la Trebbia ch’entra nel Po dopo Piacenza, ed anche prima di quel punto parecchi altri fiumi che vi si scaricano, lo ingrossano oltre misura. Questo Scauro è quel medesimo che fece la via Emilia, la quale attraversando Pisa e Luni va fino ai Sabazii, e di quivi fino a Dertona. Avvi poi un’altra via Emilia, la quale è una continuazione della Flaminia. Perocchè furono colleghi nel consolato Marco (Emilio) Lepido e Caio Flaminio; e dopo avere debellati i Liguri, l’uno di questi due consoli fece la via Flaminia che va da Roma fino ai dintorni di [p. 23 modifica]Arimini attraversando la Tirrenia e l’Umbria; l’altro quella che da Arimini va fino a Bologna e poi fino ad Aquileia lungo le radici delle Alpi e costeggiando le paludi.

I confini, da cui questa regione che noi chiamiamo Celtica cisalpina è separata dal restante d’Italia, erano una volta quella porzione del monte Apennino che già mostrammo imminente alla Tirrenia, ed il fiume Æsis; più tardi invece fu il Rubicone27: e tutti e due questi fiumi mettono foce nell’Adria. Della bontà di questi luoghi sono indizio così la molta popolazione, come la grandezza e la ricchezza delle città; pel che i Romani ch’ivi abitano sono superiori a tutto il restante d’Italia. Perocchè la terra che quivi coltivasi produce in gran copia frutti di ogni maniera; e le selve abbondano tanto di ghiande, che delle mandre di porci ivi allevate si nutre la maggior parte della cittadinanza di Roma. È anche notabilmente ferace di miglio per essere abbondevole d’acqua: e questo è grandissimo preservativo dalla carestia; perocchè il miglio resiste a tutte le mutazioni dell’aria, nè manca giammai, quando bene vi sia penuria d’ogni altro grano. V’è anche in quelle contrade una mirabile quantità di pece. Dell’abbondanza del vino fan testimonio le botti, le quali sono di legno28 [p. 24 modifica]e più grandi di case. La gran copia della pece fa sì che la sia di poco prezzo. I luoghi d’intorno a Mutina ed al fiume Scutana29 producono lana molle e molto più bella d’ogni altro sito: ma la Ligustica ed il paese dei Simbri la producono invece ruvida; e di questa poi fansi gli abiti casalinghi della maggior parte degl’Italiani. Finalmente i paesi vicini a Padova la producono mediocre; della quale si fanno i tappeti preziosi, i gausapi30 e tutte le altre stoffe consimili con amendue le superficie villose o con una sola. Le miniere non vi sono oggidì curate gran fatto, forse perchè si trovano più proficue quelle che sono nella Celtica transalpina e nell’Iberia; ma una volta si lavoravano con diligenza. E v’ebbe già tempo una cava d’oro anche a Vercelli, ch’è un borgo vicino ad Ittimuli: ed anche Ittimuli è un borgo, e tutti e due sono nei dintorni di Piacenza31. Fin qui pertanto ci siamo aggirati descrivendo la prima parte dell’Italia.

  1. La Gallia Traspadana e la Gallia Cispadana dei Romani.
  2. Gli Edit. franc. aggiungono per più chiarezza: situata sulla destra del Po.
  3. Il. lib. II, v. 852.
  4. Credesi che Strabone confonda in una due diverse spedizioni dei Celti o Galli.
  5. Milano.
  6. Non pare possibile che Reggio (Rhegium Lepidum) sia mai stato parte della Gallia Transpadana dei Romani. Quindi gli Edit. franc. credono che debba forse leggersi Bergamo.
  7. A molte difficoltà va soggetto in questo luogo il testo di Strabone. Le principali sono: 1.° Se il diritto di cittadinanza fu da Cesare impartito a tutti, o solo ai 500 Greci; giacchè le parole del testo parrebbero quasi accennare quest’ultima opinione: 2.° Se questi Greci fermarono la loro stanza nel luogo ov’è Como, o l’abbandonarono (οὐ μέν τοι ᾤκησαν αὐτόθι). L’interpretazione degli Edit. franc. mi parve più conforme di tutte così alla grammatica, come all’opinione degli storici più accreditati.
  8. L’Adda. Il monte onde nasce ora chiamasi Braulio.
  9. Padova.
  10. Probabilmente il porto di Malamoco all’imboccatura del Brenta, che gli antichi denominarono Medoacus major.
  11. Ξυλοπαγὴς ὅλη. Gli Edit. franc. spiegano: Toute bâtie sur pilotis.
  12. Secondo il Filiasi questa città era posta nel luogo detto poi Motte di Altino, nelle maree di Zoccarello e di Montirone.
  13. Qualche manoscritto in luogo di Οὐκέτια legge Οὐἲκεντια, Vicenza.
  14. Οὐδὲν ἔπραξε: Letteralmente: non riportò alcun vantaggio. Ma sappiamo dalla storia che Carbone fu disfatto: perciò gli Edit. franc. stanno in forse se debba intendersi di Gneo Carbone o di Q. Lutazio Catulo e de’ suoi pochi progressi contro i Cimbri prima di essersi unito con Mario.
  15. Le Isole Tremiti in faccia al Monte Gargano. Dei Daunii e d’Argo Ippio si troverà parlato più sotto.
  16. Comunemente si crede che Eridano e Pado (Po) fossero due nomi di uno stesso fiume: ma qui par che si accenni una diversa tradizione. E il P. Bardetti dice che l’Eridano potè essere l’Eretano, il quale scorreva presso Vicenza e si gittava poi nel Po.
  17. Ἵππων ἀκαυτηριάστων. Secondo l’usanza praticata spesso anche oggidì, di stampare sulla coscia dei cavalli un qualche segno che ne dinoti il padrone.
  18. Trieste.
  19. Molte opinioni si trovano intorno a questo nome di Simbri, il quale è probabilmente una corruzione della voce Insubri.
  20. Ora Vada.
  21. Modena e Bologna.
  22. Questo luogo conferma l’osservazione fatta a p. 12, nota 3.
  23. Cioè: Quaderna ed Imola. Non è poi ben conosciuto dove fossero veramente Acerra e Macri Campi. L’Isapi dicesi ora Savio. Rispetto al Rubicone, i più lo rappresentano nel Fiumicino, ma non è opinione sicura.
  24. Pavia.
  25. Chiasteggio, Tortona ed Acqui.
  26. L’espressione del testo è: ἐξ ὧν καὶ ἡ σύγκλητος λαμβάνει τὴν σύνταξιν. La versione latina dice: E quibus et senatus legiones constituit. Notano poi il Casaubono, il Cluvier ed altri che queste parole spettanti a Lucca paion essere fuori di luogo, e che dovrebbero trasportarsi dopo la descrizione della Liguria di cui Strabone parlerà di qui a poco.
  27. Al fiume Æsis corrisponde il Fiumesino o Fiumicino, come suona la voce stessa. Ma se l’Æsis e il Rubicone erano due fiumi bisognerà cercare quest’ultimo fuori del medesimo Fiumesino.
  28. Di legno. A differenza dei Greci che usavano solo vasi di terra.
  29. Probabilmente il Panaro.
  30. Pare che questo o consimil nome (giacchè alcuni leggono Gaunacchi) si desse ad una stoffa consistente e villosa della quale facevansi tappeti per mense e per letti, ed anche abiti.
  31. Poco ci dicono gl’interpreti intorno al vero luogo d’Ittimuli; alcuni anzi dubitano se mai siavi stato paese di cotal nome. Nondimeno parla delle miniere d’Ittimuli nel territorio di Vercelli anche Plinio. Bensì è da dire cogli Edit. franc. che bisognerebbe sostituire qualche altro nome a quel di Piacenza.