Filli di Sciro – Discorsi e appendice/Filli di Sciro/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Serpilla, Clori.
Serp.Non posso più: deh qui ti posa omai,
e dل qualche respiro,
se non al core, al piede almen.
Clori.Posiamci
ove a te pare: ad ogni modo in vano
quinci e quindi m’aggiro.
Non c’è monte né colle,
aura non c’è ned ombra
che ? mio dolor consoli.
Non c’è luogo al mio scampo, ed ogni luogo
a tormentar m’è buono.
Ecco appunto ove nacque il mio dolore:
là rividi il crudel, qui ? riconobbi;
qui fui lieta, e repente
ad un colpo di voce
qui, in questo luogo appunto,
qui ricaddi infelice; e fu si ratto,
ahi lassa, il precipizio,
ch’omai per me la morte
esser non puٍ che neghittosa e tarda.
Serp.D’amor e di fortuna
miseri avvenimenti
da me più non uditi
tu m’hai narrati, o figlia.
G. Bonarelli, Filli di Sciro.
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FILLI DI SCIRO
Non è perٍ ? tuo stato or, quai tel fingi,
senza speme e conforto,
che, se ben dritto miri,
Niso, costui che Tirsi
or mi di’ che si noma,
egli è pur tuo, né fia possanza umana
che tei ritoglia. Indissolubil nodo
strinse fra voi la fede;
e ben si puٍ talor porre ’n oblio
l’amor, ma non la fede:
la fé, cui Giove ha scritta
con la sua man folgoreggiante in cielo.
Clori.Ma, lassa, a me che pro?
Senza G amor la fede
è fune de la mano,
non è laccio del core. In questa guisa
troppo è duro il suo nodo:
per me sciolgasi pure. Ah lungi, lungi
da me la man che non mi porge il core!
No, no: vedi, Serpilla,
poich’io non ho ? suo amor, la fé non cheggio.
Serp.Anzi tempo disperi.
Tirsi morta ti crede, ond’a ragione
nel giovanetto sen poté raccorre
altra fiamma d’amore, e senza ingiuria
de la beltà, ch’estinta
fors’ha creduta, e pianta.
Ma quando ei vedrà pur che tu se’ viva,
ravviverassi il suo primiero ardore.
Clori.Ardor, cui spegner puote un lieve soffio
d’imaginata morte, oimè, Serpilla,
è ben languido ardore, ardor, di cui
poco o nulla mi caglia
s’è’ si ravvivi o mora.
Anch’io credei lui morto, e pure, schiva
d’ogni altro amore, amai
quell’estinta beltade,
quell’ossa incenerite,
e sotto ? cener loro
serbai vivo il mio foco.
Ben tu ? sai, che sovente
vedesti, e te ne ’ncrebbe,
il mio talento in ombra.
Non puٍ dunque, non puote
la mia creduta morte
farmi parer men grave
o la sua colpa o la mia pena. Ahi lassa,
egli è ’nfedele, egli è ’nfedele, ed io
sono infelice! Omai
non ha scusa il suo error, non ha riparo
il mio tormento. Ahi, dunque
che debb’io far, che mi consiglia (amore
non dirٍ, no, ch’amore
contra l’infedeltà perde ? consiglio)
che mi consiglia il mio furore? il mio
disperato furore?
Serp.Figlia, vien meco, o lascia
ch’i’ vada a trovar Tirsi.
Vo’ ch’ei ti riconosca,
vo’ vedergliti a fronte.
Udrem ciٍ ch’ei ne dica;
prenderem poi consiglio.
Clori.Ch’ei mi riveggia? Ahi non ho tant’ardire!
Sento che mal sicuro
avanti agli occhi suoi sarà ? mio sdegno,
il mio sdegno, che pur a mia salute
convien ch’io serbi intero.
Ah non più, non più mai!
Serp.Sí, vo’ ben io
ch’ei ti riveggia (e tu negar noi dèi),
se non per tuo conforto,
almen per suo tormento.
Or vo. Ma Tirsi a casa
d’Aminta alberga; quinci
è più breve il sentiero.
Tu fa’ ch’a le tue case io ti ritrovi,
o quivi sappia almen ove sie gita.
Clori.Sí, sí, va’ pur felice.
Serp.(Deh s’io potessi trar ad un sol colpo
Celia e Clori d’impaccio!)
Clori.Saprai u’ sarٍ gita;
ma ben saprai ch’i’ sarٍ gita a morte.
Sento ben io dov’il dolor mi mena.
Tirsi più non vedrammi.
Per me non e’ è conforto,
per te non vo’ tormento:
che, qual tu pur ti sie perfido e crudo,
è forza, oimè, ch’io t’ami.
Io t’amo, e se per altro
non t’è caro ? mio amor, caro tí fia,
perché ? mio amor sarà la morte mia.
O Tirsi, o Tirsi ingrato,
Filli che per te nacque,
Filli che per te visse,
Filli per te si muore!
SCENA II
Niso.
Odo ? nome di Filli?
Deh par ch’ad ora ad ora
fieramente da l’aria
mi rimbombi nel cor! Ma donde viene
questa mentita voce,
ch’a le sue fiamme antiche
le ceneri del core
altamente richiama?
Se’ tu forse, o di Filli
ombra serena e bella,
se* tu, che quinci intorno
senza riposo errante
al cor mi ti ravvolgi?
Lasso, da me che puoi voler? Tu sai
che dopo la tua morte
altro a me non rimase
che lagrime e sospiri.
Se ti giova ch’io pianga,
potrai ben, finch’io viva,
rinovar a tua voglia
de le lagrime mie, de’ miei sospiri
ricca pompa funèbre. Or prendi queste
calde lagrime amare,
questi sospiri ardenti :
ad Amor li consacro, a te gli spargo.
Rimanti, ahi lasso! in pace.
SCENA III
Aminta, Niso.
Amin.(Egli è pur solo.) E con cui parli, o Niso?
Niso.Parlo con l’ombre, Aminta. Ahi non so come
la dolente memoria
di quel mio primo ed infelice ardore
or nel mio nuovo incendio,
quando pur men dovrebbe,
or più che mai si rinovella; e mentre
questo e quello ad un tempo
ciascun vuoi che per sé pianga e sospiri,
s’ingorgano le lagrime,
confondons! i sospiri, e ? cor vien meno.
Amin.Omai cotesto core
fra tanti ardor, fra tanti incendi sembra
il focolar d’Amore. Oh miserello!
Ove Celia balena, una favilla
non basta dunque a folgorar un core,
senza ch’Amor poi tenti
trar da spenta beltà cieche fiammelle?
non è morta colei (se ben rimembro)
ch’or il tuo duol ravviva?
Niso.Mori ch’era fanciulla: in oriente
andٍ a l’occaso il mio bel sol nascente.
Ella mori fanciulla:
e se poscia talor altra beltade,
e forse anco ver me (qual tu mi vedi)
non ritrosa beltà m’offerse Amore,
tosto, per non vederla, in altra parte
gli occhi rivolsi o li coprii col pianto.
Sol di Celia poteo
la nemica beltade
quel che d’altrui non fece
l’amorosa beltà: né so già come
schermo o fuga non v’ebbi.
Cosi di nuova fiamma,
senza punto allentarsi il primo ardore,
il cor mi si raccese,
onde Fillide i’ piango,
Celia sospiro: quella
ho già perduta, questa
non avrٍ mai: e fieno (or ben mei veggio)
vani i sospiri e ? pianto.
Amin.Omai soverchio,
mentre ti lagni, il tuo dolor s’inaspra.
Parliam d’altro. Il capraio,
col qual perciٍ rimasi
nel bosco favellando,
di Clori o di Nerea
ATTO QUARTO
non mi sa dar novella.
Niso.Ed in qual parte omai potrem seguirle?
Amin.Senz’orma e senza traccia,
che più seguirle a caso? G son già stanco.
Meglio è che ’n questo luogo, ove si scopre
da lungi ogni cammino,
appiè di que’ be’ faggi
riposando, veggiam se quinci intorno
appariranno, mentre
l’aura con fresca mano a l’arsa fronte
il sudor ne rasciuga.
Niso.Andiam. Ma che vegg’ io?
là entro in riva al bosco,
fra quegli sterpi e ? tronco?
Amin.Ninfa sembra a le vesti.
Oh ella è Celia: mira
quella gonna d’azzurro,
que’ coturni d’argento,
quell’arco d’oro. È Celia,
che giace a l’ombra; è dessa.
Niso.Deh Celia a l’ombra giace!
Vegna chi veder vuole ،
giacer a l’ombra il sole. [
Amin.Di’ pian, che dorme. 1
Niso.E dorme?
Oh se per me pietoso
(non dico uomini o dèi)
oh se per me pietoso
un sogno, un’ombra almeno,
or che dorme secura e non sen guarda,
gisse colà davanti
a quell’anima cruda, effigiando
- l’addolorato Niso
con isquallide labbia,
in atto di morir chiederle aita!
Chi sa? Ben per me provo
fra l’ombre anco de’ sogni
destarsi amor dormendo.
Misero, a che son giunto or, quand’io credo
le mie speranze a’ sogni ?
Ma che? potrٍ pur una volta almeno
rimirar non fugace il suo bel volto.
Amin.(Ed io, lasso, ad ogni ora
odo le altrui, e debbo
tacer le proprie pene!
Ma taccio, perch’i’moro. A l’ultim’ore
non grida, no, chi muore).
Niso.Per ogni lato i’ miro,
e non iscorgo il viso. Or vedi, Aminta,
quel fronduto cespuglio?
Par ben ch’amante anch’egli ingordo stenda
. le ramora spinose
\ ad involar quelle vermiglie rose.
O rivale importuno,
non fia che la tua branca,
benché di spine armata,
il mio ben mi contenda.
Amin.Va’ pian, che non la desti.
Niso.Oimè, vicino al mio bramato foco
or tutto agghiaccio e tremo. Oh meraviglia!
cosi vien che si tema
la beltà che s’adora? G non ardisco;
invisibili strali
par ch’indi Amor saetti.
Ma tu, che non paventi
saettume d’Amor, tu vanne ardito,
e ? suo bel viso mi discopri.
Amin.Or vado.
(Ma non a lieve impresa,
com’ei si crede.)
Niso.Aminta,
Aminta, eh non t’accorgi
che ? pie tremando segna
l’orme incerte e ritrose?
Ferma, ferma, che ? volto impallidito
ridice il tuo timore. E pur non ami :
or dond’è’l tuo spavento?
Amin.Certo io noi so. Ma forse
qualche nume del cielo è qui disceso
a custodir l’addormentate membra.
Niso.Se maggior nume ha ? cielo
che la stessa beltà di quel bel volto.
SCENA IV
Narete, Niso, Aminta.
Nar.Ma ve’, Silvan, che ? capro
non ti fugga di man, se tu pur vuoi
dar la vita a Filin con le tue mani.
Amin.Egli è Narete.
Nar.E di’ lui che volando
riporti a Celia omai de l’amor suo
la felice novella.
Niso.Ahi, che novella?
che amor? che Celia? Or tu non odi, Aminta?
Amin.Taci, taci. — Ti salvi il ciel, Narete.
Ma che liete novelle
hai per Celia d’amor?
Nar.Che l’amor suo,
il suo bel capro è vivo.
Amin.Ah, ah!
Niso (Respiro!)
Amin.Quel capro che Filin già d’ogn’intorno
con si vezzose lagrime piangendo?
Nar.Morto ? credea ? fanciullo; e saria morto,
se tratto a le sue strida
non v’accorrea Narete;
perch’egli avea pasciuto
d’un’erba velenosa,
che con mortale inganno
prima addormenta e poscia
gli addormentati ancide,
s’avanti che ? velen giunga nel core
non vengono bagnati,
si che, ne lo spruzzar percosso il volto,
da l’abisso del sonno
la vita si richiami.
Ond’io, cui nota è l’erba,
a l’acqua corsi, ed inaffiando il capro,
bello e vivo nel trassi.
Ma voi colà, figliuoli,
ch’andavate guatando?
qualche fiera al covile?
Niso.O Narete, una fiera
(dirol, né fia ch’io’l taccia
a te, perché se’ veglio,
che fra le nevi ancor di bianche chiome
saprai aver pietate
dei giovanili ardori),
giace una fiera qui, del basilisco
più fera e più mortai, poiché se quello
sol mirando avvelena,
questa mirando e non mirando ancide.
Ed ora appunto, ah vedi
ch’ella dorme ed io moro!
Nar.La veggio, e riconosco
la fiera e’1 suo velen: foss’io pur buono
a dar aita, quanto
ho di pietà! Figliuolo,
son vecchio, ma rammento
la propria giovanezza,
e l’altrui non invidio.
Niso.S’altro non puoi, deh vanne;
prova ancor tu se la tua man, quantunque
per vecchiezza tremante,
ha forza infra que’ pruni
di scoprir il bel volto,
che noi si dolce impresa
abbiam tentata in vano,
poich’indi i’ non so quale
spira virtù segreta,
ond’appressando il piede
torpe la mano, e l’alma
fin entro al cor s’agghiaccia.
Nar.Oh di maga beltate opra d’incanto!
La donnesca beltà, se noi sapete,
è la maga del cielo, ond’egli ’n terra
sue meraviglie, e le più grandi, adopra.
E quell’ardor, quel gelo,
quell’ardir, quella tema,
onde, com’a lei piace, affrena o sferza
il core ammaliato,
tutti son pur effetti
de l’alta sua magia,
contra la qual non giova
carme, pietra ned erba.
Appena vai talora
d’una rugosa pelle
cotta al sol di molt’anni
portar coperto il volto.
Ond’ io, che ben armato
men vo di voi più forte,
trarrٍ fors’anco a fine
la per voi male incominciata impresa.
Amin.Va’ pur dunque.
Nar.Attendete.
Niso.Ascolta, ascolta.
Guarda che non la svegli,
perché tu la vedresti
come un lampo sparire; e dietro a lei
si veloce il mio cor n’andrebbe, ch’io
non le potrei pur dir:—Mio core, addio!
Nar.Or voi vi state ascosi,
che bench’ella si desti,
quando pur voi non veggia,
per me non fuggirassi.
Amin.Odi, odi.
Nar.Il ciel m’aiti.
Amin.Pon cura che, movendo
que’ vepri, non le punga un qualche spino
la tenerella gota.
Nar.Or tu mi sembri
più di lei tenerello.
Vatten, rimira e taci.
Niso.Eccolo giunto.
Or la discopre. Ah par che quella mano,
mentre si muove intorno a quel bel volto,
mi solletichi ? core.
Nar.Oimè! pastori,
o pastori, correte,
correte, oimè, che Celia,
se non è morta, muore!
Amin.Ahi!
Niso.Ahi, Celia muore?
Nar.Non è già qui d’intorno ombra ch’adduggi.
Niso.O Celia, o vita mia!
Amin.Ma non ho tanto core,
non ardisco mirarla.
Niso.Deh non rispondi, o Celia?
Nar.Sbranca, Niso, que’rami:
fuor di questi cespugli
vo’ trarla in qua su l’erba.
Amin.Narete, di’, viv’ella?
Nar.Né per cotale scossa
veggio che si risenta. Or qui posiamla.
SCENA V
Niso, Narete, Aminta, Celia.
Niso.O Celia, anima mia!
? AR. Lascia che’ntorno al seno
la gonna io le rallenti.
Amin.Deh, viv’ella, Narete?
Nar.Or vo’ toccarle il core.
Ma che scorza è pur questa
che, dentro ? petto ascosa,
ha di sua man vergata?
Amin.E non riviene ancora?
Niso.Oh fra candide nevi
discolorate rose, ecco ? sembiante l
che prender dèe la morte, se talora
la morte anco innamora.
Nar.Oh mai più non udito
miserissimo caso !
oh fanciulla infelice, oh strana morte,
oh crudele omicida!
Amin.Ahi, dunqu’è morta?
Niso.E chi fu l’omicida?
ov’è lo scelerato?
Amin.In qual caverna
troverٍ questa tigre?
Niso.Seguiamlo.
Amin.Andiamo.
Già l’ancido e gli schianto
co’ denti infin da le radici il core.
Nar.O forsennati, e dove
andate furiando?
Niso.A la vendetta.
Nar.Deh ritornate, o ciechi!
Egli è qui l’omicida.
Niso.Aminta, addietro:
94
FILLI DI SCIRO
è qui, è qui ? nemico.
Amin.E dove?
Niso Ov’è, Narete?
? AR. Eccol, vedete
in un l’uccisa e l’omicida estinti.
Udite quel che di sua propria mano
la miserella in questa scorza ha scritto:
Per Niso e per Aminta
Arsi: ma fui crudele,
Fui amante infedele:
Or per non esser loro
Infida e cruda, i’ moro.
1 Oh mille volte e mille
miserissimo caso !
Amin.Oimè!
Niso.Oimè, si forte,
che fin il cielo il senta.
Aminta, Aminta, in questa guisa eh?...
Amin.
Niso, per Dio, ch’a torto
di me ti lagneresti.
Arsi a forza, ma tacqui.
Niso.E ? tuo silenzio appunto
ne conduce a la morte.
Amin.Oimè, non più.
Niso.Deh, Celia,
or tu se’ morta, ed io
morrٍ. Ma che? non vale
la mia per la tua morte.
Amin.Oimè!
Nar.Vo* pur almeno
veder come s’uccise.
Niso.Aminta, ah se m’aitasti
ad esser infelice,
a pianger anco il mio dolor m’aita.
Nar.Segno non ha di laccio
Taci,
la bianchissima gola.
Amin.Ahi lasso, il mio dolore
chiuso è nel core, e quivi
di lagrime si pasce,
né vuoi che fuor dagli occhi
pur una ne trabocchi.
Nar.Ned è qua suso intorno
luogo di precipizio.
Amin.Ma, spieiato dolor, dolore ingordo,
divora il core, e lascia
le lagrime per gli occhi ;
lascia ch’omai l’alta pietà dirompa
gli abissi del mio pianto.
Nar.Senza goccia di sangue
veggo innocente il dardo.
Niso.O Celia, ahi tu non odi?
o bell’anima ignuda, ove se’ gita?
lasci qui fredde e sole
queste membra si belle?
Nar.Sono intatte le vesti.
Niso.Vieni, torna, rimira
sol una volta ancor questo bel viso;
ed allor vivi poi
lontana, se tu puoi.
Nar.Che erba è questa, ond’ella ha pieno il grembo?
Niso, Aminta, correte,
tosto correte a la vicina fonte.
Niso.Qual più vicina fonte
che gli occhi miei correnti
d’amarissime lagrime?
Lascia che noi piangiamo:
ufficio nostro è’1 pianto: il bagno e ? rogo
saran cura d’altrui.
Nar.Deh non è tempo
di lagrimar in vano !
Itene voi, dich’io,
FILLI DI SCIRO
imp-
de l’acqua
da bagnamele il viso.
Datemi luogo, eh gite!
Amin.A che lavar d’altr’acqua
il volto, in cui (non vedi?)
il nostro pianto innonda?
Nar.Or io stesso v’andrٍ.
Amin.Vien, vien, Narete.
Deh par ch’ella si mova.
Celia.Oimè!
Niso.Tosto, o Narete!
Celia vive e respira.
Nar.Oh providenza eterna!
felicissimo pianto,
antidoto mirabile!
Ei fu che, per lo viso diramando,
contra ? velen de l’erba
le ritornٍ la vita.
Niso.O Celia!
Amin.Celia!
Nar.Non la turbate. Ecco risorge: aitiamla.
Celia.Oh com’è faticoso
il cammin de la morte!
Son lassa, e tutto molle
ho di sudore il volto.
Nar.Stordita anco vaneggia,
e sudor del suo volto
cred’ella il vostro pianto.
Celia.G son pur giunta
entro i regni de l’ombre.
Son questi i campi stigi?
Nar.Itela sostenendo.
Celia.Chi mi sospinge? Ahi lassa, ahi lassa, or ecco
i mostri de l’inferno; or ecco quelli
che ’n forma degli amanti
vengono a tormentar l’anime infide.
Niso.O Celia!
Celia.Oimè !
Nar.Deh lungi,
lungi da lei, pastori:
quivi ascosi tacete, infin ch’io sgombri
da questa mente addormentata i sogni.
Celia.Ma pur al loro aspetto
la fiamma del mio core, oimè, s’avanza.
Dunque i mostri d’inferno
spiran fuoco d’amore? Ahi troppo è crudo,
se col fuoco d’amore arde lo ’nferno.
Nar.O figlia!...
Celia E chi è costui,
cosi barbuto e bianco?
Forse ? vecchio Caronte? A l’altra riva
non ho varcato ancora?
Nar.Celia, figlia, vaneggi.
Deh riscuotiti omai, tu se’ tra’ vivi.
E se noi credi, mira
colà girando il cielo
ir a l’occaso il sol, che tu pur dianzi
vedesti in oriente;
mira al soffiar de l’aura
questa fronda cadente.
Là ne’ regni de l’ombre,
o non si leva o non tramonta il sole;
né quell’eterne piante
caduca fronde adorna.
Se’ in terra de’ mortali, e tu se’ viva.
io son Narete: questi
son i campi di Sciro. E non conosci
il prato de la fonte,
il boschetto del Cervo, il monte d’Euro,
il colle Orminio, il colle ove se’ nata?
Or che rimiri? E’son ben dessi: parla.
Che pensi omai? non ti risvegli ancora?
G. Bonarëlli, Filli dí Sciro.
Celia.Son viva? ed è pur vero?
Narete ? dice, ed io
più ch’a Narete, al mio dolore il credo.
Ma pur fui morta, e fui
la giù ne’ regni de la morte: vidi
pur quivi ad uno ad uno
tutti quanti ha l’inferno
furie, fere e tormenti.
Or chi potea trarmi d’abisso a forza?
Nar.I tuoi miseri amanti,
piangendo la tua morte, essi poterٍ
con le lagrime lor darti la vita.
Celia.Ah mal per me si fece al pianto loro
placabile l’inferno!
Ma non fu il pianto loro: e so ben io
ch’ove Cerbero latra o fischia l’Idra
altra voce non s’ode.
Ei fu l’orror di quest’alma infedele,
cui non poté soffrir l’orrido inferno.
Misera, e vivo? G vivo, e la mia vita
è vomito d’inferno.
Niso.’ Odi, Narete,
costei ancor tra le chimere adombra.
Celia.Vita infelice, a cui
fin il morir vien meno.
Nar.Voi, senza darle noia,
mirate che di nuovo
contra sé non ritorni a ’ncrudelire.
Celia.Ma tu forse, o del cielo alta giustizia,
tu forse vuoi ch’io doppiamente infida
or sia tornata in vita,
perché di nuovo i’ mora,
e sia per doppio error doppia la morte.
Niso.Ma tu, perché ten vai?
Deh non lasciar noi soli
a tanta impresa.
Nar.Io vado
ver la valle d’Alcandro,
e torno or or con erbe
da stenebrar quell’alma.
Celia.A morte, dunque, a morte!
SCENA VI
Aminta, Celia, Niso.
Amin.A morte, o Celia, a morte?
Or, se pur vuoi morir, prendi quest’alma,
e con essa ti mori.
Tu certo non morrai,
se l’alma mia non spiri.
Niso.(Ei parla seco; ed ella ancor non fugge?)
Celia.Perché non vuoi ch’io mora?
cosi dunque contendi
al mio male il rimedio?
cosi contrasti il cielo?
Niso.(Anzi ascolta e risponde.)
Amin.Altro rimedio ? cielo
che la tua morte or al tuo mal prescrive.
Celia.E qual rimedio vuoi ch’abbia ? mio male,
quando né pur la morte,
che fine è d’ogni male,
poté dar fine al mio ’nfinito male?
Niso.(Ma romperٍ ben io
questi fra lor si dolci
amorosi parlari.)
Amin.La mia, non la tua morte;
e con la morte mia G amor di Niso
per tua salute ha destinato il cielo.
Niso.(Ma no, non vo’turbarli;
vo’ prima udir tacendo.)
Celia.Ah, ah!
Amin.Non ti sdegnar; deh più benigna
IOO FILLI DI SCIRO
or mia ragion intendi.
S’ami pur Niso, o Celia...
Niso.(E contra me si parla.)
Amin.Ami Niso a ragione:
merta Niso il tuo amor, Niso che seppe
arder al tuo bel lume
fin d’allor che, morendo,
a) tuo bel lume apri le luci oscure.
| Felice lui ! se vide tardi il sole,
\non arse tardi al sole,
jond’ei puٍ dirsi in Sciro
inovello abitator, non tardo amante.
Niso.(Ove cadrà costui? ove s’aggira?)
Amin.Ma, lasso, in me che scorgi,
ond’io pur del tuo amor degno ti sembri?
Io d’ogni merto ignudo
ardo bensí, ma quasi inutil tronco;
ardo vii tronco, il quale
tardi s’accende e tosto incenerisce.
Io, che potei molti anni,
mirando il tuo bel viso,
senza fiamma mirarlo,
degno non son che trovi
tarda fiamma d’amor pronta pietade:
degno non son che m’ami: e pur non cheggio
che lasci, no, d’amarmi (omai cotanto
non mi consente Amore); i’ cheggio solo
che mi lasci morire. E la mia morte,
oh fortunata morte!
sarà la tua salute. Allor potrai
amar Niso ed Aminta:
e non sarai crudele,
od amante infedele,
perché amerai l’un vivo e l’altro estinto:
l’un amerai godendo,
l’altro amerai piangendo.
ATTO QUARTO ???
Né sarà lungo il pianto:
una lagrima sola
farà pago ? mio amore; indi n’andrai
tu stessa lieta a far beato altrui.
Niso.(Oh d’amante, oh d’amico
non usata pietade !
A torto io ne temei; or me ne pento.)
Amin.Voi dunque ambo vivete,
vivete voi felici :
io morirٍ. Per voi de la mia vita
faccio un voto ad Amor: lل nel suo tempio
questa spoglia s’appenda.
Niso.(Non è più tempo di tacere; omai
vile fora il silenzio.) Aminta, Aminta,
ho ben un’alma da morir anch’io;
ho core anch’io che sa bramar la morte;
anzi la vita omai cara m’è solo,
quanto con essa i’ mora,
s’a la mia morte lice
far l’amico e l’amante in un felice.
Celia.Deh tacete, pastori;
ambo tacete, ed ambo
datevi pace, ch’io,
io sola errai, ed io
sola convien che mora.
Vivete voi, vivete,
né vi prenda pietade
d’una fera spieiata;
non vi riscaldi amore
d’una amante infedele.
Parvi che questo volto,
questi occhi, questo crine,
avanzi del dolore,
rifiuti de la morte,
; debbansi amar da voi?
Or amate, i’ noi vieto;
ma amate si ch’amore
disdegno, e non pietade, al cor vi spiri.
10 t’amo Aminta; o Niso,
e tu non m’odii addunque? Io t’amo, o Niso;
dunque non m’odii, Aminta?
Oimè, se non m’odiate,
voi certo non m’amate:
ch’amor non è là dov’ei non ispira,
quando ? chiede ragion, disdegno ed ira.
O miei traditi amanti,
deh tra voi si contenda,
non chi di voi, morendo,
ridoni a me la vita,
ma si contenda solo
chi debba esser di voi a la mia morte
il feritor primiero.
Deh venitene omai,
ch’a la mia morte anch’io sarٍ con voi
congiurata, e ciascuno a suo talento
ogni poter v’impieghi.
Voi la mano ed io ? sen; voi l’arme, io l’alma:
voi m’aprirete il core,
io ne trarrٍ la vita.
Cosi voi col ferire, io col morire
farem di nostre offese alta vendetta.
SCENA VII
Filino, Celia, Aminta, Niso.
Fil.E tu se’ qui? Correndo
non ti vedeva, o Celia.
Deh non sai? La tua Clori...
oimè!...
Celia.Che rea novella
ATTO QUARTO IO3
hai di Clori, o Filino,
da recar sospirando?
Fil.O non è viva o muore.
Celia.Muore?
Amin.Oh!
Niso.Che dic’egli?
Celia.Ahi, come e dove?
Fil.Ne la valle...
Cella. Di’ tosto !
Fil.Adagio! appena
anelando respiro.
Ne la valle d’Alcandro
io l’ho testé lasciata,
ove giacea, non miga
in su l’erbetta a l’ombra,
ma fra G ignude pietre,
ove più scalda il sole.
Ella quivi piagnendo
prendea dal ciel commiato,
e con dolenti voci
affrettava la morte.
Ma ben G a vea da presso; i’ l’ho veduta
che già con l’ali sparse
faceale ombrar di pallid’ombre il volto.
Niso.Oh infausto giorno!
Celia.Ahi, qual empia cagione
ha di dolor sí fiero?
Amin.Forse ? romor ch’è sparso
de la tua morte. O Celia, e chi vorrebbe,
andando a morir tu, restar in vita?
Niso.Aminta, è costei forse
quella Clori, a cui diedi il cerchio?
È dessa.
Amin.
Celia.
Ah ria
fortuna !
Niso.
O
Celia,
andiam
colà; fors’
anco
potremo aitarla.
Celia.Andiam, Filino.
Amin.E dove
di’ tu ch’ella giacea?
Fil.Ne la valle d’Alcandro infra le selci,
colà presso a la fonte:
voi non potrete errare. Io men ritorno
a riveder la greggia,
a ribaciare il capro.
Celia.O Clori, anima mia, deh voglia il cielo
che viva io ti riveggia!
So ben che quand’udito
avrai l’alta cagion de la mia morte,
so ben che ’n pace allora
tu soffrirai ch’io mora.
Fil.O Niso, Niso, ascolta.
Niso.Che vuoi?
Fil.M’uscia di mente.
Niso.Or di’ tosto, che Celia
vassene e corre.
Fil.Aspetta.
Ma tu stesso tei prendi.
Ella ? mi cinse, ed io non so disciorlo.
Niso.Sí, sí, questo è ? mio cerchio.
Or sia lodato il ciel ! Ma che vegg’ io ?
È qui la parte anco di Filli; è certo.
Ecco appunto d’intorno
appariscono intiere
le già tronche figure.
O chi tei die, Filino?
Fil.Clori mei diede.
Niso.E donde
l’ebbe costei?
FiL.Non so; ma quando mossi
cheto cheto là dove
ella giacea piangendo,
quivi ’n terra l’avea;
miraval fisso, e tutto
di lagrime il bagnava,
spesse volte chiamando:
— Oh sfortunata Filli ! oh Tirsi ingrato ! —
Niso.Oimè, che fia cotesto? Or segui, or segui.
Fil.E che vuoi più ch’io segua?
Niso.Come poscia tei diede?
che fé’, che disse allora?
Fil.Ella di me s’avvide,
e mi chiamٍ: v’andai, e di sua mano,
ma d’una man tremante,
fredda via più che ? marmo, intorno al collo
questo cerchio mi cinse,
e dissemi piangendo,
tal ch’appena l’udii, cosi già roca
avea la voce: — O bel garzَn (mi disse)
vanne, che ? ciel t’aiti;
porta or or questo cerchio,
(né far ch’altrui tei veggia),
a quel pastor che Niso or qui s’appella,
e digli...
Niso.E che dèi dirgli?
Fil.Non so se mi rammenti.
Niso.Oh smemorato!
Fil.Non mi gridar. Si si, or mi sovviene.
— Digli ch’ei riconosca
in questo cerchio intiero
la rotta fé di Tirsi.
E viva ei pur felice,
come ’nfelice i’ moro. —
Niso.Ahi, certo è Filli!
Che più temerne? Oh me via più ch’ogni altro
fin ne le mie venture
sventurato pastore!
O dolcissima Filli,
dunque ha voluto il cielo
che viva io ti ritrovi
solo perch’io t’ancida? ahi, non bastava
a la miseria mia
la tua morte, s’io stesso
non era l’omicida?
Fil.S’altro da me non chiedi,
G me n’andrٍ.
Niso.Ma tu, cerchio ’nfelice,
tu che dell’error mio fusti ad un tempo
accusatore e reo,
or to’, va’ negli abissi.
Fil.(Deh, nel torrente ei l’ha gittato.)
Niso.Quinci
Tu la mia colpa accusa,
le mie pene apparecchia:
quinci a poco io ti seguo.
Fil.Costui si furioso
mi spaventa, impazzisce.
Io men vo’ gire.
Niso.O stolto,
errai. Che feci? a che gittar il cerchio?
Filli fors’anco è viva.
Ma che perٍ? Non fia
che già ? colpo crudel de la sua morte
10 non abbia scoccato. Omai che spero?
potrٍ forse negando
ricoprir l’empietà de Terror mio?
O giustizia d’Amore, hai pur voluto
che questa propria lingua innanzi a lei,
a lei stessa dispieghi
fra mill’empi sospiri
il mio ’nfedele ardore.
Ma sia che puote, i’ voglio,
viva o morta che sia,
gir a trovar costei:
ATTO QUARTO IO7
le vo’ morir a’ piedi,
che se non altro, almen le fia pur caro
di veder la mia morte. O Celia, o Celia,
ama tu pur il tuo fedele Aminta:
tu vivi seco, e lascia
ch’omai per la mia Filli,
s’altro non posso, almeno
per la mia Filli i’ mora. — Or tu mi guida.
Ove se’tu, Fillino? — Ei se n’è gito.
Deh chi fia che mi scorga? Andronne a caso.
A disperato core
fida scorta è ? furore.