Vuoto (1876)/Capitolo XIII

Capitolo XIII

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XIII.

In quelli ultimi tempi Errico perdeva le intere giornate senza far nulla, cioè nulla poi no; perchè s’alzava sul mezzo giorno, ed il tempo che gli rimaneva era anche breve per le visite, i ritrovi, il salone, il club.

Era cosa desolante leggere le carte, dov’egli gittava di quando in quando i suoi pensieri: erano note sparse, slegate, non animate da alcun concetto: sembravano le foglie vizze e giallognole dell’autunno, erranti in balia del vento.

A chi gli avesse domandato: perchè non avete scritto più nulla? — egli avrebbe risposto così: «Che volete, ho paura: prima mi metteva con coraggio al lavoro, ma da quando ho pubblicato quella bazzecola mi pare di aver contratto una specie di responsabilità col pubblico; però studio sempre.» E diceva una mezza bugia.

Quel ch’era peggio, si permetteva una certa eleganza, un certo lusso a cui non potevano bastare i suoi scarsi mezzi; spendeva e spendeva molto. Un giorno lo vedevate procurarsi quei diverti[p. 119 modifica]menti e quelle agiatezze, che sono soltanto permessi ai figli del lusso, un’altro privarsi delle cose più necessarie all’uomo che mena la vita più modesta. Spesso alla metà del mese domandava alla madre l’assegno di tutto l’altro.

Eppure non guadagnava nulla e non istudiava più.

Un mese, la madre gli scrisse di non potergli per qualche tempo mandare, a cagione di molte perdite, che la sola metà della somma abituale.

Egli risentì molto al vivo questo colpo; ma non moderò le sue spese, e non cambiò metodo di vita che quando proprio si vide alle strette.

Facciamogli però una giustizia; egli non si decise mai a domandare denaro ai suoi amici, e nemmeno al tenente.

Abbiamo veduto in principio di questo racconto in che brutto stato fosse ridotto il povero Errico, l’elegante artista, il giovine di genio.