Voci della notte/Paesaggio
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Paesaggio
Nel chiarore argenteo delle stelle che illuminavano da sole il paesaggio, il campanile si ergeva sul mucchio delle piccole case, a guisa di sentinella sempre vigile, mentre tutto in giro i prati e i campi avevano l’aria di riposare all’ombra delle montagne, che in quella luce incerta somigliavano a brune cortine distese.
Il sentiero che conduce al Belvedere saliva, girava, come un nastro bianco intorno alla massa nera dei castagni. Era affatto solitario, non un passo, non una voce, nemmeno il più lieve rumore; appena le lucciole, piccole anime silenziose, alitavano tra i cespugli.
La notte era caduta sui grandi alberi, sui rami fatti immobili a guisa di membra raccolte per il sonno. Qua e là, dei vani tra pianta e pianta, aprivano una specie di finestra su quella fitta vôlta di foglie; ed erano allora sprazzi di luce, come una pioggia di raggi siderei che rompevano l’oscurità, disegnando le linee bizzarre dei tronchi, mettendo delle gemme sulle foglie, strisciando sulla costa dei fili d’erba che brillavano di un luccicore di frangia perlata.
Sotto gli abeti il buio era impenetrabile; un buio fresco, vivente, misterioso, come di corpi invisibili respiranti nella notte, di ali urtantisi senza rumore, di lunghe carezze di felci, di baci lievi e tenaci d’edere salenti all’amplesso della quercia...
Altrove, profumi sottili di timo in fiore, corolle che si chiudevano quasi esauste, ubbidienti al destino. Dovunque la vita occulta della natura, il fermento delle piante, l’amore degli insetti, la fecondazione della terra: e tutto ciò, nella notte altissima, quieta, sacra ai misteri.
Dov’era la lucertolina che più non sgusciava di sotto ai sassi? Dov’erano le farfalle, le grandi farfalle bianche, azzurre, nere? Dormivano i fiori? e dormendo, sognavano? Di chi sognava la margherita, fior delle fanciulle? Di chi la rosa fiore dei talami? Di chi la viola fiore delle tombe?
Tutto passa! sussurrava l’antico castano le cui fronde albergavano tanti ricordi. Tutto rinasce! diceva il fusto eretto della giovane betulla, guardando il cielo.
Lungo i viottoli, nei radi della selva, i fantasmi si inseguivano molli, vaporosi, simili a fasci di veli vaganti, a grandi ali invisibili agitate nelle tenebre; e s’abbattevano sui prati, terribili, minacciosi, disegnando immani ombre nere, finchè un raggio, toccandoli, li faceva sparire in nebbia evanescente.
Nella assenza degli uomini, parlava l’anima delle cose; mentre taceva la vita diurna, correva intorno la dea della notte, suscitando odii, guerre, vendette, rapine, tradimenti e amori e delizie e idilli nascosti in un ciuffo d’erba, e duelli a morte nel calice di un gelsomino.
Rideva la fantasia, cozzandosi al tronco dei forti alberi, pensando le fiammate dell’inverno, sotto il caminetto, quando la damina vi avrebbe accostato il piede nudo prima di coricarsi. Spargeva la voluttà le sue arcane essenze nel profumo del muschio impuro, e tremava nel fusto fragile del mughetto la verecondia di cui esso è fatto emblema.
Ma nella maestà bronzea delle sue foglie, aspettava l’alloro una vera gloria da incoronare? E una vera innocenza il giglio? E già prima che l’ingenua mano di donna innamorata lo interrogasse, non mormorava forse il ramo della acacia l’eterna alternativa della vita: Sì? No? — Sì? No?
Voci umane non erano, ma quale onda confusa veniva dall’orizzonte, su dalla valle, dai lontani abituri? Erano i cuori spezzati che gemono in silenzio, le piccole anime volanti nella purezza, le grandi anime passionali incatenate alla colpa? Erano gli amori uccisi sul nascere, gli amori incompresi, sdegnati, gli amori oscuri e profondi, orgogliosamente chiusi? O gli spiriti sciolti, i pensieri agitati, i dubbi, i sarcasmi? Le idee che sorgono, le idee che muoiono? Ah! tutte le miserie e tutte le grandezze della terra esalano nella notte i loro sospiri. L’aria umida, palpitante, era pregna di lagrime.
E il sentiero saliva, saliva dolcemente, nell’ombra.
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FINE