Vite dei filosofi/Libro Quarto/Vita di Polemone
Questo testo è completo. |
◄ | Libro Quarto - Vita di Senocrate | Libro Quarto - Vita di Crate | ► |
CAPO III.
Polemone.
I. Polemone era figlio di Filostrato, ateniese del popolo Oete; ed era, giovinetto ancora, licenzioso e dissoluto per modo, ch’ei portava attorno il danaro necessario al pronto soddisfacimento de’ suoi desiderj; e ne ascondeva ne’ chiassuoli; e perfino nell’Accademia, presso non so qual colonna, fu trovato un triobolo, nascosto da lui per cagione simile alla prefata. Una volta, in compagnia di alcuni giovani, incoronato ed ubbriaco venne nella scuola di Senocrate. Costui non turbatosene, continuò stessamente il discorso, che era sulla temperanza, e il giovinetto udendolo, a poco a poco fu preso, e per sì fatta maniera divenne amico dello studio, che sorpassò gli altri, e successe a lui nella scuola, principiando dalla censedicesima olimpiade.
II. Dice Antigono caristio nelle Vite, che il padre di lui era il primo dei cittadini, e manteneva cavalli da carretta.
III. E che Polemone fu dalla moglie accusato di mali trattamenti, perchè troppo s’intratteneva co’ giovinetti.
IV. Ma che principiato avendo a filosofare, intese alla compostezza in maniera da serbare costantemente la stessa forma all’aspetto, e persino la voce inalterabile. Il perchè si acquistò l’affezione di Crantore. — Un cane rabbioso lacerato avendogli un garetta, ei non ne impallidì solo. — Avvenuto un tumulto in città, chiese dell’accaduto, e non si mosse. — Ne’ teatri non era punto intenerito. Quindi è che una volta Nicostrato, soprannomato Clitennestra, recitando a lui ed a Crantore non so qual poesia, questi ne fu tocco, quegli come se non udisse. Tale era in una parola come dice Melanzio il pittore, ne’ suoi libri Dell’arte pittorica, il quale afferma doversi mostrare certa pertinacia e durezza nell’opere a uno stesso modo che ne’ costumi. — Era opinione di Polemone doversi l’uomo esercitare negli affari e non nelle dialettiche speculazioni a guisa di chi un giuochetto di combinazioni s’ingolla e medita, per poi farsi ammirare nelle quistioni, ed essere in contradizione coi propri affetti. — Tuttavolta era civile, generoso, e schivava i discorsi che, in proposito di Euripide, Aristofane chiama coll’aceto e il laserpizio; che, come egli afferma:
È voglia di cinedi per il grosso.
V. Non sedeva, dicono, neppur quando parlava sui temi proposti, ma passeggiava argomentando. — In città era onorata pel suo amore alla probità. — Lunge, per lo più, da’ siti frequentati, passava il suo tempo in un orto, presso del quale i discepoli fecero delle picciole capannette per abitare vicino al museo e all’essedra.
VI. Pare adunque, che Polemne in ogni cosa abbia imitato Senocrate, e al dire di Aristippo, nel quarto Delle delizie antiche, sia stato amato da lui; poichè Polemone lo ricordava ad ognora, e, quasi dorico modo, la semplicità, la secchezza, la gravità di quell’uomo avea vestita.
VII. Gli piaceva anche Sofocle, particolarmente in que’ luoghi, dove, secondo il comico, pareva che un cane molosso avesse composto seco i suoi poemi; e dove, come dice Frinico:
Nè dolce, nè annacquato era, ma austero.
E quindi affermava che Omero era un Sofocle epico, Sofocle un Omero tragico.
VII. Morì già vecchio di tisico, lasciando un sufficiente numero di opere. Ed è nostro su di esso:
Non sai? Noi ricopriamo Polemone,
Che qui per manco di vigor fu posto.
Grave morbo degli uomini! Non anzi
Polemone, ma il suo fral, che e’ recarsi
Dovendo agli astri, quello in terra pose.