Vita di Esopo Frigio/Capitolo XLIII
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C A P I T O L O XLIII.
ORa ascoltami Padrone, ed attendi. Domani, quando in piazza col popolo sarai congregato, voglio, che tu dichi così: Gentili uomini, e voi altri uomini da bene, credo, che sappiate qual sia la professione mia, della qual mai a questa Città non fui avaro leggendo, insegnando, ed interpretando gli effetti, che la madre satura quà giù fra noi con mirabil magistero ordinariamente partorisce, e crea; ma alle cose dalle bestie, ed ucelli straordinariamente fatte, come che senza ragionevole fine si muovono, eccetto, che al natural appetito del vivere, e del procreare, non ho mai curato far considerazione, persuadendomi, che uno irragionevol’animale, e senz’alcun discorso d’intelletto, non possa agli uomini alcun segno evidente, nè certa precognizione del lor bene, o male futuro dimostrare. Ed avvenga, che siano alcuni tanto curiosi, e superstiziosi, che pensino ogni operazione degli ucelli, e degli altri animali esser un Augurio, ed una regola, ed un manifesto segno del bene, e del mal nostro; nondimeno persuadendomi in ciò esser falso, non ho voluto mai in tai sogni rompermi il capo, e seccarmi il cervello: però perdonarmi dovete, se io non sapesse quel fatto dell’Aquila interpetrarvi. Ma perchè tanto desiderate l’interpretazione, acciocchè non siate in timorosi dubbj avviluppati, mostrerovvi la via, per la quale potrete del vostro desiderio soddisfarvi. Tengo io un servitore, il quale di cotesta arte dell’indovinare, e di tai pronostici dilettasi, egli potrà (credo), e saprà darvi la risoluzione del vostro quesito; saria adunque buono (a voi parendo) farlo quivi chiamare. Se potrà sodisfare lor della mia dichiarazione, tu ne riporterai non poca lode: io aver tu un servitore cotanto sufficiente: Ma se io non dirò cosa, che soddisfaccia, tutto il carico, e la vergogna sarà mia, e della riputazione tua nulla perderai.