Vita (Alfieri, 1804)/Epoca III./Cap V.

Cap V. Primo soggiorno in Parigi

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CAPITOLO QUINTO.

Primo soggiorno in Parigi.


Era, non ben mi ricordo il dì quanti di Agosto 1767, ma fra il 15, e il 20, una mattina nubilosa fredda e piovosa; io lasciava quel bellissimo cielo di Provenza e d’Italia; e non era mai capitato fra sì fatte sudicie nebbie, massimamente in Agosto; onde l’entrare in Parigi pel sobborgo miserissimo di S. Marcello, e il progredire poi quasi in un fetido fangoso sepolcro nel sobborgo di S. Germano, dove andava ad albergo, mi serrò sì fortemente il cuore, ch’io non mi ricordo di aver provato in vita mia per cagione sì piccola una più dolorosa impressione. Tanto affrettarmi, tanto anelare, tante pazze illusioni di accesa fantasia per poi inabissarmi in quella fetente cloaca. Nello scendere all’albergo, già mi trovava pienamente disingannato; e se non era la stanchezza somma, e la non picciola vergogna che me ne sarebbe ridondata, io immediatamente sarei ripartito. Nell’andar poi successivamente dattorno per tutto Parigi, sempre più mi andai confermando nel mio disinganno. L’umiltà [p. 136 modifica] 1767 e barbarie del fabbricato; la risibile pompa meschina delle poche case che pretendono a palazzi; il sudiciume e goticismo delle Chiese; la Vandalica struttura dei teatri d’allora; e i tanti e tanti e tanti oggetti spiacevoli che tutto dì mi cadeano sott’occhio, oltre il più amaro di tutti, le pessimamente architettate facce impiastrate delle bruttissime donne; queste cose tutte non mi venivano poi abbastanza rattemperate dalla bellezza dei tanti giardini, dall’eleganza e frequenza degli stupendi passeggi pubblici, dal buon gusto e numero infinito di bei cocchi, dalla sublime facciata del Louvre, dagli innumerabili e quasi tutti buoni spettacoli, e da altre sì fatte cose.

Continuava intanto con incredibile ostinazione il mal tempo, a segno che da 15 e più giorni d’Agosto ch’io aveva passati in Parigi, non ne aveva ancora salutato il Sole. Ed i miei giudizi morali, più assai poetici che filosofici, si risentivano sempre non poco dell’influenza dell’atmosfera. Quella prima impressione di Parigi mi si scolpì sì fortemente nel capo, che ancora adesso, (cioè z3 anni dopo) ella mi dura negli occhi e nella fantasia, ancorchè in molte parti la ragione in me la combatta e condanni. [p. 137 modifica]La Corte stava in Compierne, e ci si dovea 1767 trattenere per tutto il Settembre; onde non essendo allora in Parigi l’Anfbasciatore di Sardegna per cui aveva delle lettere, io non vi conosceva anima al mondo, altri che alcuni forestieri già da me incontrati e trattati in diverse città dTtalia. E questi neppure cono•ceano nessuna onesta persona in Pafigi- Dunque cosi passava io il mio tempo fra i passeggi, i teatri, le ragazze di mondo, e il dolore quasi che continuo: e così durai sino al fin di Novembre, tempo in cui da Fontainebleau si restituì l’Ambasciatore a dimora in Parigi. Introdotto lo allora da esso in varie case, principalraente degli altri Ministri esteri, dall’Ambasciatore di Spagna dove c’era un Faraoncino, mi posi per la prima volta a giuocare, Ma senza notabile perdita nè vincita mai, ben presto mi tediai anche del giuoco, come d’ogni altro mio passatempo in Parigi; onde mi determinai di partirne in Cennajo per Londra; stufo di Parigi, di cui non conoscea pure altro che le strade; e sul totale già molto raffreddato nella smania di veder cose nuove; tutte sempre trovandole di gran lunga inferiori, non che agli enti immaginar) ch’io mi era andati creando nella fantasia, ma agli stessi oggetti [p. 138 modifica]
1767reali già da me veduti nei diversi luoghi d’Italia: talché in Londra poi terminai d’imparare t ben conoscere e prezzare e Napoli, e Roma, e Venezia, e Firenze.

1768 Prima ch’io partissi per Londra, avendomi proposto l’Ambasciatore di presentarmi a Corte in Versailles, io accettai per una certa curiosità di vedere una Corte maggiore del|e già vedute da me sin allora, benché fossi pienamente disingannato su tutte. Ci fui pel Capo d’anno del 1768, giorno anche piii curioso attése le varie funzioni che vi si praticano. Ancorché io fossi prevenuto, che il Re non parlava ai forestieri comuni, e che certo poco nj’importasse di una tal privazione, con tutto ciò non potei inghiottire il contegno Giovesco di quel regnante. Luigi XV, il quale squadrando l’uomo presentatogli da capo a piedi, non dava segno di riceverne impressione nessuna; mentre se ad un Gigante si dicesse;»> Ecco» ch’io gli presento una formica:w egli pure guardandola, 0 sorriderebbe, o direbbe forse: n Oh che piccolo animaluzzo!» o se anche il tacesse, lo direbbe il di lui viso per esso. quella negativa di sprezzo non mi afflisse poi piò, allorquando pochi momenti dopo vidi che. il Re andava spendendo la stessa moneta [p. 139 modifica]
delle sue occhiate sopra degli oggetti tanto più 1768 impostanti che non m’era io. Fatta una breve preghiera fra due suoi Prelati, di cui Funo, se ben mi ricordo, era Cardinale, il Re si avviò per andare alla Cappella, e fra due porte gli si fece incontro il Preposto della Mercanzia, primo Uffiziale della Municipalità di Parigi, e gli balbettò un complimentuccio d’uso pel Capo d’anno. II taciturno Sire gli risposq con un’alzata di testa: e rivoltosi ad uno de’suoi cortigiani che lo seguivano, domandò dove fossero rimasti les Echevìns, che sono i consueti accoliti del sudetto Preposto. Allora una voce cortigianesca uscita così a mezzo dalla turba di essi, facetamente disse;» Ils sant restds embourbés Rise tutta la Corte, c lo stesso Monarca sorrise, c passò oltre verso la Messa che lo aspettava. La incostante Fortuna poi volle, che in poco più di vent’anni io vedessi in Parigi pel Palazzo della Città un altro Luigi Re ricevere assai più benignamente un altro assai diverso complimento fattogli da altro Preposto sotto il titolo di Maire, il di 17 Luglio 1789: ed erano allora rimasti embourbés i cortigiani nel venir di Versailles a Parigi, benché fosse di fitta estate: ma iJ fango su quella strada era fino a quel punto