Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/XII. La tabacchiera
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XII
LA TABACCHIERA
CALAIS
Quel buon vecchio del frate, mentr’io dubitava di lui, non m’era lontano sei passi; e ci veniva incontro un po’ di traverso fra il sí e il no. Pur giunto a noi, si fermò con indicibile ingenuità, presentandomi aperta la sua tabacchiera di corno, ch’egli avea tra le mani.
— Saggerete un po’ del mio, dissi a lui; e mi trassi di tasca e gli porsi una scatoletta di tartaruga.
— Squisito! — disse il frate.
— Or fatemi il favore — soggiunsi — di gradire il tabacco e la scatola; e, pigliandovi alcuna presa, ricordivi di tanto in tanto che questa fu l’offerta di pace d’un uomo che vi ha una volta trattato ruvidamente, ma non col cuore.
Il povero frate si fe’ di scarlatto. — Mon Dieu! — diss’egli a mani giunte — voi non m’avete trattato ruvidamente mai.
— Non mi pare — aggiungea la signora — non mi pare capace. — E mi feci anch’io rosso; e per quali emozioni, chi sente, e non avrà di molti compagni, lo esplori.
— Perdoni, madama — diss’io, — io l’ho trattato acerbissimamente e non fui provocato.
— No, non può darsi — tornò a dir la signora.
— Dio mio! —sclamò il frate con tal fuoco d’asseveranza, che non pareva a lui proprio: — la colpa era mia e della indiscretezza del mio zelo. —
La gentildonna gli contradisse, ed io con lei; sostenendo ch’egli era impossibile che un animo sí ben composto potesse mai recar noia a veruno.
Io non sapeva che un alterco potesse, com’io pur sentiva allora in me stesso, riescire sí soave e sí piacevole a’ nervi. Si restò taciti senza verun senso di quell’angustia scimunita, che sottentra quando in un crocchio vi guardate per dieci minuti l’un l’altro in viso senza dirvi una sillaba. Strofinava frattanto il frate quella sua tabacchiera di corno sulla manica della sua tonaca; e, come vide che avea acquistato certa apparenza piú lucida, mi fece un inchino profondo e disse ch’era omai tardi, né si poteva dir per allora se piú la debolezza che la bontà dell’indole nostra ci avesse involti in quella contesa; ma, comunque si fosse, mi pregava che tra di noi cambiassimo tabacchiera. E, parlando, mi offeriva la sua da una mano, e dall’altra accettava la mia; e, baciatala con un profluvio di buon naturale negli occhi, se la ripose nel seno, e s’accomiatò.
Io mi serbo la sua tabacchiera tra le parti istrumentali della mia religione1, e quasi scala alla mia mente a piú alte cose; e per verità io esco di rado senz’essa, e per essa ben assai volte richiamo lo spirito cortese del suo donatore a guidare anche il mio attraverso le burrasche del mondo, le quali (com’io poi seppi dalla storia di lui) l’aveano esercitato pur troppo sino a’ quarant’anni dell’età sua, allorquando egli, vedendosi male rimunerato de’ meriti suoi militari e malavventurato nella tenerissima delle passioni, abbandonò la spada insieme e l’amore, e rifuggí nel sacrario non tanto del suo convento quanto di se stesso.
E sento un peso nell’anima or ch’io devo scrivere che, quando ultimamente ripassai per Calais, chiesi che n’era del Padre Lorenzo, ed udii come egli da tre mesi era morto e seppellito, non già nel suo convento, ma, secondo la sua volontà, in un piccolo camposanto de’ frati, sei miglia fuor di città. Né io mi poteva acquetare se non vedeva dove l’aveano deposto. E là, pigliandomi in mano la sua scatoletta di corno,
- ↑ «Istrumental parts of my religion»; frase spiegata dall’autore nel sermone Su la coscienza: «Dirà con l’Apostolo: — ‘Ho una buona coscienza’; — e sel crede davvero però declama contra l’incredulità del secolo, e frequenta i sacramenti, e tratta quasi a diporto parecchie parti istrumentali di religione». E altrove: «I flagelli, i cilici, ecc., e le altre parti istrumentali della sua religione divezzavano l’asino dell’eremita da’ calci»; e le sono parole per l’appunto d’Ilarione eremita, che discorre di sé. Tristram Shandy, vol. viii, cap. 31 [F.].