Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XVI
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Traduzione dal francese di Giuseppe Montani (1824)
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CAPITOLO XVI.
Gioannetti rimaneva sempre nella istessa attitudine, aspettando la spiegazione che mi avea domandata. Io cacciai fuori la testa dalle pieghe del mio abito di viaggio, fra cui la nascosi per meditare più a mio agio; e dopo un momento di silenzio, per rinvenire dalle triste riflessioni fatte pur dianzi: — non vedi tu, Gioannetti, gli dissi, volgendo la mia seggiola dalla sua parte; non vedi tu che, essendo il quadro una superficie piana, i raggi di luce, che partono da ciascun punto di questa superficie... — Gioannetti, a tale spiegazione, spalancava siffattamente gli occhi, da lasciarne vedere il bianco tutto intero, e teneva ad un tempo la bocca semiaperta: il quale doppio movimento,
nell’umana figura indica, secondo il
famoso le Brun, l’estremo grado della
meraviglia. Fu certo la mia bestia quella
che cominciò una simile dissertazione;
perocché la mia anima sapeva bene
che Gioannetti ignora affatto ciò che sia
superficie piana, e molto più ciò che
siano raggi di luce. La prodigiosa dilatazione
delle sue palpebre avendomi
fatto rientrare in me stesso, cacciai di
nuovo la testa entro il collare del mio
abito di viaggio, e ve lo affondai talmente,
che giunsi a nasconderlo quasi
tutto intero.
Mi risolsi intanto di desinare nel punto, ove mi trovava. La mattina era già molto inoltrata; e un passo di più nella mia camera avrebbe protratto il mio pranzo fino a notte. Sdrucciolatomi adunque a filo della mia seggiola, e stesi i miei due piedi sopra la cornice del camminetto, stetti pazientemente ad aspettare il mio pasto. — Positura deliziosa, di cui non saprebbe imaginarsi altra più comoda nelle fermate inevitabili di un lungo viaggio.
Rosina, la mia cagnuola fedele, sempre, quand’io così mi adagio, viene a stiracchiarmi per le falde dell’abito, ond’io la prenda addosso. Ella trova un letto bello e fatto e molto piacevole alla sommità dell’angolo che formano allora le due parti del mio corpo, e che rappresenterebbesi assai bene con questa consonante V. S’io non la levo subito da terra, ella si slancia sopra di me, ed io ve la trovo spesso, che non so come vi sia venuta. Le mie mani si collocano da sè medesime nel modo il più giovevole al suo ben essere; sia qualche principio simpatico fra quest’amabil bestia e la mia, oppure favor del caso; — ma io non credo al caso — tristo sistema, — vôta parola, che non significa nulla. — Crederei piuttosto al magnetismo; — crederei piuttosto al martinismo; — al caso non potrò credere mai.
Le relazioni fra le due bestie son tali, che quando io metto i piedi sopra il camminetto per pura distrazione, e l’ora del pranzo è ancor lontana, sì ch’io non vi penso per nulla, Rosina, presente a quell’atto, discopre con un leggier movimento di coda il suo piacere, mentre la distrazione la tiene al suo posto, di che l'altra accorgendosi, gliene sa grado. Quindi ha luogo fra esse un dialogo muto, di cui ambidue ignorano la causa; un contraccambio di sensazioni aggradevolissime, che non può assolutamente attribuirsi al caso.