Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Alla Memoria dell'amico Carlo Falugi
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ALLA MEMORIA DELL’AMICO CARLO FALUGI.
ELEGIA.
Anch’io del Tempio fra i devoti marmi
Dunque l’estremo vale intuonar deggio
Al dolce amico con pietosi carmi?
Sacra è l’opra, ma tal che ben m’avveggio
Che saggio avvisa quei che della vita
Non cura i mali, perchè teme il peggio.
Dalla pura sorgente dipartita,
L’alma si veste del caduco limo
Onde la dritta via spesso è smarrita.
Indi sazia sdegnando il tristo ed imo
Loco d’esiglio, qual sottil vapore,
Lieta si riconduce al centro primo.
Allor perdono i sensi ogni vigore,
E la fragile spoglia, a cui vien manco
Virtù motrice, illanguidisce e muore.
Giunge di tacit’ali armata il fianco
L’età fugace, e balda in suo diritto
Sperde ciò che riman del cener stanco.
Ma impressa nella mente dell’afflitto
La memoria riman dei cari estinti,
Nè valgon gli anni a cancellar lo scritto.
E d’infausto cipresso il crin ricinti,
Corron gli amici del perduto all’urna
A tributar le lacrime e i giacinti.
E la tenera sposa taciturna
Cova la doglia acerba, che l’istiga
L’odïata a fuggir luce diurna.
E di debito pianto il volto riga,
O splenda in cielo la benigna lampa,
O Febo asconda in mar la sua quadriga.
Così, diletto Carlo, in noi si stampa
Tua sospirata imago, e del desio
Degli amplessi cessati ognuno avvampa.
Ond’è che intento a mesto ufficio e pio
Muovesi di compagni un ordin denso
In bruna veste alla magion di Dio.
Ed implora a te requie, ed all’Immenso
Offre voti che al ciel ratti sen vanno,
Siccome nube candida d’incenso.
Gli ode placato il Nume, e il duro affanno
Dell’orbata famiglia appoco appoco
Calma pietoso, e ne conforta il danno.
O Voi, che offende in questo basso loco
Cura molesta, o morbo grave e lento,
Sprezzate di Fortuna il vario gioco.
Questo Garzone innanzi tempo spento
V’additi che quaggiù vana è la speme,
Ed ombra che dileguasi il contento.
Per lui già già fioría l’eletto seme
Che dei più nella mente Inerzia cela;
In lui grazia e virtù cresceano insieme.
Ma di repente s’infranse la vela
Che prometter parea sì lieto corso;
Nè valse all’uopo la comun querela.
Se dunque il tempo d’improvviso morso
L’opre migliori di natura offende,
Alle lusinghe ree si volga il dorso.
Folle è colui che d’evitar pretende
La comun sorte: su ciascuno eguale
La provocata man di Dio si stende,
E nostra possa ad arrestarla è frale.