Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Alcune memorie appartenenti alla storia di Teresa/Lettera I - Angelo S. ad Enrichetta D.

Lettera I - Angelo S. ad Enrichetta D.

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LETTERA I

Angelo S. ad Enrichetta D.


Colli Euganei, 16 luglio 1798.

Lo so, gentile Enrichetta, che ogni linea di quella mia lettera t’avrebbe fatto agghiacciare il sangue. Un cuor dolce e sensibile, siccome è il tuo, può non dolersi altamente e spargere alcune lagrime alla trista memoria del giovane Ortis? Amore lo spinse nella tomba; e con quale asprezza costui tiranneggi e conturbi gli umani petti, ov’è di noi chi noi sappia? Oh, se pur vedessi l’inconsolabile tua Teresa! Ma, poiché tu mi vi sforzi con tanta grazia a narrarti il restante, debb’io tacermi?... T’ubbidirò.

Giunsi, come ti è noto, ai colli Euganei sui primi di luglio. La fama, sempre ambiziosa di riportar cose funeste, avea sparso (benché incerto ed equivoco) il grido della morte di Iacopo. La dolente sua madre e l’amico Lorenzo da pochi giorni si trovavano presso di Teresa; e ciascuno viveva in una crudele dubbiezza, né osava d’interrogar qualche amico, temendo forse di dover sapere anche di troppo. A dirti il vero, io non ebbi coraggio di far pervenire, per mezzo della posta, le tre o quattro lettere, che l’infelice, avanti d’uccidersi, aveva scritte. Lorenzo però a ragione piú degli altri tremava; ma egli o si taceva o porgea consolazione e conforto a quella famiglia.

Nota. Ho creduto bene di pubblicare queste poche lettere, che danno un’idea degli affanni di Teresa. Essendo esse assai lunghe, ho ricavato ciò che ha rapporto semplicemente a Teresa, sopprimendo varie circostanze che debbono assolutamente tacersi. L’editore [Ang. Sassoli].

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Teresa, uscita poco fa da una seria malattia, avea perduto, assieme colla dolce sua vivacitá, il vago colorito delle guance e lo scintillar de’ begli occhi. Spirava nel sembiante, ne’ modi e negli atteggiamenti una soave melanconia e un esprimente languore, che la rendevano piú amabile e seducente. Si avrebbe detto che assomigliava ad una Venere in atto di sospirar la morte del suo leggiadro pastore; benché per altro le si vedesse dipinta la modestia su la fronte e le pure afflitte grazie negli occhi. Ella tacitamente piangeva, non potendo dimenticarsi la deplorabil sorte del giovane amico. Ma non sapea darsi pace (cosí sovente mi dicea) che l’amato suo sposo avesse concepito de’ gelosi sospetti; e tale idea la faceva piú misera e mesta. Per la qual cosa giammai si scostava dal fianco d’Odoardo, non cessando mai di guardarlo teneramente e di mostrargli ad ogni tratto il piú fervido e sincero amore. Esso invero leggeva negli occhi di Teresa gl’ingenui sensi del suo cuore; e spesso bagnò di pianto le pupille, ed, abbracciandola con trasporto, le chiese pace e perdono.

Quando entrai nella casa, tutti sedevano a pranzo. Annunziarvisi il mio nome, levarsi tutti ad una volta, correre verso di me, aprir la bocca, gridarmi: — Iacopo? — fu l’opera di un momento. Figúrati, Enrichetta, che terribile colpo fosse quello al mio cuore! Un freddo tremito mi assalse le membra e mi gelò le parole sui labbri. Ma il mio pallore, il silenzio, lo sguardo tristo e fiso parlarono abbastanza. Stava giá per dirli: — Egli ora è tranquillo! — che Teresa, levando le braccia, immobili e tese verso di me, con una occhiata furibonda: — Non piú! — tremando pronunziò: — v’intendo, Iacopo non è!... — Le mancarono la voce e le forze, e cadde addietro svenuta sulla terra. Odoardo e Lorenzo, spaventati, accorsero a rialzarla ed a posarla sopra un vicino sofá.

Oh! io non ho cuore di piú oltre seguire. Perdonami, o vezzosa Enrichetta; le idee mi si sconvolgono nella mente, e m’arresto. Un’altra volta ti scriverò. Il cielo non ti faccia mai provare gli atroci casi della povera Teresa!