Venite a l'ombra de' gran gigli d'oro
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Care muse, devote a’ miei giacinti;
E d’ambo insieme avvinti
Tessiam ghirlande a’ nostri idoli, e fregi.
5E tu, signor, ch’io per mio sole adoro,
Perchè non sian da l’altro sole estinti,
Del tuo nome dipinti
Gli sacra, ond’io lor porga eterni pregi,
Chè por degna corona a tanti regi
10Per me non oso; e indarno altri m’invita
Se l’ardire e l’aita
Non vien da te. Tu sol m’apri e dispensi
Parnaso; e tu mi desta, e tu mi avviva
Lo stil, la lingua e i sensi
15Sì ch’altamente ne ragioni e scriva.
Giace, quasi gran conca infra due mari
E due monti famosi, Alpe e Pirene,
Parte de le più amene
D’Europa, e di quant’anco il sol circonda;
20Di tesori e di popoli e d’altari
Ch’al nostro vero nume erge e mantiene,
Di prezïose vene,
D’arti e d’armi e d’amor madre feconda:
Novella Berecinzia, a cui gioconda
25Cede l’altra il suo carro e i suoi leoni;
E sol par che incoroni
Di tutte le sue torri Italia e lei:
E dica: ‘ Ite, miei Galli, or Galli interi;
Gl’Indi e i Persi e i Caldei
30Vincete, e fate un sol di tanti imperi.’
Di questa madre generosa e chiara,
Madre ancor essa di celesti eroi,
Regnano oggi fia noi
D’altri Giovi altri figli ed altre suore,
35E vie più degni ancor d’incenso e d’ara
Che non fur già, vecchio Saturno, i tuoi.
Ma ciascun gli onor suoi
Ripon nell’umiltate e nel timore
Del maggior Dio. Mirate al vincitore
40D’Augusto invitto, al glorioso Errico,
Come di Cristo amico,
Con la pietà, con l’onestà, con l’armi,
Col sollevar gli oppressi e punir gli empi:
Non coi bronzi e coi marmi
45Si van sacrando i simulacri e i tempi.
Mirate, come placido e severo
È di sè stesso a sè legge e corona.
Vedete Iri e Bellona
Come dietro gli vanno, e Temi avanti.
50Com’ha la ragion seco, e ’l senno e ’l vero,
Bella schiera che mai non l’abbandona.
Udite, come tuona
Sopra de’ Licaoni e de’ Giganti.
Guardate quanti n’ha già domi, e quanti
55Ne percuote, e n’atterra: e con che possa
Scuote d’Olimpo e d’Ossa
Gli svelti monti e contr’al cielo imposti.
O qual fia poi spento Tifeo l’audace,
E i folgori deposti;
60Quanta il mondo n’avrà letizia e pace!
La sua gran Giuno in tanta altezza umile
Gode de l’amor suo lieta e sicura;
E non è sdegno o cura
Che ’l cor le punga o di Calisto o d’Io.
65Suo merto, e tuo valor, donna gentile,
Di nome e d’alma inviolata e pura:
E fu nostra ventura,
E provvidenza del supremo Dio,
Che ’n sì gran regno a sì gran re t’unio:
70Perchè del suo splendore e del tuo seme
Risorgesse la speme
De la tua Flora, e de l’Italia tutta:
Chè se mai raggio suo ver lei si stende,
Benchè serva e distrutta,
75Ancor salute e libertà n’attende.
Vera Minerva, e veramente nata
Di Giove stesso e del suo senno, è quella
Ch’ora è figlia e sorella
Di regi illustri, e ne fia madre e sposa.
80Vergine, che di gloria incoronata,
Quasi lunge dal sol propizia stella,
Ti stai d’amor rubella
Per dar più luce a questa notte ombrosa.
Viva perla, serena e preziosa,
85Qual ha Febo di te cosa più degna?
Per te vive, in te regna,
Col tuo sfavilla il suo bel lume tanto,
Ch’ogni cor arde; e ’l mio ne sente un foco
Tal, che io ne volo e canto
90Infra i tuoi cigni, e son tarpato e roco.
Evvi ancor Cintia, e v’era Endimïone:
Coppia, che sì felice oggi sarebbe
Se ’l fior che per lei crebbe,
Oimè, non l’era in su l’ aprirsi anciso.
95Ma che, se legge a morte Amor impone?
Se spento ha quel che più vivendo avrebbe?
Se ’l morir non gl’increbbe
Per viver sempre, e non da lei diviso?
Quanto poi dolce il core e lieto il viso
100V’hanno Ciprigne, e dive altre simili?
Quanti forti e gentili
Che si fan ben oprando al ciel la via?
E se pur non son dei, qual altra gente
È che più degna sia
105O di clava o di tirso o di tridente?
Canzon, se la virtù, se i chiari gesti
Ne fan celesti, del ciel degne sono
L’alme di ch’io ragiono.
Tu lor queste di fiori umili offerte
110Porgi in mia vece; e di’: ‘ Se non son elle
D’oro e di gemme inserte,
Son di voi stessi, e saran poi di stelle.’