Venite a l'ombra de' gran gigli d'oro

Annibal Caro

Indice:The Oxford book of Italian verse.djvu Poesie Letteratura Venite a l'ombra de' gran gigli d'oro Intestazione 26 marzo 2022 75% Poesie

Questo testo fa parte della raccolta The Oxford book of Italian verse


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V
ENITE a l’ombra de’ gran gigli d’oro,

Care muse, devote a’ miei giacinti;
               E d’ambo insieme avvinti
               Tessiam ghirlande a’ nostri idoli, e fregi.
               5E tu, signor, ch’io per mio sole adoro,
               Perchè non sian da l’altro sole estinti,
               Del tuo nome dipinti
               Gli sacra, ond’io lor porga eterni pregi,
               Chè por degna corona a tanti regi
               10Per me non oso; e indarno altri m’invita
               Se l’ardire e l’aita
               Non vien da te. Tu sol m’apri e dispensi
               Parnaso; e tu mi desta, e tu mi avviva
               Lo stil, la lingua e i sensi
               15Sì ch’altamente ne ragioni e scriva.
          Giace, quasi gran conca infra due mari
               E due monti famosi, Alpe e Pirene,
               Parte de le più amene
               D’Europa, e di quant’anco il sol circonda;
               20Di tesori e di popoli e d’altari
               Ch’al nostro vero nume erge e mantiene,
               Di prezïose vene,
               D’arti e d’armi e d’amor madre feconda:
               Novella Berecinzia, a cui gioconda
               25Cede l’altra il suo carro e i suoi leoni;
               E sol par che incoroni

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               Di tutte le sue torri Italia e lei:
               E dica: ‘ Ite, miei Galli, or Galli interi;
               Gl’Indi e i Persi e i Caldei
               30Vincete, e fate un sol di tanti imperi.’
          Di questa madre generosa e chiara,
               Madre ancor essa di celesti eroi,
               Regnano oggi fia noi
               D’altri Giovi altri figli ed altre suore,
               35E vie più degni ancor d’incenso e d’ara
               Che non fur già, vecchio Saturno, i tuoi.
               Ma ciascun gli onor suoi
               Ripon nell’umiltate e nel timore
               Del maggior Dio. Mirate al vincitore
               40D’Augusto invitto, al glorioso Errico,
               Come di Cristo amico,
               Con la pietà, con l’onestà, con l’armi,
               Col sollevar gli oppressi e punir gli empi:
               Non coi bronzi e coi marmi
               45Si van sacrando i simulacri e i tempi.
          Mirate, come placido e severo
               È di sè stesso a sè legge e corona.
               Vedete Iri e Bellona
               Come dietro gli vanno, e Temi avanti.
               50Com’ha la ragion seco, e ’l senno e ’l vero,
               Bella schiera che mai non l’abbandona.
               Udite, come tuona
               Sopra de’ Licaoni e de’ Giganti.
               Guardate quanti n’ha già domi, e quanti
               55Ne percuote, e n’atterra: e con che possa
               Scuote d’Olimpo e d’Ossa
               Gli svelti monti e contr’al cielo imposti.
               O qual fia poi spento Tifeo l’audace,
               E i folgori deposti;

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               60Quanta il mondo n’avrà letizia e pace!
          La sua gran Giuno in tanta altezza umile
               Gode de l’amor suo lieta e sicura;
               E non è sdegno o cura
               Che ’l cor le punga o di Calisto o d’Io.
               65Suo merto, e tuo valor, donna gentile,
               Di nome e d’alma inviolata e pura:
               E fu nostra ventura,
               E provvidenza del supremo Dio,
               Che ’n sì gran regno a sì gran re t’unio:
               70Perchè del suo splendore e del tuo seme
               Risorgesse la speme
               De la tua Flora, e de l’Italia tutta:
               Chè se mai raggio suo ver lei si stende,
               Benchè serva e distrutta,
               75Ancor salute e libertà n’attende.
          Vera Minerva, e veramente nata
               Di Giove stesso e del suo senno, è quella
               Ch’ora è figlia e sorella
               Di regi illustri, e ne fia madre e sposa.
               80Vergine, che di gloria incoronata,
               Quasi lunge dal sol propizia stella,
               Ti stai d’amor rubella
               Per dar più luce a questa notte ombrosa.
               Viva perla, serena e preziosa,
               85Qual ha Febo di te cosa più degna?
               Per te vive, in te regna,
               Col tuo sfavilla il suo bel lume tanto,
               Ch’ogni cor arde; e ’l mio ne sente un foco
               Tal, che io ne volo e canto
               90Infra i tuoi cigni, e son tarpato e roco.
          Evvi ancor Cintia, e v’era Endimïone:
               Coppia, che sì felice oggi sarebbe

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               Se ’l fior che per lei crebbe,
               Oimè, non l’era in su l’ aprirsi anciso.
               95Ma che, se legge a morte Amor impone?
               Se spento ha quel che più vivendo avrebbe?
               Se ’l morir non gl’increbbe
               Per viver sempre, e non da lei diviso?
               Quanto poi dolce il core e lieto il viso
               100V’hanno Ciprigne, e dive altre simili?
               Quanti forti e gentili
               Che si fan ben oprando al ciel la via?
               E se pur non son dei, qual altra gente
               È che più degna sia
               105O di clava o di tirso o di tridente?

          Canzon, se la virtù, se i chiari gesti
               Ne fan celesti, del ciel degne sono
               L’alme di ch’io ragiono.
               Tu lor queste di fiori umili offerte
               110Porgi in mia vece; e di’: ‘ Se non son elle
               D’oro e di gemme inserte,
               Son di voi stessi, e saran poi di stelle.’