Varenna e Monte di Varenna/Appendice/La Capoana

La Capoana

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LA CAPOANA

È una villa storica.

Venne eretta da Ercole Sfondrati Duca di Monte Marciano nell’anno 1605, e trovasi nelle località chiamata Fonte Uga in Fiume Latte.Cascata nella villa Capoana (fotogr. Adamoli)

Alla morte dell’ultimo feudatario della Riviera colonnello conte Don Carlo Sfondrati, la villa Capoana veniva incorporata dalla Regia Camera, ma il Conte Alessandro Serbelloni erede del defunto presentò una istanza per entrare in possesso di detta villa. La R. Conferenza governativa, uniformandosi al parere subordinatole dal magistrato dietro le riflesssioni del R. Fisco, autorizzò il Dicastero a disporre pel rilascio della villa stessa a favore dell’istante, quale erede del Conte della Riviera.

La contessa Maria Serbelloni, il 9 gennaio 1869 vendette al signor Gaetano Ghezzi fu Michele la villa Capoana per la somma di lire 17.000.

La contessa venditrice dichiarò che gli stabili venduti le erano pervenuti per eredità dal genitore di lei, Duca Giuseppe Serbelloni [p. 421 modifica]Sfondrati fu Alessandro, al quale pervennero in forza dello strumento 23 dicembre 1816, rogato dal notaio Pio Brambilla di liquidazione della sostanza paterna, col fratello Conte Giovanni Battista.

Nell’atto di vendita più su accennato della Contessa Maria Serbelloni Sfondrati al signor Gaetano Ghezzi, il 9 gennaio 1869, gli stabili costituenti la Capoana sono così descritti:

«1° Una casa colonica con così detto Crotto, una cascata d’acque con piante di cipresso ed un ronchetto cintato, colla ragione d’acqua nascente in luogo ed in vicinanza a norma del possesso che ne ha la nobile venditrice e sotto le coerenze: a levante beni del beneficio di Varenna, di Maria e Pietro Pirelli e di Giuseppe Antonio Vitali, nonchè la scaturigine del fiumicello detto Uga, a mezzodì alveo del detto fiumicello, a ponente la strada militare dello Stelvio ed a nord strada campestre.

2° Due casini civili con intermedio giardino, orto, porto e darsena... sotto le coerenze, a levante la strada militare, a mezzodì casa dei fratelli Venini, a ponente il lago di Lecco, a tramontana casa di Pietro e Giuseppe Venini.

E la cessione e vendita vien fatta per lire 17.000. Dichiara la nobile signora contessa Sfondrati che li stabili venduti sono in essa pervenuti per eredità del di lei genitore Duca Giuseppe Serbelloni Sfondrati fu conte AlessandroFonte/commento: 527 il quale li ebbe per eredità e risultanza dal decreto 30 luglio 1861 N. 14025 del Tribunale di Milano dal Sig. Duca Ferdinando Serbelloni Sfondrati fu duca Alessandro.

Per gli effetti della tradizione si consegna al Sig. Ghezzi: il catasto storico censuario con fascicolo di carte contenenti documenti dI data anteriore al 1800».

La villa Capoana fu un luogo di delizie, ed il poeta Luigi Rusca del XVII secolo così la cantò:

«Prendo il nome da quella
     Città famosa, e di delitie piena,
     Dove da donna bella,
Dopo tante vittorie nel cor cinto
     D’amorosa catena
     Il domator de l’alpe restò vinto.
Mira, peregrin vago.
     Quasi albergo divino,
     Fonti, marmi, giardino
Tra il verde colle e ’l cristallino lago,
     Oh! emula son anch’io
     Con sì rare delitie al bel paese,
     Ond’hebbi il nome mio;

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Ma il mio Signor con più sublime core
     Al gran Cartaginese
     Emulo è di valor, ma non d’amore
     A l’un, e l’altro poco
Se Capua nol capiva era ogni loco1.


Un contemporaneo del Rusca, Paolo Bertarelli, nel suo libro in cui descrive il borgo di Menaggio, così dice della Capoana:

«..... s’avanza l’occhio spettatore al delicatissimo palagio della Capoana dell’illustre conte della Riviera, il quale appoggiandosi al seno d’un alto monte maestoso si lascia baciare i piedi dal lago che tutto ossequioso gli tributa liquido argento. Fatto in se stesso sepoltura agli estivi ardori per l’acque e sgorganti e cadenti, e soltanto che da più industriose mani in varie guise aggiustate in mille fogge in mille forme tirate, racchiuse e aperte, non v’è persona ben che grande o passeggero che non le miri, rimiri c ammiri e che stupito che non dichi mentre fanno di sè sì leggiadre e meravigliose mostre, trovasi quivi il prodigio d’ingegno, il miracolo e l’ostentazione dell’arte, come già furono elegantemente con versi latini descritte dal signor Paolo Emilio Parlaschino».


Quando venne costruita la strada così detta militare nei primi anni del secolo XIX, la villa Capoana venne dalla strada stessa divisa in due.

La parte alta che comprende la cascata già di proprietà Giuliano Ghezzi appartiene alla famiglia Galimberti, la parte bassa agli eredi di Enrico Burguières.

Interessanti e minuti particolari su questa meravigliosa villa troviamo nel «Ritratto della Capoana del Lario» del padre Giovanni Bonanome, del quale si è parlato nel secolo XVII, scritto e dedicato a Giov. Battista Sfondrato, vescovo di Pavia datato da Lierna il 31 agosto 1646 e di cui ne stralciamo qualche brano nel suo stile manierato e gonfio, proprio del 16002. . . . . . . .

«Non così subito s’apre il piede fuor di barca entrando in un ben quadrato cortile e che chiudendosi la bocca agli altri tutti, si raccolgono i sentimenti nella stravagante vista di tante elaborate fontane che tutte in una s’offrono sull’occhio. . . . . . . . .

Prima delle altre s’appresta dirimpetto all’ingresso una molta adorna fonte nel cui ampio recinto vengono incamminate colla più grata mostra che immaginar si possa tutte le soprastanti acque la cui più semplice forma eccola ristretta in un guscio di noce. E gettato in [p. 423 modifica]faccia al cortile che occupandone tutta la facciata fuorchè dai lati tanto che la fanno rassomigliare ad un’aprica loggia tanto bene aggiustati sono gli scalini di marmo delle comode scale e dei cancelli di ferro che le servono d’appoggio. Sotto questa volta evvi un nicchio di spugnoso tufo e di rozzi massi posti come a caso in ordine disordinato.

D’un cavernoso antro struscia fuori nel mezzo aereo serpente che con larga bocca vomita copia di acquose spume nel supposto pelaghetto... Entro vedonsi per lo più trote così ben panciute che al curioso straniero si presenterebbero come tanti tritoni che allettati dalla limpidezza di queste lucide Ninfe, lasciate le loro cerulee Nereidi, godessero d’intromettersi anche fra le Naiadi. . . . . . . . .

Resta in fine ognuno a pieno soddisfatto nella leggiadra mostra dell’esterna facciata che con molta grazia incrostata di colorite pietruzze con musco dimostra al vivo vari capricci a mosaico....

Una semplice ferrata si apre a due parti e risponde alle altre due che aggiuntatamente per disopra e disotto chiudono l’accennato cortile, una delle quali, cioè quella di testa, una semplice ferrata, dico, che con venustà s’alza dal marmoreo suolo, e serve per cortina alla vaga collina di questa nuova prospettiva che termina in una superba nicchia, alla quale con pari stupore di manierose scene fanno ordinato corteggio, quinci e quindi ben compartite sei altre fonti sorgenti d’un marmoreo Caiino (sic) che detta nicchia han del bitorzoluto seno. . . .

La nicchia che con maestà veramente regale attrae a sè gl’occhi tra le peregrine politi di cui un leggiadro artificio resta per di fuori intorno intorno fregiata con tanta grazia ostenta nella cima l’arma Sfondrata. . . . . . . .

Li viali che in fine spaziosi in lungo si dilatano in cui la famiglia di flora con gentil maniera per far più bella mostra si avanza sugli orti delle substrutte mura, le stendono fioriti arazzi sopra del suolo...

Non devo nè amo di tanto allontanarmi che io lasci di dire esser questa gran fontana addimandata la Fonte Uga forse dall’amistade che stretta tiene».

. . . . . «L’abate Giovio in un elegante sonetto mischiando alla verità della storia la piacevolezza dell’invenzione descrive la proprietà di quest’acqua efficace».

«di tal virtù che i pesci morti avviva
E i vivi priva del vital lume».

Il nostro scrittore prosegue paragonando le bellezze dei giardini della Capoana alla sede dell’Accademia del divino Platone.

Descrive poi in brevi parole l’oratorio della villa dedicato alla Vergine, segue una descrizione particolareggiata del museo: «La sovrana [p. 424 modifica]stanza che altamente insuperbisce, la maestria, le pitture e gli epigrammi che l’adornano, l’architettura, i marmi e gli altri fregi che la compongono... Fra gli epigrammi che si leggono in una delle quattro pareti d’esso museo dettati da Faustino Faggi, questo per avventura meglio favorisce non meno all’intelligenza del mio soggetto che ad esso luogo dov’è posto cioè alla parte dove spuntano le acque:

«Dum canis, ac Nemei vexat vis effera monstri
  Hic nobis largam dat Leo ternus ope
  Faelices lymphas vena comitantur eadem
  Aure, gelo, murinur perpetuusq.
  Nitor».

Piacemi d’accompagnarlo con questo ancora, come che meglio degl’altri resta in vista:3

«Umbra domus, fontes, horti grex ipse natantum
  Da noctrum (clamant) cernere Roma jubor.
  Immit autem patentam, qua intratur, Januam.
  Est illud in horto Lucretiae Ciboae uxoris mortem deflens.

  Vix vitam dederas, affers, Lucretia, mortem
  Scilicet ut vivam, commoriarque tibi».

Hoc vero in Xysto, nominis explicans significationem.

«Sfrondatus Capuae magna de gente vocari
  Me vult, quod genitrix conjugis inde lata est.
  Delicias Capuae veteres ne posce; recentes:
  Quas magis exposcas en Capuana dabo».

      In hortis supra fontem qui est siiti imagine
              Christi de Croce pendentis.

«Fons vivus supra manat, fons vitreus infra:
  Profluit iste polo, profluit ille solo.
  Non alios debes sitiens perquirere fontes
  Corporis hic pellit; mentis at ille sitim».

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In stationem Navium.

«Si quis ades fessae quaerens solatia menti,
   Ne faliat nomen, sum vidnata domus.
   Hic nostrum potius tanto pro funere funus
   Deflebis: nomen vix Capuana dabit».

«A Capuana Villa Ugaque fonte gemina ejusdem nominis promontoria subinde Icguntur: Veternianum utrunque dicitur».

«Di finissime piastrelle elegantemente costrutto in alto si scorge df bianco marmo: Ercules Sfondratus dux montis Martiani Anno MDCVI.

«Le stanze mostrano molte guerre, paesi, cacce ed altre assai cose».

Questi versi destano forse qualche interesse per il fatto che oggi le iscrizioni della villa Capoana sono ormai guaste ed illeggibili.

Il Bonanome prosegue parlando delle pitture rappresentanti le quattro stagioni dell’anno sull’altro recinto di mura, che tanto leggiadramente servono di prospettiva al bel giardino.

Egli crede che la Capoana fosse la villa di Plinio; quest’opinione è anche divisa dall’Arrigoni, ma noi riteniamo che quest’induzione non abbia fondamento.

Da una lettera scritta dal conte Antonio Della Torre di Rezzonico4 il 17 settembre 1735 al marchese Carlo Sfondrati conte della Riviera, si rileva come il Boldoni avesse lasciata una minuta descrizione della Capuana, ma questo scritto disgraziatamente è andato perduto.

Nelle stessa lettera è fatto cenno del pittore De Vincenti detto il Comaschino che avrebbe dipinto nella villa.

Note

  1. Luigi Rusca. Le delitie et meraviglie del Lario. Como, Angelo Turato.
  2. Ritratto della Capoana del Lario del padre Giovanni Bonanome. Como, Nicolò Caprani.
  3. Sigismundi Boldoni, Larius, Pavia, 1617.
  4. Pubblicata nelle briciole storielle da Don Santo Monti sotto lo pseudonimo di Nullo.