Una vecchia amicizia troncata/I
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Traduzione dal russo di Nicola Festa (1932)
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Capitolo I
Ivan Ivanovic e Ivan Nikiforovic.
Gran brav’uomo quell’Ivan Ivanovic! Che casa è la sua in Mirgorod! Attorno attorno, da tutti i lati, essa ha una tettoia sorretta da colonne di quercia; sotto la tettoia, sgabelli da ogni parte. Ivan Ivanovic, quando fa troppo caldo, si toglie di dosso e la pelliccia e la giacca; rimane in maniche di camicia e si riposa sotto la tettoia, e guarda ciò che si fa nel cortile e nella strada. Che meli e che peri ha proprio sotto le finestre! Basta che apriate una finestra, e i rami si cacciano addirittura nella stanza. Tutto questo sulla facciata della casa; ma se vedeste ciò che egli ha nel giardino! Che gli manca? Susini, ciliegi, viscioli, ortaggi d’ogni specie, girasoli, zucche, poponi, baccelli... perfino un’aia e una fucina.
Gran brav’uomo Ivan Ivanovic! Gli piacciono molto i poponi; sono il suo cibo preferito. Come si leva da tavola ed esce in maniche di camicia sotto la tettoia, subito ordina a Gapka di portargli due poponi, e poi con le sue mani li taglia a fette, raccoglie tutti i semi in un apposito foglio di carta e comincia a mangiare. Dopo, ordina a Gapka di portargli il calamaio e da sé, di suo pugno, scrive una nota sul foglio contenente i semi: «Questo popone fu mangiato il giorno tale e tale». Se per caso si trova presente un ospite, allora: «Fu partecipe il tal dei tali».
La buon’anima del giudice di Mirgorod sempre si compiaceva guardando la casa d’Ivan Ivanovic. Sí, una casetta molto carina! A me garba che in essa da tutti i lati sono costruiti cortili e cortiletti, sicché a guardarla a distanza, non si vedono che tetti, piantati gli uni sugli altri, dando in tutto e per tutto l’impressione di un piatto pieno di pasticcetti, e meglio ancora, di tanti funghi cresciuti sopra un albero. Inoltre, tutti i tetti sono coperti di incannicciato; un salcio, una quercia e due meli si piegano su di essi coi loro rami distesi. Tra gli alberi guizzano, e corrono magari fino sulla strada, piccoli finestrini con le imposte intagliate e imbiancate.
Gran brav’uomo Ivan Ivanovic! Lo conosce anche il Commissario di Poltava! Doros Tarasovic Puchivocka, quando viene da Chorol, fa sempre una fermatina da lui. E l’arciprete Padre Pietro, che abita a Coliberda, quando si raccoglie da lui una mezza decina di ospiti, sempre suol dire che non conosce un altro uomo che osservi cosí bene i suoi doveri religiosi e che sappia vivere come Ivan Ivanovic!
Dio mio, come vola il tempo! Già allora erano passati piú di dieci anni da che era rimasto vedovo. Figli non ne aveva. Gapka ha dei bambini, e questi corrono per la corte. Ivan Ivanovic dà sempre a ognuno di essi o una ciambella, o un boccone di popone o una pera. Gapka gli tiene le chiavi dei granai e delle cantine; però del gran cofano che si trova nella sua camera e del granaio centrale tiene egli stesso le chiavi, Ivan Ivanovic, e non ha piacere di lasciarvi entrare nessuno. Gapka è una ragazza robusta, porta il grembiule, e ha freschi i polpacci e le guance.
E che uomo devoto è Ivan Ivanovic! Ogni domenica, indossa la sua pelliccia e va in chiesa. Appena entrato, Ivan Ivanovic, dopo aver fatto inchini da tutti i lati, abitualmente prende posto nel coro e accompagna molto bene con la sua voce di basso. Quando poi il servizio divino finisce, Ivan Ivanovic non può proprio fare a meno di accostarsi a tutti i poveri. Per conto suo, forse, non avrebbe voglia di dedicarsi a una occupazione cosí noiosa, se non lo spingesse a ciò la sua bontà naturale.
— Salute, poverina! — dice abitualmente accostandosi alla piú storpiata vecchietta, dal vestito cencioso, fatto di toppe. — Di dove vieni, meschina?
— Io, signorino, sono venuta dalla fattoria; sono tre giorni che non mangio e non bevo; mi hanno scacciata i miei propri figli.
— Povera testolina! Che sei venuta a fare qui?
— Ma, cosí, signorino, per domandare la carità; se qualcuno mi desse qualcosa almeno per il pane!
— Hum! che forse hai voglia di pane? — abitualmente domandava Ivan Ivanovic.
— Come non ne avrei voglia? Sono affamata come una cagna.
— Hum! — abitualmente rispondeva Ivan Ivanovic — allora forse tu hai anche voglia di carne?
— Sí, qualunque cosa mi darà la carità vostra, io sarò contenta di tutto.
— Hum! Forse la carne a preferenza del pane?
— Ma dove mai un affamato pensa a scegliere? Tutto quello che favorite, tutto è buono. — A tali parole abitualmente la vecchia tendeva la mano.
— Via, vattene con Dio — diceva Ivan Ivanovic — che stai ad aspettare? Forse che io ti bastoni?
E dopo essersi rivolto con simili domande a un secondo e a un terzo, infine ritorna a casa, o si reca a bere un bicchiere di vodka dal suo vicino Ivan Nikiforovic, o dal giudice o dal prefetto.
A Ivan Ivanovic piace molto se qualcuno gli fa un dono o un regalo; ecco quello che gli piace molto.
Un gran bravo uomo è anche Ivan Nikiforovic. La sua casa è lí proprio accanto alla casa di Ivan Ivanovic. Ecco due amici che il mondo non produsse mai gli eguali. Anton Prokofievic Pupopus, che indossa anche ora un soprabito color cannella con le maniche azzurre e nei giorni festivi è a pranzo dal giudice, era solito dire che il diavolo in persona doveva aver legato insieme con una funicella Ivan Nikiforovic e Ivan Ivanovic; dove andava l’uno, lí si tirava dietro l’altro.
Ivan Nikiforovic non prese mai moglie. Era corsa, sí, la voce che fosse ammogliato, ma era una menzogna addirittura. Io conosco molto bene Ivan Nikiforovic, e posso dire ch’egli non ebbe mai neppur l’idea di ammogliarsi. Di dove provengono tutti codesti pettegolezzi? Cosí pure c’era chi diceva che Ivan Nikiforovic nacque con la coda dietro. Ma questa è una trovata cosí balorda, e insieme sconcia e indecente, che io non credo neppure necessario di confutarla dinanzi al lettore intelligente, a cui senza dubbio è noto che soltanto le streghe, e pochissime del resto, hanno la coda dietro. D’altronde, le streghe appartengono al sesso femminile piuttosto che al maschile.
Nonostante la loro grande amicizia, questi due amici rari non si rassomigliavano affatto. I loro caratteri non potrebbero conoscersi meglio che mettendoli a confronto tra loro. Ivan Ivanovic ha il dono di una parola straordinariamente amabile. Dio mio, come parla! Dà una sensazione paragonabile solo a quella che provereste se vi grattassero la testa, o pian pianino vi passassero un dito sopra un calcagno. Si ascolta, si ascolta, e si china la testa. È un gusto, un gusto straordinario, come un pisolino dopo il bagno. Ivan Nikiforovic, al contrario, per lo piú sta zitto; ma se caso mai azzecca una parolina, sta’ in guardia: taglia meglio di un rasoio. Ivan Ivanovic è magro e alto; Ivan Nikiforovic è un po’ piú basso, ma in compenso si espande in grossezza. Ivan Ivanovic ha la testa in forma di un ravanello con la coda in giú; Ivan Nikiforovic ha la testa in forma di un ravanello con la coda in su. Ivan Ivanovic, soltanto dopo pranzo si sdraia in maniche di camicia sotto la tettoia; ma la sera indossa la pelliccia e va in qualche posto: o al magazzino comunale, a cui fornisce la farina, o in campagna, per dare la caccia alle quaglie. Ivan Nikiforovic è sdraiato tutto il giorno in capo alla scala — se la giornata non è troppo calda, tiene ordinariamente la schiena rivolta al sole — e non vuole andare in nessun posto. Se gli salta l’estro al mattino, fa un giro nel cortile, dà un’occhiata alle faccende di famiglia, e torna a riposarsi. Nei tempi passati, soleva fare magari qualche visita a Ivan Ivanovic. Ivan Ivanovic è un uomo straordinariamente fine, e nel suo composto conversare non dice mai una parola triviale, e se qualcuna ne sente dire, se n’ha subito a male. Ivan Nikiforovic qualche volta non si sorveglia. Allora ordinariamente Ivan Ivanovic si muove dal suo posto e dice:
— Basta, basta, Ivan Nikiforovic: meglio affrettare il passo sotto il sole, che dire tali parole sacrileghe.
Ivan Ivanovic va su tutte le furie se gli casca una mosca nella zuppa di bietole: allora egli è fuori dei gangheri, e butta via il piatto, e guai all’ospite! Ivan Nikiforovic ha una passione straordinaria per il bagno, e quando è immerso nell’acqua fino alla gola, ordina di mettergli nel bagno stesso la tavola col samovar, e ama molto di bere il tè mentre sta cosí al fresco. Ivan Ivanovic si rade la barba due volte alla settimana; Ivan Nikiforovic una volta. Ivan Ivanovic è singolarmente curioso: Dio ti salvi, se cominci a fargli un racconto e non lo finisci! Se è malcontento di qualche cosa, lo fa capire subito. Sulla faccia di Ivan Nikiforovic è difficile capire se è contento o è irritato; anche se una cosa gli fa piacere, non lo dimostra. Ivan Ivanovic è di carattere un po’ timido. Ivan Nikiforovic al contrario, ha cosí larghe pieghe ai calzoni, che se uno le gonfia, vi potrebbe cacciar dentro tutta la fattoria con i magazzini e la fabbrica. Ivan Ivanovic ha grand’occhi espressivi color tabacco e la bocca simile alla lettera V; Ivan Nikiforovic ha gli occhi piccoli, giallicci, interamente affondati tra i folti sopraccigli e le guance gonfie, e il naso fatto come una prugna matura. Ivan Ivanovic, se vi offre del tabacco, prima lecca con la lingua il coperchio della tabacchiera, poi vi fa schioccar sopra le dita, e porgendola dice, se siete un suo conoscente: — Posso osare, signore, di chiedervi il favore? — e se non vi conosce: — Posso osare, non avendo l’onore di conoscere il vostro grado, il nome e il cognome, di chiedervi un favore? — . Ivan Nikiforovic, al contrario, vi caccia sotto il muso il suo cornetto, e dice soltanto: — Favorite — . Tanto Ivan Ivanovic quanto Ivan Nikiforovic odiano molto le pulci; perciò né Ivan Ivanovic, né Ivan Nikiforovic non lasciano mai passare un ebreo con le sue mercanzie, senza comprare da lui uno specifico in vari barattoli contro quegli insetti, dopo averlo, s’intende, sgridato ben bene perché professa la fede giudaica.
Del resto, nonostante qualche diversità, tanto Ivan Ivanovic quanto Ivan Nikiforovic sono due bravissime persone.