Un giorno a Madera/Due parole ai miei elettori di Monza
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DUE PAROLE
AI MIEI ELETTORI DI MONZA
Voi mi avete dato già due volte il battesimo di vostro rappresentante; ed io finora ho fatto ben poco per meritarmi questo onore.
Cinque o sei discorsi, molte votazioni coraggiose, sia che il coraggio fosse contro i ministri o (cosa più difficile) contro le opinioni popolari; molte assenze dalla Camera; nessun gallone, neppur quello di caporale, all’uniforme di deputato. Ecco, per parlarvi la lingua di moda, il bilancio attivo e passivo del vostro rappresentante.
Io però ho sempre creduto che l’ufficio di deputato abbia una vita ben più larga che quella che corre fra l’urna elettorale e il decreto regio che scioglie la Camera; ho sempre pensato che l’orizzonte, in cui si deve muovere la vita pubblica, è ben più ampio della stretta atmosferica che si agita e bolle sotto le vôlte della Sala dei Cinquecento. Poveri noi, se i nostri figliuoli dovessero trovare che l’opera dei primi deputati del Regno d’Italia andò tutta consumata nel fare delle mozioni sospensive, degli ordini del giorno puri e semplici e delle quistioni pregiudiziali. Poveretti noi, se tutta la vita d’una generazione dovesse andar consunta nel rattoppare i nostri cenci, nel puntellare le Casse dell’erario, nel lasciare ai futuri della carta e dei debiti.
Ognuno di noi deve aprire un solco in quella terra in cui i figli hanno a seminare il pane dell’avvenire. Questa terra bagnata di sangue l’abbiamo a fecondare del nostro sudore; e chi ebbe dagli elettori la più alta missione che si possa affidare ad un cittadino, ha maggiori doveri degli altri di preparare la terra per una Italia migliore.
E quando dico un’Italia migliore, voglio dire degli Italiani più sani e più onesti prima di tutto, poi più operosi e più sapienti, che è quanto dire più ricchi e più potenti.
A quest’opera io dedico modestamente il meglio del mio sangue, il meglio del mio tempo. Forse, quando la finanza e gli ordini del giorno non formeranno tutta la politica italiana, anche in Palazzo Vecchio sarò meno indegno del vostro mandato.
Ho fatto questo libro con questi intendimenti, e ho voluto scrivere sulla prima pagina il vostro nome, e per mostrarvi quanto io senta il pregio dell’onore conferitomi e perchè voglio dedicare a voi uno scritto, in cui mi adopero con tutte le mie forze a far sì che gli Italiani abbiano ad essere più robusti e più onesti; perchè abbiano ad edificare sulla base tetragona della salute e dell’onestà un edifizio splendidissimo di ricchezza e di gloria.
Vorrei essere un grande artista della penna per potervi dire: ho scritto il vostro nome e il benefizio vostro sopra un libro forse che non morrà; ma invece mi accontento di dirvi che l’ho scritto sopra un libro utile e morale.
Vivete sani e amatemi.
- San Terencio (Lerici). 27 Luglio 1868