Trento e suoi contorni. Guida del viaggiatore/Peregrinazioni nel contado di Trento/Una gita lungo le ville di Povo e Villazzano
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Una gita lungo le ville di Povo e Villazzano.
Al margine superiore di Piazza d’Armi si costeggia per comoda via il lembo inferiore de’ colli, e dolcemente poggiando s’imbocca nella valletta del Fersina. Per poco messi dentro nella gola, tosto si presenta il ponte Carlo Lodovico, che con ardita e leggiera arcata sorvola al burrone del torrente. Folte macchie, e rovinosi dirupi alternati a campi che vestono i clivi del monte, il romoreggiare dell’acqua che rompe fra sasso e sasso, qualche uccelletto che canta nascosto nell’ombra del bosco, rendono romanzesca la scena che vi circonda.
Varcato il ponte, dopo breve salita appare la villa dei conti Saracini. Una larga spianata divisa da un viale messo a campo, un ridente giardino ed un boschetto inglese alla cui base trovasi una peschiera, belle aiuole e spalliere, lunghi filari d’alberi, sentieri intralciati frondosi aggirevoli rendono piacevole la postura dell’edificio di varia e appariscente costruzione. Nella sala Ponte Carlo Lodovico terragna pendono le alabarde usate nella battaglia di Calliano fra il Comune di Trento e quello di Venezia, ed altri arnesi di guerra qui trasferiti dal castello dinastiale di Belfort di proprietà de’ medesimi conti. Una serie di stanze contigue dipinte con molto brio, copiose di luce, adorne d’un mobigliare che al gusto antico unisce l’eleganza del presente, c’invitano ad approfittare dell’agiatezza e dell’aria balsamica che spira in quel giocondo ridotto. A ogni finestra si affacia un nuovo paesaggio, di modo che la stessa natura pare che si compiacia di abbellire quel prediletto soggiorno. Ne vi mancano gli allettamenti delle arti. Si ammira una Madonna col bambino Gesù dipinta sul legno in campo dorato ritenuta anteriore alla scuola di Giotto, parecchie incisioni in rame molto apprezzate di Giacomo Frey, un rame di Roma di non comune grandezza côlto a volo d’uccello dal colle Gianicolo Fra i molti ritratti di famiglia antichi e recenti avvene un bellissimo del celebre Lampi annaunese, e si notano alcuni dipinti sul vetro e sulla carta pergamena. Però lo spettacolo più sorprendente si presenta sulla specula sovrastante al palazzo, che tutta signoreggia la Valle dell’Adige. L’occhio accompagna desideroso la ghirlanda de’ monti che chiudono la valle, e contempla quelle punte, quei seni, quelle vallette tortuose, que’ tremendi gioghi che ricordano tante lontane memorie e mostrano una sembianza a noi cara quanto il volto d’un amico. Poi si passa a osservare più sotto la graduazione de’ colli sparsi di caseggiati fra i quali spiccano i tre dossi di Trento, il Verruca, S. Agata e S. Rocco, e possiamo contare venticinque ville che si annidano nelle più pittoresche situazioni. Il vecchio Mariani nota nella sua cronaca che Povo fu ab antico l’Arcadia di Trento, ove i cittadini si spassano in autunno peregrinando pei boschi e pe’ campi in libera vita. Da questa specula appunto si osservano i deliziosi vigneti di Mesiano, di Salè, Gabiolo, Negrano, Villazzano e via via lungo la costa che si strema nel Dosso di S. Rocco. Compongono il fondo del panorama le balze di Bondone al cui piede si adagiano le vinifere terre di Romagnano e Ravina. Un’occhiata ancora alla nostra cara Trento, la città dai tre Dossi e dalle trenta torri, raccolta in una conca, attorniata dalle storiche mura in riva al fiume nelle cui onde si specchia il verde de’ campi e l’azzurro del cielo. Questa villa fu prescelta dal serenissimo arciduca Carlo Lodovico in compagnia della sposa Margherita reale di Sassonia, ove si trattenne parecchi giorni nell’anno 1858, come lo ricorda un’apposita lapide.
Più sopra di questa villa s’incontra il tenere di Povo, appartenente fino da tempi antichi al Comune di Trento, da dove provenne l’illustre famiglia di Povo o Pavo, che diede un patriarca d’Aquileja. Il castello dei signori di Povo giaceva sul colle di S. Agata, del quale scomparve ogni vestigia. Nella chiesa parocchiale che trovasi nel villaggio di Pantè si pregiano varii dipinti, la pala di S. Andrea, la Pesca e la Crocifissione di S. Pietro e qualche altro. Del resto nelle amene ville giacenti sui vicini poggi si scorge il benessere della classe media, nessun indizio di palazzotti feudali. Non vi rincresca salire al sommo del colle S. Agata vestito di folta macchia, al quale si ascende sul fianco settentrionale per comoda via, e ricrea il cangiamento di veduta ad ogni muover d’anca. Di quivi la vista spazia per prospetti più o meno estesi secondo che i punti piglian più o meno della vasta scena circostante, secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia o sparisce. Andirivieni di montagne, di praticelli, di pascoli, di valli, di campi rotti da nude balze ove non si appiglia fil d’erba, e un’alternarsi di villette e paesi che vi scorrono avanti quasi per magico incanto. Se osservate la bella costa che sta alla base del monte Argentario (Calisberg) vi si affaccia Villamontagna, una specie d’Itaca, un nido grazioso appiccato ad un sasso, co’ suoi puliti casini, colla slanciata chiesetta, al di sotto di questa villa si scompartiscono sulla falda Tavernaro, Mojà, Zel; nel fondo Cognola, e i resti del palazzo Madruzzo presso l’orrido burrone del Fersina; sovra Ponte Alto v’è una singolare grotta o meglio una caverna che pare incavata dal corso delle acque, sotto al dosso di S. Agata il paese di Oltrecastello circondato di placide ombre, di silenziosi campi che accompagnano il margine imboscato del Fersina; fra que’ clivi romiti il poeta Luigi Pompeati cantò la bella natura. Se dal lato settentrionale del Dosso di S. Agata passiamo al meridionale, si ammira nella piena vaghezza il paesello di Sprè col suo vicino romitaggio, la valletta del Salè, la torre Pietrapiana in romanzesca postura, per ultimo se vi volgete a occidente misurate tutta la lunghezza della valle dell’Adige.
Passeggiando da Povo verso Villazzano ci trattiene la bella prospettiva del palazzino della nobile famiglia Mersi, ombreggiato da un pittoresco gruppo di cipressi d’intorno un ardito getto d’acqua che rallegra un graziosissimo giardinetto. Salendo la pendice si giunge al romitaggio della Madonna della Grotta visitato da molti devoti nella stagione autunnale. Poco sopra del Santuario scaturisce una larga vena d’acqua, che in breve a mezzo d’acquedotti di pietra scenderà in città. V’ha qui pur menzionata l’acqua detta delle tre fontane presso la villa già Ciurletti e Ciani, ora del principe vescovo.
Dalle relazioni inedite conservateci dal Masserello apparisce che il cardinale del Monte, nominato papa Giulio III nel 1550, e Legato in Trento presso il sacro Concilio nel cuor della state soleva spassarsi sul colle di Povo presso una fonte limpidissima, che poi per cura del cardinale Cristoforo Madruzzo fu ornata di marmi e detta fonte Giulia.
Sul colle di S. Rocco si ascende per agevole via, da dove la città si presenta nella più attraente situazione, e pare molto più vasta di quello che lo è di fatto. Il tratto di suolo che circonda la valle sottoposta è detto Casteller, voce forse nata da Castel Valerio, perchè si crede che ivi sorgesse il castello d’un Valerio romano. A piè del colle giaciono i vigneti di Man che vuolsi derivato da Manes (i Mani degli antichi Romani). Vi si trovarono vestigia d’un tempio, come sarebbe un ammatonato, e belle specie di marmi levigati. Di presso v’è la bella villa già Rovereti, ora di proprietà della famiglia Rossi, vicino a questa la villa già Balduini ora della famiglia Tamhosi, ove si osservano pregeveli affreschi dello Zeni. Scendendo da S. Bartolammeo e costeggiando le falde di Gocciadoro si arriva al ponte del Fersina di fronte alla città.