Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro II/Capitolo 82
Questo testo è incompleto. |
◄ | Libro II - Capitolo 81 | Libro II - Capitolo 83 | ► |
Ragioni christiane più in particulare circa la medesima materia. Cap. LXXXII.
Queste et molte altre ragioni, che per brevità si tacciono, il solo lume naturale ce lo insegna, et ci scuopre la falsa dottrina del mondo vestita di spetioso nome d’honore. Ma nel petto christiano maggior forza, et efficacia doveranno havere le ragioni christiane fondate sopra i principii dell’humiltà, et regolate dalle regole eterne del vero honore. Et questa principalmente deve il buon padre inculcar nell’animo del figliuolo. Et prima che questa è la voluntà di Dio, ilqual ci ha promesso, che se per amor suo rimetteremo le ingiurie, et perdonaremo a gli inimici nostri, egli prenderà la causa nostra nelle sue mani. La onde san Paolo eshortava i Romani in questa forma, Non vi vendicate voi medesimi carissimi, ma temperate et rimettete l’ira, percioche Iddio ha detto, lasciate a me la vendetta et io sarò il renditore; nelqual luogo san Paolo dice molte altre cose non solo del perdonare, ma di far benefitio all’inimico, et conclude dicendo: Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci nel bene il male, et per certo questa è nobile vittoria et alta vendetta, vincer con la bontà propria la malitia altrui. Dica anchora il buon padre che nelle scritture sante gli eletti di Dio, sono assimigliati alle pecorelle, animale mansuetissimo et patientissimo, a cui la natura non ha dato arme alcuna per difendersi non che per offendere, non corno, non dente, non unghia, et finalmente, come altri animali inermi hanno, ne anco la velocità del corso, ma tutta la difesa della pecorella è nella providenza del pastore; tale è il christiano, non sa nuocere ad alcuno, tale era il buon David, i cui salmi sono pieni di questa confidenza in Dio, chiamandolo con grande affetto difensor suo, protettore, suo aiutorio, refugio, et torre di fortezza contra tutti i suoi nemici. Soggiunga il padre che si devono considerare le gravi offese, che noi commettiamo a tutte l’hore contra il sommo Dio, Padre, Signore, et perpetuo benefattor nostro, et nondimeno Iddio longanime, et benigno dissimula con noi, et ci aspetta a penitenza, et è il primo a invitarci alla reconciliatione, et quando pur di lontano ci leviamo per tornare à lui, ci corre incontro con le braccia della sua misericordia aperte. Et come ardirà poi il vermicello della terra, negar al fratello, et conservo suo la remissione di cento denarii, cioè una leggiera offesa, havendogli Iddio condonato il debito di diecimila talenti? si come in quella nobile parabola evangelica il Salvator nostro ci espone; adunque chi vuol trovar perdono da Dio, perdoni al prossimo, questa è la legge, che ci ha proposto il sommo giudice, et conforme a quello che faremo noi al prossimo, cosi sarà fatto a noi. Procuri il buon padre che il figliuolo intenda, et resti persuaso, che non ci è cosa più dishonorata che il peccato, ne più honorata, che il far la voluntà di Dio, et che il vero honore non depende dal giuditio del mondo, che è cieco, et bugiardo, ma da quello di Dio, il quale à suo tempo honorarà cosi altamente i servi suoi, che ne stupiranno gli huomini mondani, quando aperti per la pena gli occhi, che hora la colpa tien chiusi, et pentiti de i falsi giuditii fatti da loro, delle attioni de i giusti diranno quelle parole, che leggiamo nella santa scrittura: Noi stolti, et insensati riputavamo la vita loro una pazzia, et il fin loro dishonorato et vile, ecco come sono numerati tra i figliuoli di Dio, et la parte loro è con i santi.
Et perche l’ira, et l’odio che si accende in noi contra il nostro fratello nasce dalla opinione ch’egli ci habbia fatto, ò possa fare, alcun nocumento, dimostri accuratamente il buon padre, che niuno può esser veramente offeso, se non da se medesimo, percioche la vera, et gravissima offesa è quella che tocca l’anima, cioè il peccato, che la priva della vita di gratia, che la fa schiava del diavolo, et la obliga à pena eterna, et non è creatura alcuna che ci possa apportar danno all’anima, se non la nostra propria voluntà. Et questo è quel celebre paradosso, che molti santi padri, ma spetialmente il glorioso san Gio. Chrisostomo ha trattato con grande eloquenza, Nemo laeditur nisi a se ipso, cioè Niuno è offeso se non da se stesso. Oltra che il buon christiano, sa che niuno quantunque piccolo incommodo gli può avvenire, senza la permissione di Dio, onde non si adira contra il prossimo, ma si humilia innanzi a Dio, il quale hora per svegliarci dal sonno del peccato, hora per conservarci nella virtù, hora per coronarci di maggiore corona, hora per altri effetti à gloria sua, et utilità nostra, permette che siamo afflitti, et offesi, ma se noi non offenderemo noi stessi con l’impacienza, et con l’ira, et prenderemo insieme con Giobbe ogni cosa dalla mano di Dio, le piccole perdite di questo mondo ci apportaranno i grandissimi guadagni del Cielo. Con queste, et altri simili ragioni christiane persuada il buon padre al figliuolo a rimettere volentieri le ingiurie, et a non ferir se stesso di piaga mortale nell’anima, mentre ritiene l’odio contra il fratello, ilquale ha da sperare, et da desiderare, et pregare che sia consorte seco della divina gloria. La onde non si potrebbe esprimere a bastanza quanto gran male sia l’uccider un’huomo, ilquale soprapreso da impensata morte violenta, non ha spatio di penitenza, et per vano interesse di danari, per uno sdegnuzzo da fanciulli, et per un nonnulla è privato per mano del fratello suo della vita del corpo, et di quella dell’anima insieme, con perdita irreparabile, et con tanto peso di danno, che ne tutto l’oro, ne tutti gli honori del mondo, ne la vita temporale di tutti gli huomini lo può agguagliare.