Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro II/Capitolo 126
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Della verità in universale, et della secretezza. Cap. CXXVI.
In somma per virtù di questo precetto, è prohibita ogni falsità, et ci è commandato, che deposta ogni simulatione, et inganno siamo in tutte le attioni, et nelle parole simplici, diritti, et veraci. Et perche di sopra discorrendo del secondo precetto della legge, et in particulare de i giuramenti, si disse della virtù della verità à bastanza, quanto ella sia lodevole, quanto grata à Dio, quanto giovevole nel privato, et nel publico, per tanto non fa mestieri in questo luogo dirne altro, se non che tra il dir la verità, et il non dir la bugia, è qualche differenza, percioche la bugia non si deve mai dire, et è sempre peccato, benche più et meno grave, secondo la materia, et l’offesa che si fa al prossimo. Ma il nostro fanciullo deve esser talmente allevato che si astenga per quanto è possibile da ogni bugia, etiandio giocosa, et dove non si fa nocumento alcuno, perche dalle bugie leggieri si passa alle gravi, et si acquista il male habito del mentire, con grave danno della salute et della buona estimatione anchora. Quanto poi alla verità è certissimo che dove il giudice legitimamente interroga in giuditio, il testimonio è obligato à manifestar il vero, et secondo il detto di santo Agostino non è in tal caso men reo colui che occulta la verità, che quell’altro che asserisce la bugia. Ma fuori del legitimo giudicio è lecito tal volta, et tal volta anchora è obligo di tacere il vero. Et però molti s’ingannano credendo di non essere colpevoli, ne detrattori, per haver detto il vero contra il prossimo suo, come se fosse lecito palesar le occulte piaghe, et miserie del prossimo et manifestarle a coloro, à i quali non si ha obligo di farle sapere, et onde non segue altro frutto, che denigrar la fama del fratello, et metterlo in mal concetto di tale, che prima lo teneva in buono; ma quando anchora non fosse materia d’infamia, è cosa reprensibile, esser à guisa d’un vaso pieno di fissure, che trapela da ogni banda, et non contiene il liquore, tali sono alcuni tanto incontinenti che par loro di non poter vivere, se dopo haver inteso qualche secreto, non corrono subito à riferirlo, à questo et à quello, i quali offendono grandemente le leggi dell’amicitia, essendo cosa necessaria, nella vita, il communicar con gli amici i segreti nostri, per riportarne consiglio; onde il savio diceva ne i proverbii, Tratta, et conferisci con l’amico tuo i negotii tuoi, et non rivelare à lo straniero il tuo segreto. Però dalla buona educatione, di saper raffrenare la lingua, et non esser ciarlatore, et loquace, di che si ragionò di sopra, si cavarà anchor questo frutto, che il nostro fanciullo si avvezzarà più facilmente, à servar la segretezza, conditione molto necessaria in coloro che amministrano le cose publiche, et sono partecipi de i consigli de i Principi, altrimenti avviene non di rado, che una parola detta per lubricità di lingua, ò per vanità di mostrarsi conscio de i segreti de grandi, ruina uno importante negocio. Et però ben diceva l’Angelo al vecchio Tobia, et al figliuolo in questa sentenza, Il nascondere il sacramento, cioè il segreto del Rè, è cosa lodevole, et ben fatta, ma l’opre et le misericordie di Dio si devono rivelare, et publicare. Per tanto il nostro padre di famiglia, insegni al figliuolo à saper osservare la segretezza, dove et quando conviene, et non esser simile alle feminelle stolte, delle quali è molto peculiare la curiosità del voler sapere i segreti, et la facilità di scoprirli altrui. È celebrato nelle historie antiche un nobile fanciullo Romano, che importunato dalla madre curiosa, d’intendere quello che si fosse deliberato nel consiglio, seppe accortamente celare i negotii uditi da lui in Senato; lo sparlare inconsideratamente, et dir tutti i fatti suoi, et quei d’altri ad ogni proposito, è cosa da imbriaco, si come la scrittura santa dice, Non è segreto alcuno dove regna la ebrietà, et finalmente gli huomini di questa natura, perdono gli amici vecchi, et non ne acquistano de novi. Tenga adunque il nostro giovanetto à memoria quel detto del savio nello Ecclesiastico, Qui denudat arcana amici fidem perdit, et non inveniet amicum ad animum suum, ciò vuol dire, chi scuopre i segreti dell’amico suo perde la fede, cioè perde il credito, cosi appresso il primo amico à cui non hà servato la fede, come appresso gli altri, che non si fidaranno di lui, onde segue, che non trovarà amico, secondo l’animo et desiderio suo.