Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/III
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III. — Ceramica etrusca.
1. — Osservazioni generali.
I vasi fittili di foggie e dimensioni variissime, dipinti a figure nere su fondo chiaro, giallastro, o rosso, ovvero a figure chiare e rosse su fondo nero, che uscirono dalle tombe etrusche, e principalmente da Vulci in gran copia, e che si raccolsero in luoghi dell’Etruria Settentrionale, ad Adria, a Marzabotto e nella necropoli della Certosa, come già si è detto1, sono prodotti di fabbriche greche, importati nell’Etruria, dove, come doni e funebre suppellettile, erano assai pregiati. Che tali vasi servissero ad ornamento è dimostrato dall’esser tuttavia nuovi, senza vernici interne che impedissero l’assorbimento dei liquidi, e spesse volte anche senza fondo. Importati in Etruria dalle fabbriche di Corinto, Atene, Egina, e più tardi da fabbriche italo-greche campane ed apule di Nola e di Ruvo, questi prodotti diedero luogo al sorgere di officine ceramografiche etrusche imitanti le greche. Così, mentre da suolo etrusco vengono vasi che rappresentano i varî momenti e le varie maniere della ceramografia greca, si hanno poi anche vasi dipinti propriamente etruschi, che in parte sono prodotti originali etruschi, e in parte imitazioni di prodotti greci.
2. — Vasi toscanici.
Sono da classificare fra i prodotti ceramografici etruschi certi vasi policromi, che per disegno e colorazione ripetono i caratteri dell’arcaismo e certe peculiarità della pittura toscanica2. Sono vasi di fondo nericcio, con figure umane e d’animali, di puerile disegno e di bizzarra colorazione. Uno di essi porta il disegno di due grandi occhi, quali vedonsi anche in vasi dipinti greci contro il fascino, ossia il mal occhio, significato della figura gorgonica da Luciano detta ὰποτρεπτικὸν τῶν δεινῶν, ed anche delle figure falliche, talvolta occhiute.
3. — Vasi d’imitazione greca.
Nella numerosa classe dei vasi dipinti al modo greco è facile di riconoscere quelli di lavorazione propriamente etrusca; e i principali criterî distintivi sono: le qualità delle rappresentazioni, riferentisi a costumi etruschi, o a miti ellenici etruscizzati coll’intervento frequente dei genî infernali e di Charun; lo stile del disegno specialmente inferiore al greco, e con certi suoi caratteri d’ineleganza, di sproporzione già accennati per le pitture sepolcrali e per gli specchi; la qualità dell’argilla è meno fina e meno buona delle vernici greche; infine le iscrizioni sono etrusche3.
Secondo il Micali, fu copioso e vario l’uso dei vasi dipinti presso gli Etruschi dal I al III sec. di Roma; migliorò la loro fattura nel sec. IV; durò nel V e nel VI; ma al tempo di Cesare e di Augusto quei vasi già parevano antichi, e cercavansi come oggetti d’antichità nei sepolcri di Corneto e di Capua.
4. — Vasi detti buccheri.
(Ved. tav. 42).
Ma più antichi dei vasi dipinti sono i vasi etruschi di terra nera, che si trovano in tombe, quasi non mai insieme con vasi dipinti, a Vulci, a Corneto, a Cere, ed in maggior abbondanza a Chiusi, dove forse fu il principal centro di tale fabbricazione, per il che diconsi anche vasi chiusini; generalmente sono conosciuti col nome di buccheri. Sono d’argilla nera, non cotti ma seccati al sole, con la superficie di certa lucentezza metallica; hanno dimensioni e foggie assai varie, talora belle, ma ricercate e bizzarre, assai lontane dall’eleganza greca. Sono ornati di figure a rilievo assai basso, fatte a stampo, con rappresentazioni allusive a misteri religiosi ed a riti funerarî, con imagini di divinità infernali, con animali e mostri fantastici di carattere orientale, quali vedonsi su vasi dipinti della maniera più antica. Le proporzioni delle figure umane sono tozze, lo stile del disegno è primitivo. Antichissimi, questi vasi forse vengono sùbito dopo la ornamentazione geometrica. Helbig suppone che siano una riproduzione dei vasi metallici, ed il loro stile un’imitazione dello stile metallotecnico; li crede anche d’importazione forestiera, poiché se ne sono trovati altri esemplari a Cuma ed anche a Cameiros4.
5. — Vasi aretini.
Vasi d’altra forma, alabastri, canopici.
Un gran centro d’industria ceramica era Arezzo, detta la Samo d’Italia. Ma i suoi prodotti sembrano di un periodo meno antico, rispondente all’ultimo secolo della Repubblica romana ed ai primi dell’Impero. Gli aretina vasa, tanto spesso ricordati, sono d’un bel rosso corallino, con vernice, e spesso con eleganti rilievi; da scoperte di tali vasi fatte in altre località s’arguisce che fossero molto diffusi, o facessero anche altrove sorgere fabbriche imitanti i prodotti aretini. Dìfatti noi li troviamo in gran copia nelle tombe di varie località anche settentrionali e meridionali d’Italia, come suppellettile funebre comune, nè tutti hanno la leggerezza e finezza della pasta, nè la lucentezza ed eleganza dei veri vasi aretini5.
Si raccolsero nelle tombe etrusche vasetti unguentarî e balsamarî, che solitamente si denominano alabastri, dalla materia di cui molti di essi sono fatti, e la maggior parte erano fatti antichissimamente. Sono vasetti da contenere profumi, essenze e balsami, generalmente di forma cilindrica, arrotondati alla base con bocche a piccolo imbuto. Ve n’ha d’alabastro, di vetro, d’argilla dipinta. Se ne trovano in tombe asiatiche, greche ed italiche. Alcuni già ne abbiamo ricordati, trovati in stazioni dell’Etruria propria; terminano a forma di testa o anche d’intero busto femminile, con foggie e attributi orientali, e sono certamente d’importazione fenicia6.
S’incontrano pure nei sepolcri etruschi i vasi che diconsi canopici, destinati a contenere le ceneri del defunto, e terminati o sormontati nel coperchio da testa umana, o anche da busto con mani alzate o ripiegate sul petto, ritraente le fattezze di colui le cui ultime reliquie stanno nel vaso raccolte, secondo il costume seguito normalmente dagli Egizî (ved. tav. 30).
Nella grande copia di vasi usciti da tombe etrusche vogliono essere ricordati alcuni assai rari e belli, inargentati, ornati di teste in rilievo, e di composizioni d’ottimo stile greco rappresentanti la pugna delle Amazoni, Ercole col leone Nemeo, Socrate a colloquio con Diotima. Trovati alcuni di essi a Orvieto ed a Bolsena, sono nuovi documenti d’importazioni greche nell’Etruria, giacchè tali li dimostra non solo lo stile, ma anche l’analogia di altri simili casi di officine italo-greche di Apulia, e si sono diffusi tanto in tutta Italia, da ritrovarne perfino nel Piemonte. Un bellissimo esemplare, p. es., c’è al R. Museo delle antichità in Torino, nella sala dei cimeli piemontesi sotto il dominio romano7.
Tavola
Vasi etruschi in bucchero di varie forme, provenienti da Chiusi.
Tavola 42. - Dall’opera di Noël des Vergers, L’Étrurie et les Étrusques, tavola XIX.
Note
- ↑ Ved. questo nostro Manuale a pag. 78 e segg.
- ↑ Ved. Micali, Monum. ined., tav. IV e V.
- ↑ Ved. p. es., Monum. Istit. Corr. Archeol. II, 8, 9, in cui sono rappresentati due vasi, l’uno con Atteone sbranato dai cani, e con Aiace che s’abbandona sulla spada; l’altro con Aiace che immola un uomo ignudo, assistito da Charun, faccia mostruosa che si rivede sullo stesso vaso con tre imagini femminili. Opera di pennello volgare e non antico, ma prettamente etrusco. Cfr. pei vasi greci l’Atl. d’arte greca, tav. CXXXVI e segg.
- ↑ Ved. Annali Ist. Corr. Arch., 1875, 98; cfr. Bollettino, 1874, pag. 241. — Circa la composizione dei buccheri, ved. Bollettino Ist. Corr. Arch., 1837, pag. 28; ibid., 1842, pag. 164, e recentemente l’ill. prof. Barnabei, che ritrattò la questione con nuovi esperimenti e copia di prove critiche e bibliografiche in Monum. Ant. della R. Accad. dei Lincei, IV, 1894.
Quanto ai disegni vari dei buccheri ved. Micali, cit., Monumenti, ined., tavole XXVII-XXVIII, pag. 156; Noël des Vergers, Atlante tav. XVII e segg.. - ↑ Ved. A. Fabbroni, Storia degli antichi vasi fittili aretini. 1841.
- ↑ Ved. Micali, Mon. ined., tav. IV, 2, pag. 40.
- ↑ Vedi Klügmann, Annali Ist. Corr. Arch., 1871, pag. 1; Mon., vol. VIII, tav. 26.