Trattato dei governi/Libro quarto/IV
Questo testo è completo. |
(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
◄ | Libro quarto - III | Libro quarto - V | ► |
Ma perchè di loro s’è detto infino a qui per via di proemio, e perchè egli è stato considerato da me degli altri stati innanzi, cominciam però a parlare di quello che ci resta: cioè quai supposizioni debbino essere quelle d’una città, che abbia da constituirsi, secondo che uno più desiderasse. Che invero e’ non si può fare una ottima republica senza li convenienti instrumenti, onde bisogna molte cose quasi che col desiderio presupporre; delle quali nessuna però ne sia impossibile. Io dico verbigrazia circa il numero dei cittadini, e circa la provincia - che così come agli altri artefici, cioè al tessitore e al fabbricatore delle navi è di necessità essere lor preparata innanzi la materia conveniente all’opera, che egli ha da fare, perchè quanto più ella sarà preparata migliore, ne conseguirà di necessità, che l’opera da farsi con essa per via della arte sarà cosa più bella; parimente all’uomo civile, e al legislatore debbe essere innanzi preparata la materia, che gli sia conveniente e propia. E il principale instrumento all’uomo civile debbe essere la moltitudine degli uomini, quanti e’ debbino essere, e di che natura; ed il medesimo si debbe vedere intorno alla provincia, quanto ella abbia ad essere grande, e di che sorte.
Stima la più parte degli uomini, che la città felice debba essere grande. E se questo è ben vero, e’ non sanno però come sia fatta una città grande, e una città piccola; chè certi stimano la grandezza della città dal numero de’ cittadini. Ma e’ bisogna piuttosto misurare questa grandezza dalla forza della città, e non del numero dei cittadini; imperocchè la città ha il suo proprio uffizio. Laonde quella che tale uffizio può bene condurre, si debbe stimare città grande; come e’ verbigrazia d’Ippocrate, non si debbe dire, che e’ sia maggiore uomo, ma maggiore medico d’uno che fusse maggiore di lui di persona.
Contuttociò se pure e’ s’ha ancora a stimare la grandezza della città dal numero dei cittadini ella non si debbe stimare da ogni numero d’uomini, che uno si dicesse; perchè nella città potrebbe essere gran numero di servi e di forestieri, e di uomini vili; ma debbesi stimare dal numero, che è proprio di lei, e che è sua parte, e da quelli, che la compongono. Perchè l’abbondanza di tali è indizio di città grande. Ma quella città, che fa pochi uomini da portare arme, e assai artefici, questa è impossibile, che sia città grande; perchè e’ non è il medesimo a dire città grande, e città popolata.
Ma quando ella fusse il medesimo, li fatti stessi mostrano, che egli è difficile, e forse impossibile a dare buone leggi a una città, che sia molto popolata. Che, a dire i vero, delle città, che appariscono bene governate, non se ne vede alcuna, che sia popolata troppo. E le ragioni stesse ancora ci mostrano questo medesimo essere vero, perchè la legge è un certo ordine, e la buona legge è di necessità che sia un ordine buono, e il numero, che avanza troppo, non può partecipare d’ordine. Chè ciò invero s’appartiene alla potenza divina, la quale contiene ancora questo universo.
Ma perchè il bello suole essere nel numero, e nella grandezza, però la città, che arà con la grandezza congiunto il numero dei cittadini proporzionato, sarà per necessità bellissima. E certamente che la città ancora ella ha il termino prescritto nella sua grandezza, non altrimenti che avvenga di tutti gli altri animali, delle piante e d’ogni altro istrumento; ciascuno dei quali se sia troppo piccolo, o troppo grande, non manterrà la sua virtù, ma o sarà in tutto privatone, o egli l’arà debolmente. Come sarebbe verbigrazia una nave, che fusse grande una spanna, non sarebbe nave, nè parimente un’altra, che fusse grande due stadi. Ma quando ella sarà constituita in qualche grandezza, o ella andrà ora male sopra’l mare per essere troppo piccola, o ella v’andrà ora male per essere troppo grande.
E il medesimo intervien della città, perchè la composta di troppi pochi non è sufficiente, e la composta di troppi ha la sufficienza delle cose necessarie come provincia, ma non come città: perchè e’ non è agevole a darle forma di stato. Imperocchè chi sarebbe mai capitano a guidare alla guerra un siffatto numero d’uomini? O chi sarebbe banditore quivi, s’ei non fusse simile a Stentore? Però fa di mestieri che la prima città sia composta di tanto numero, che principalmente serva al bene vivere della civile compagnia. È ben possibile, che maggiore città sia quella, che avanzi questa siffatta per numero; ma ei non s’ha già a ire in infinito crescendo. Ma qual debba essere il termino di questo eccesso è agevole a comprenderlo per le stesse azioni, perchè l’azioni d’una città sono ora di chi è in magistrato, e ora di chi è sottoposto: e il giudicare, e il comandare è l’uffizio di chi è in magistrato. Ma per giudicare con giustizia, e per distribuire i magistrati secondo i meriti dei cittadini è uopo di conoscere l’un l’altro; cioè di che qualità sieno li cittadini. Ché dove una tale cosa non interviene, è forza che la parte intorno al giudicare, e intorno al distribuire i magistrati vi stia malamente; perchè e’ non è ragionevole, che intorno all’una cosa e all’altra si proceda a caso. Il che manifestamente interviene dove è assai numero di cittadini.
Ancora in tai luoghi è agevole alli forestieri, e alli vili uomini di partecipare del governo, per non esser gran cosa a celarsi in sì gran numero tale inconveniente! È manifesto pertanto, che questo è il termino ottimo della città, cioè, che l’abbia gran numero di cittadini, che sia atto a bene vivere, e ad essere bene conosciuto l’un dall’altro. E della grandezza della città siasi determinato talmente.
Seguita ora a dirsi di quella della provincia.