Trattatelli estetici/Parte terza/IX. Ingenuità involontaria
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IX.
INGENUITA’ INVOLONTARIA.
Corre opinione, e per poco la non è passata in proverbio, che sia indarno lo studio degli scrittori a nascondere l’indole loro propria. It che non tanto può dirsi con verità degli scrittori, che non possa estendersi con egual misura di convenienza agli artisti tutti, ossia a tutti coloro che prendono la natura a fondamento e materia d’imitazione. Non di meno più di una volta mi è tocco di udire chi facevasi contro a tale opinione, dicendo esservi stati taluni i quali impressero coi loro scritti vestigii del tutto opposti a quanto da essi pensavasi solitamente; usando in ciò, per certa tal qual somiglianza, l’artifizio di Caco, che a nascondere il furto fatto sull’Aventino, fece camminare i buoi all’indietro, in guisa da mandarne ingannato chi fosse stato provveduto semplicemente della robustezza del braccio. Importante lezione anche questa, ma che non fa al caso.
Primieramente risponderei a questi tali, che ciò, quando fosse, mostrerebbe falsa, o per lo meno incerta, una delle regole più universalmente riconosciute per vere, riguardo alle arti: vale a dire che chi vuole esprimere una qualche passione per modo che gli altri ne siano commossi, gli convenga esserne prima commosso egli stesso. Sarebbe poi una tacita accusa alla provvidente natura che lasciasse i migliori de’ suoi figli, quelli cioè che possono rimanere ingannati, in balia de’ peggiori, quelli cioè che mettono ogni loro studio nell’ingannare; e per ultimo torrebbe allo studio delle opere d’arte il più, forse, dell’importanza, in quanto restringerebbe molto notabilmente la sfera delle rappresentazioni.
Ma donde può esser nata l’opinione che combattiamo? Da ciò, senza dubbio, che si è creduto che le intenzioni occulte dello scrittore o dell’artista fossero quelle che balzano all’occhio di prima giunta. Alberto scrive tragedie ed insanguina la scena di perpetui omicidii, se ne conchiude che abbia ad essere un animo truce. Come poi, esaminati a parte a parte i costumi di lui, si viene in chiaro esser egli un ottimo cuore, se ne cava una conclusione contraria alla massima che tali siano gli uomini nella loro vita quali si mostrano nell’opere loro. Un maestro di musica dalla cui fantasia prorompono spontanee infinite dolcissime cantilene, chi lo trovasse col pugnale alla maro cacciarsi tra la più riottosa canaglia, sarebbe ragione che ne inferisse non esser vero che la gentilezza de’ sentimenti se ne stia compagna alla festività delle fantasie musicali. Ma non è di tal guisa che voglionsi considerare le cose. La natura morale non si concede a chi non insiste alcun poco nelle indagini, e contentasi della semplice buccia.
Ciò che si dice de’ letterati e degli artisti in particolare, riguardo all’opere loro, è da dire di tutti gli uomini in generale. Mal farebbe chi prendesse a norma della nettezza dell’animo il polito vestire, o della rettitudine de’ pensieri la rettitudine de’ discorsi. Dio ne guardi dal farci consiglieri di diffidenza, di cui anzi, come di una tra le pesti più perniciose alla società, vorremmo vedere spento fino al seme: ma un’opportuna antiveggenza non lasceremo d’inculcarla, quando questa può esser opportuno riparo da molte sventure. Comincisi adunque dal rimanere persuasi che scrittore, o artista, o altro che sia, non può mai l’uomo celarsi del tutto a chi abbia occhio penetrativo, e buono odorato da conoscere, come suol dirsi, al fiuto il popone.
In alcuni scrittori, date un’occhiata allo stile o duro, o convulso, o noiosamente prolisso, e vi sarà indizio di un animo che non sente ciò ch’egli dice, o non ne è certo, o ne parla non più che come gazza, per farsi eco di chi lo ha preceduto. Questo genere di stile è alquanto diverso da ciò che forma argomento delle dotte censure de’ filologhi e de’ puristi. In altri lo stile è terso come specchio, fluido com’olio, tranquillo come onde di lago. Ma, posto che lo abbiate a limbicco, non ne spremete verità alcuna che sappia nutrirvi l’intelletto, e traverso quella tanta trasparenza, fluidità, e bella calma, non altro ci vedete che un arido letto di minutissimi sassolini o di sabbia. Cosi pure da lato a certe colossali figure che prima vi parlano all’anima, si appiattano, dirò quasi, nella composizione, certe figure accessorie di valletti, di scimiotti, di cani, non esclusa la natura inanimata, come sarebbero alberi, cortinaggi, edifizii di varia maniera; e sono appunto quelle appendici al soggetto principale, che possono darvi, esaminate da voi con diligenza, il carattere proprio dello scrittore e dell’artista.
Siete a discorso con Demetrio. È desso uno di quegli uomini che possono dirsi:
Più vani del midollo delle canne;
come dunque, domandate, tante citazioni in sua bocca, tanta prontezza nell’alludere ad una o altra cosa, non farsi mai nuovo a nessuna interrogazione, e dove altri rimarrebbe ammirato, egli non può che sorridere, dicendo fra sè stesso: già s’intende? Appunto perciò dovete porvi in agguato e coglierlo ad un involontario moto di ciglia, o rincrespamento di fronte, quando gli nominate alcun che non compreso ne’ suoi registri. Similmente lasciate che la stemperata affezione di Calisto pe’ suoi simili dilaghi in mille parole, badate a quell’aria non curante con cui porge ascolto al racconto che gli fate dei guai di persona che non ha nulla che fare con esso, o a cui non può estendere la sovrabbondanza delle sue pietose declamazioni. Non crediate che queste siano regole generali, molte volte conviene camminare per via affatto opposta, e quanto ho detto finora altro non è che una filza di richiami a starsene sull’avviso.
Veggiamo frequentemente i dipintori adoperare alcune arti per mettere i riguardanti in cognizione de’ luoghi, de’ tempi, o della condizione delle persone rappresentate. Ad un Paride mollemente seduto da canto ad Elena si lascia indosso il balteo, o a piedi l’elimo; si fa che gli amorini, in sembianza di putti, si contendano in un angolo della tela la clava d’Alcide, mentre questi se ne sta a filare nel mezzo. Ciò che siffatti artisti fanno studiosamente, vien operato senza che se ne avveggano dalla generalità degli uomini. Questo è appunto ciò che io chiamo ingenuità involontaria. Tutti i pittori hanno la loro prediletta figura, tutti i poeti traggono piuttosto da questo che da quell’oggetto la più parte delle loro similitudini. Sia una cena, sia un martirio, l’anima di Paolo voi la vedete nelle magnifiche architetture onde sono sempre occupati i suoi quadri. La più parte delle similitudini dantesche voi le trovate prese dalle morali affezioni dell’uomo. Tiratene la conseguenza che sembravi più opportuna: quanto a me dirò sempre che c’è una ingenuità involontaria, benchè a voler leggere nel cuore degli uomini bisogna studiarlo con acume e con attenzione.