Trattatelli estetici/Parte seconda/I. Il gesto
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I.
IL GESTO.
Il gesto, che all’età prima di ogni uomo, e durante la rozzezza delle nazioni precede l’uso delle parole nella manifestazione de’ nostri sentimenti interiori, quando le parole sono trovate, le accompagna e ne rinforza il significato. Molte volte un discorso riesce inintelligibile senza la chiosa del gesto, molte altre riceve dal gesto un’espressione affatto diversa da quella avrebbono le sole parole. Chi volesse studiare attentamente la diversa maniera di gestire, appropriata alle diverse condizioni dell’animo, ne caverebbe forse argomento ad una grammatica, la quale non avrebbe che invidiare per l’importanza e per la copiosità a quelle tante che scritte furono intorno al linguaggio. Sì, signori; c’è un gesto nome, un gesto verbo, un gesto avverbio, un gesto non più che semplice congiunzione; e quel gesto nome, e quel gesto verbo sono modificati per casi, e per tempi in molto differenti maniere. Questa sarebbe la lingua universale che ha dato luogo a tante inutili discussioni, senza che mai fosse possibile a chicchessia di trovarla e di stabilirne le vere basi. E, per dirla così alla sfuggita, quanto malagevole, o meglio disperata, è l’impresa di una lingua universale, fondata sopra suoni articolati cui si dà una significazione arbitraria e convenzionale, tanto agevole, o, se non agevole, per lo meno possibile, sarebbe la formazione di un linguaggio derivato da movimenti corporali, che hanno una relazione molto stretta cogli affetti dell’animo nostro, e ai quali fino a questo punto non venne attribuito verun certo e particolare significato.
Ma quando pur fosse possibile, come s’è detto, questa utopia della lingua universale, per mezzo del gesto, sarebbe dessa da porre in opera, mirando al vantaggio che ne può derivare alla nostra specie? A chi mi facesse questa interrogazione risponderei francamente che no, e le ragioni che mi consigliano ad una tale risposta daranno materia al presente articolo, che bramo non vi faccia desiderare la lingua dei gesti in cambio di quella delle parole.
Pur troppo tra le mani dell’uomo le cose più utili e care si convertono in dannose e detestabili Con quella smania di tutto perfezionare che sempre lo instiga, limitato com’è nelle sue facoltà, e per conseguenza imperfetto ne’ suoi confronti, si appaga dei particolari, senza elevarsi alla considerazione degli universali, e l’opera ch’ei tenta al presente, discorda da quella di ieri, e sarà probabilmente contraddetta da quella che gli verrà in capo di tentar l’indomani. Così è andato e andrà sempre il mondo! Il linguaggio, utilissimo e maraviglioso stromento di comunicazione fra uomo ed uomo, si ebbe sempre per ispecchio nel quale si riflettesse l’immagine della nostr’anima inappressabile al senso; si brigarono a perfezionarlo quanti più v’ebbero ingegni benemeriti dell’umanità; si volle che camminasse di pari passo coll’avanzamento delle cognizioni, che in ogni guisa di sapere si andavano moltiplicando; nulla sembrava più dovesse mancare a poter chiamarlo compiuto, se non nelle individue relazioni, almeno nella generalità de’ principii; e dopo tutto questo? Ecco chi arriva nel secolo de’ maggiori lumi e della maggior pretensione, esclamando: ad altro fine non essere dato il linguaggio fuorché a velare il pensiero.
Che bisogno aveva ella dunque la razza umana di cercar mezzi a manifestar ciò cui le conveniva poscia nascondere? Non fu consiglio di provvidenza che il sacrario de’ nostri pensieri e de’ nostri affetti rimanesse fuori dagli occhi, e non fosse possibile a visitare? O anche in proposito de’ linguaggi si adempie quella legge universale, secondo la quale vediamo regolarsi tutta natura, e consiste in un continuo rivolgimento per cui la fine rientra nel principio, ed il principio precipita al fine, senza interrompimento o riposo? Furono a principio i linguaggi assai materiali, se così possiamo chiamarli, e tendevano a ricopiare nel modo più sensibile l’immagine degli oggetti, poco curando delle relazioni che quegli oggetti aveano fra loro; nella successione dei tempi vennero queste relazioni fermate, o che si credette, sopra certe basi, e furono in pari tempo trovate espressioni che le significassero. Le anime allora sembravano essersi messe, siami conceduta la frase, a contatto fra loro, e all’incerto indovinare de’ primi tempi surrogato l’infallibile mezzo della parola, che ti dava, come a dire, in pugno l’altrui pensiero. Ah! v’è in noi qualche cosa di recondito e di essenziale, che rimarrà sempre sciolto dal dominio dei sensi; e quando l’uomo più si affidava di aver trovato modo di mettere all’aperto la parte più intima di sè stesso, non altro fatto aveva che più sempre nasconderla e renderla indicifrabile!
Non voglio credere che la frase terribile suaccennata, che accusa d’ipocrisia tutto il genere umano, debba esser presa a rigore; mi consolo piuttosto pensando che molte diffinizioni di gran sapienti rappresentano il desiderio di chi le ha prodotte, anzi che la realtà delle cose, e sono tanto più solenni e apparentemente feconde di sapienza, quanto meno si accostano alla verità. Tuttaconviene confessare che un grande abuso si è fatto della parola, e che un grande obbligo hanno contratto con essa la menzogna e la frode. Certo, ove i linguaggi fossero rimasti alla primitiva semplicità, assai minor presa avrebbe avuto l’astuzia ad usarne con proprio vantaggio; dacchè ci hanno pure certe idce la cui falsità è tanto più pericolosa e difficile ad essere conosciuta, quanto sono più chiare nell’apparenza; appunto come avviene dei luoghi soverchiamente illuminati, che non ci lasciano vedere gli oggetti nelle loro naturali proporzioni.
Dopo questo chi oserebbe desiderare che fosse condotta a regole certe la lingua del gesto? Oltre tutte le ragioni che possono allegarsi, e furono in più tempi e più libri allegate a dimostrare i molti danni, non punto forse inferiori ai vantaggi, che deriverebbero alla razza umana dalla comunità del linguaggio, col generalizzare la lingua del gesto sarebbe tolto di mezzo una molto sicura difesa che rimane all’innocenza per non essere affatto tradita, e un’inesorabile rivelatore dell’umana nequizia, che mai non cessa dal suo utile ufficio anche quando sembra dormire.
Sono i gesti, chi voglia studiarli, che possono mettere sull’avviso chi sarebbe li li per rimanere ingannato dalle parole. Egli è bensì vero che chi si è per lunghi auni addestrato nell’arte funesta d’ingannare il prossimo, molto studio pone ancora nel gesto; ma egli è vero per altra parte, che, non avendo il gesto certa significazione e regole certe, in questo stesso studio, che dee farsi da ogni uomo secondo principii particolari, si palesa anticipatamente la sinistra intenzione dell’ingannatore.
Camminino pure per via imperturbabili e con faccia impietrita; parlino pure con quel tenore di voce che mai non costringe la bocca a verun movimento particolare; girino gli occhi da dritta a sinistra e poi da sinistra a dritta con immutabile regola; trovandomi a fronte di tali macchine terrò sempre chiuso il mio cuore, il quale, bisognoso d’espandersi, vuole espandersi con uomini e non con macchine. Che mi darebbero in cambio deila mia confidenza, del mio entusiasmo, delle mie lagrime, questi modellini che alzano il braccio, e muovono il piede, quei tanti pollici, niente più e niente meno, che sono loro prescritti dal personaggio cui intendono rappresentare?
E nè manco mi affido di quelle braccia che mi si spalancano volonterose per accogliermi, e di quegli occhi che s’impiccioliscono per la compassione ad un mio racconto, e di quel calcagno che pesta la terra per mostrare con quanta collera ascoltansi i mali diportamenti di chi mi offende; il modellino è congegnato più finamente, ba movimenti più varii, più minuti; posso ammirare la bravura dell’artefice, ma fidarmene? Come del basilisco, che, secondo l’opinione volgare, affascina colle occhiate.
Un’osservazione mi venne fatta frequentissimamente intorno al gesto, e ne fo parte a’ miei cari lettori, afinchè ne rinnovino l’esperimento, e, trovatala vera, se ne giovino contro a’ malvagi. In generale, i gesti che precedono le parole sono i più ingenui, quelli che le seguono, i meno sinceri. Dico in generale, perchè anche questa regola è soggetta a molte eccezioni. Il gesto che precede la parola è più repentino, e la subitaneità è nemica dell’artifizio. Il gesto che d’ordinario precede la parola è più esprimente l’interno commovimento dell’animo, in quanto che la parola non ne ha per anco scemata la intensità procurandogli uno sfogo. Per questa ragione quell’acuto maestro di pittura, che, dopo averle eccellentemente assegnato lo spazio a soggetto delle sue finzioni, pur voleva accordarle un qualche dominio sul tempo, ha ingegnosamente notato come da certi movimenti del corpo, che imprimono una data alterazione al vestito, è possibile argomentare la passione che sta per irrompere; e quindi dichiarò come, oltre al rappresentare il presente, si possa ancora rappresentare per certo modo il futuro. I gesti all’incontro che sucredono al discorso hanno sempre uu Don so che di artifizialo, sono per lo più ripetizioni di quello si è detto, caricano la passione, esagerano il sentimento, e tendono a riaccendere quella parte di naturale calore che svaporò il nostro animo insieme colle parole.
Egli è con questi gesti succedenti che l’astuto ingannatore confida di raddrizzare un discorso che si accorge essere altrui dispiaciuto, perchè, come si è detto a principio, vi hanno tali gesti, che non solo accrescono o diminuiscono il senso delle parole, ma ben anco lo diversificano totalmente. Ponendo alle volte tranquillamente a confronto il gesto e la parola, li trovi in perfettissima opposizione; e dove la parola prega, il gesto minaccia, o dove questa sospira, quello sghignazza in tal caso assai facile è il tirarne la conclusione, che chi ti sta innanzi è intento a gabbarti. In onta a ciò, questo mal ufficio può essere reso del pari dai gesti anteriori. Molte volte può accadere che l’ipocrita malvagio ti tenti con un gesto prima di dar corso alle parole, a quella guisa che un bravo condottiere d’eserciti manda innanzi alcuni soldatelli a scaramucciare e scoprire il terreno prima di venirne a generale combattimento. Anche in questo caso per altro la dissonanza tra il gesto e la parola ti si farà grandemente sensibile, se vorrai porvi mente.
Egli è da badare oltre a questo alla intera scrie de’ gesti che si vanno manifestando in tutte le varie parti del corpo, c non contentarsi di esaminarne un solo, o quello di sola una parte. Ciascun gesto potrebbe dirsi avere l’espressione di una lettera dell’alfabeto, o se vuolsi di una sillaba; egli è dalla composizione di parecchi di tali gesti che viene a formarsi la parola. So anch’io che quella faccia benigna di donna, e quel collo mollemente piegato significano mansuetudine e modestia; ma non vedi quel braccio gettato sul dosso della seggiola sbadatamente, e quel fianco che tutto si leva da un canto? L’orgoglio e la petulanza, che avrebbero mosso la nausea e il dispetto allogati sulla fronte, furono dall’esperta recitatrice confinati nel braccio e nel fianco, e quando occorra saprà rilegarli nella mano e nel piede, e coprirli col guanto e colla scarpetta; dacchè congedarli affatto non è possibile, tanto le sono nell’anima inviscerati!
Oh i graziosi indovinelli che vengono offerti, a chi voglia occupare in essi l’ingegno, dalla innumerabile diversità onde sono i gesti fra loro accoppiati! Oh i diversissimi significati che assumono passando da sesso a sesso, da età ad età, da condizione a condizione, da popolo a popolo! E bensi vero, e giova notarlo, che il cosi detto bel tuono di conversazione, che tutto ragguaglia, diminuisce grandissimamente l’espressione dei gesti, e per poco non rende anche questo linguaggio regolato e convenzionale, né più nė meno delle parole. C’è la sua inclinazione di capo, il suo girar d’occhio, il suo batter di piede, buono per ogni frizzo, per ogni racconto, per ogni interrogazione. Ma è duopo confessare per altra parte che quelli i quali si lasciano ingannare a mezzo le conversazioni sono più da compiangere che da istruire. Le conversazioni, chi non sia più che balordo, sono fatte pei primi approcci, per le scoperte superficiali semplicemente. Si disegnano quivi, se vuoi, anche le vittime; ma il luogo del sagrifizio è meno palese, le armi meno lucenti. Gl’inchini, i sorrisi, le scosse di capo, sono monete la cui falsità è troppo omai conosciuta; altre ve ne hanno che si spendono di soppiatto, e la cui lega dimanda una chimica assai più paziente ed esercitata ad essere conosciuta. Forse che io ve ne parli un’altra volta un poco più alla distesa.