Trattatelli estetici/Parte prima/II. L'unità negli estremi opposti
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II.
L’UNITA’ NEGLI ESTREMI OPPOSTI.
L’erba che spunta fra le screpolature di un muro in rovina; un’allegra brigata che si raccoglie a gozzovigliare sopra un terreno ingombro di sepolture; un giovanotto che s’infiamma all’amor delle lettere con fra la mano le prose del Tasso, nelle quali quest’ingegno divino lamenta le proprie miserie; tutti questi ed innumerevoli altri accozzamenti di fatti contraddittorii, che ad ogni ora ci cadono sotto gli occhi, mi furono più volte cagione di pensare alla unità che appunto risiede negli estremi opposti, e questa considerazione mi aperse la strada a parecchie conclusioni, che vorrei credere non del tutto vane.
Primieramente quanto all’arti e alle lettere rimane dimostrata la verità di quel principio che mi accadde altra volta di dichiarare con lunghe parole in proposito del sottintesi, essere, cioè, proprio dell’artista ingegnoso lo scegliere, non potendo tutte, quella fra le varie faccie dell’oggetto che prende a rappresentare, la quale rende più facilmente presumibili l’altre. Ciò giova ad un tempo alla brevità e alla semplicità; doti che non è molto facile altrimenti il trovare accompagnate, senza che scambievolmente si nocciano.
In questa parte gli antichi raggiunsero una grande eccellenza; eccellenza proporzionata al grande studio che ci ponevano. Anzichè fiaccare la mente in una lunga esercitazione sopra la stessa idea, come molto spesso accade ne’moderni, cercavano di eccitare vivamente le idee estreme contermini ad altre che lasciavansi congetturare. I moderni all’incontro, escludo que’ sommi pei quali non possono le consuetudini contemporanee, vogliono tutto abbracciare, tutto distendere, sminuzzar tutto; di qua, a fronte di una somma sollecitudine di precisione, una somma indeterminatezza.
C’è un altro vantaggio nel far sì che un estremo s’intenda per l’estremo opposto. Il lettore, o semplice spettatore che sia, rimanendo da quello che l’artista gli mette innanzi non più che incitato a comprendere ciò che rimane nascosto, crede di fare da sè indovinando, e si applaude come di una scoperta. Le idee che gli entrano per tal via nel cervello, o gli affetti che in tal modo germogliano nel suo animo, anziche venutigli dal di fuori, li crede nati in sè stesso, e quindi li accarezza come proprii figliuoli, si tiene ad essi tenacemente abbracciato, li difende con ogni guisa di coraggio e di pertinacia.
Una delle prove più palesi di quanto abbiamo detto finora si è l’ironia. Vedete bene, ella comincia appunto dove il suo opposto finisce; potrebbesi dire che prendesse le fila che pendono all’estremità della tela, per intrecciarle nel suo nuovo lavoro. Vuol essa inspirare il disprezzo? Incomincia dalle più smaccate adulazioni, iperboleggia nelle lodi, profonde i superlativi: a prima giunta non sapresti ben dire se continui ancora l’apoteosi, e la diffamazione è di già incominciata.
Se non fosse vero il proverbio gli estremi si toccano, come potrebbesi trovar ragione al ridere che si fa talvolta vedendo chi sdrucciola o incespica per modo alquanto bizzarro? Ho udito dire a taluno che ciò possa nascere da convulsione, e per un moto quasi simpatico propagatosi alla vista di que’ scontorcimenti che fa per lo più chi scivola o inciampa. La cosa ha dell’astruso, e dell’incerto, e per poco non direi dell’assurdo: laddove il dire che quelle incomposte attitudini, tenendo molto della caricatura, eccitano il riso, che dalla caricatura si risveglia solitamente, è secondo ragione, o che parmi, e non è punto difficile ad essere inteso.
Questo pensiero, che gli estremi concorrano a vicendevolmente compenetrarsi, rende sensibile quel profondo elemento di unità, che, come risiede in tutte le opere della natura, così viene ad essere rivelato da tutte pure quelle dell’arte. Di qui la tristezza genera soavità; i sentimenti vigorosi inducono gli uomini ad affratellarsi; fra la desolazione non resta di sorgere la speranza. Hanno bene inteso la verità di tali principii que’ critici che rimproverarono a Shakespeare il ridicolo ch’egli nou si guarda d’instillare nei luoghi più patetici de’ suoi drammi? Quanto è più commovente chi ignaro del proprio destino s’indugia a motteggiare nell’ora che brevissima gli rimane ad essere sopraggiunto dal carnefice, di chi stempera il suo dolore nelle esclamazioni, e vuole trascinare a viva forza altrui compassione sul proprio cammino! Si dirà che il miscuglio del serio e del ridicolo, per modo che se ne giovino a vicenda, non si pratico dagli antichi. Primieramente nella generalità di questa massima ci sarebbe che ridire: in secondo luogo è da por meute, che prendendo essi di preferenza il sensibile a fondamento delle loro imitazioni, doveano rimanere di necessità entro più angusta periferia.
Passando ora dalle arti al costume, chi avesse dinnauzi agli occhi della mente questa relazione che ci ha fra gli estremi opposti, si guarderebbe da molte ridicole e nocevoli pratiche della vita. Toccherò leggermente questo punto, perchè il troppo approfondarlo non mi conduca ad alimentare privati rancori, e l’uso bruttissimo delle indiscrete allusioni. Uno sfarzo soverchio è troppo facile indizio di povertà, l’esagerate eleganze esteriori lasciano sospettare assai agevolmente una interiore rozzezza. Se al tuo saluto non ci aggiugnessi la stretta di mano ti avrei per più amico; sarei più inclinato a dar fede al tuo racconto, senza quella troppo sensibile commozione che mi dimostra il tuo volto. Bada bene alla tremenda unità degli estremi opposti. Vorrei che molti leggessero il bell’apologo del Parini, che ha per titolo i Ciarlatani. Oh quanto spesso, trovandomi fra due che si accapigliano quistionando, e vogliono ciascuno essere di preferenza creduti in un racconto che fecero con circostanze del tutto opposte, mentre gli spettatori sopraffatti dalle parole, sbalorditi dagli urli, per poco non dissi, domati dai gesti, applaudiscono a chi ha lingua più sciolta, polmoni più atti, e braccia più vigorose, vo fra me e me ripetendo:
Badate all’altro, questi è un ciarlatano!
E ciò anche quando una delle parti sia assente, giacche tanto fa per un lato il silenzio, quanto lo schiamazzo per l’altro. Gli estremi si toccano, negli estremi opposti c’è l’unità. Ho imparato a rispettare Licinio come fiore di galantuomo udendo le parole di Aristo che lo predicavano a tutta gola furfante.