Trasformazioni industriali e trasformazioni linguistiche nel cinema americano del dopoguerra/Capitolo 1/Aspetti dello sviluppo della TV in U.S.A.

Capitolo 1
Linee di trasformazione nel cinema americano del dopoguerra

Aspetti dello sviluppo della TV in U.S.A.

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Capitolo 1 - La crisi delle Majors Capitolo 2

La diffusione a livello di massa del mezzo televisivo si è attuata in America secondo una "escalation" che a partire dalla fine dell'ultima guerra, passa attraverso una svolta fondamentale verso la metà degli anni '50, arriva ai giorni nostri e sembra ancora non essersi fermata. Attualmente infatti la vasta gamma di interventi praticabile sul televisore da parte del teleutente sta aprendo a questo mezzo di comunicazione un ulteriore campo di sviluppo reso possibile dall'evoluzione tecnologica e al quale, ancora una volta, il cinema non sembra poter rimanere del tutto estraneo. Del resto già nel corso degli ultimi 30 anni sia il cinema che la televisione, in modo talvolta consapevole, più spesso inconsapevole, hanno sviluppato una rete di legami tali da portare ad una certa integrazione del loro sistema industriale e ad una reciproca influenza sul piano dei rispettivi linguaggi di produzione.

La prima fase di questo processo fu improntata ai più duri criteri di una spietata rivalità. Poi, con la sopravvenuta crisi dell'industria cinematografica, questa rivalità si tramutò nel corso degli anni '60 in una diffidenza sempre meno cauta, fino a giungere alle attuali forme di accettabile convivenza, se così possiamo dire, dove entrambe i media, pur nella differente specificità, collaborano all'incremento di una stessa industria, quella cioè dell'intrattenimento filmato. Questo settore, una volta proprietà esclusiva dell'industria cinematografica, è progressivamente di-ventato un terreno d'azione comune sulla base del qua-le avvengono scambi di materiale, oltreché di persona-le e di pubblico. Ma originariamente esso fu un terreno di scontro, sul quale fu la TV a sferrare il primo attacco, essendo arrivata dopo e dovendosi conquistare un raggio d'azione autonomo. Una prima manifestazione della potenza e delle grandi possibilità della televisione accadde in America il 29 giugno 1946. Quella notte la NBC trasmise in diretta nelle città di New York, Washington e Philadelphia l'incontro di pugilato tra i pesi massimi Joe Louis e Billy Conn, attirando così su di sé l'attenzione di un vasto pubblico e, quel che più conta, promuovendo considerevolmente la diffusione del televisore quale effi cace mezzo di comunicazione di massa. Per la prima vol fa la televisione era riuscita ad offrire uno spettaco lo che il cinema non era in grado di offrire, e cioè la partecipazione ad un grosso incontro sportivo trasmesso in diretta e a casa propria. "Variety" non mancò di celebrare l'avvenimento con un titolo altisonante: "All showbiz eyes on the video now". Nell'articolo che seguiva si metteva l'accento sulla probabile imminente rivalità tra televisione e radio, in quanto entrambi collocati nello stesso luogo, vale a dire le case. La radio già godeva all'epoca di una grossa diffusione che tuttavia non fu intaccata per nulla dall'incremento della televisione. Chi ne risentirà sarà invece il cinema; ma evidentemente allora non lo si pensava nemmeno.
In fondo la televisione disponeva ancora di una fa scia d'ascolto assai limitata. La stessa "Variety" infatti in un editoriale del 1946 si rivolgeva ai fabbri canti di televisori, chiedendo se il loro era un prodotto "for snobs or mobs", se cioè lo consideravano un prodotto d'élite o di massa. La domanda trovava giustificazione nel costo elevato di un TV-set. Nel 1946 solo una casa su 5.000 possedeva un televisore. Nel 1947 si vendettero un totale di 200 mila televisori, anche a causa della scarsità delle emittenti che praticamente esistevano solo nelle grandi città. Ciò bastò tuttavia a far sì che una casa su 2.500 avesse il televisore. Il 1948 fu l'anno decisivo per la diffusione della TV: furono venduti 975.000 televisori, il che voleva dire che una casa su 250 ne era provvista. Inoltre, sempre in quell'anno si registra l'adozione delle prime misure di regolamentazione in campo televisivo. Queste misure se da una parte limitarono almeno momentaneamente l'espansione del mezzo, dall'altra ne condizionarono lo sviluppo in una direzione che non sarà del tutto indipendente dall'industria cinematografica. Esse furono di due generi diversi; una ebbe effetto subito, l'altra nel corso del tempo.

In primo luogo la "Federal Communication Commission" intese porre un freno alla prolificazione selvagggia delle reti televisive stabilendo che nessuna stazione avrebbe ottenuto la licenza necessaria a trasmettere prima che fossero definitivamente risolti i problemi di interferenza e fossero quindi selezionati i rispettivi canali. A questo primo fattore di contenimento se ne aggiunse un secondo determinato dallo scoppio della guerra in Corea. Questo fece sì che gli sforzi economi ci si concentrassero su qualcosa di diverso dalla produzione dei beni di consumo. Di conseguenza, la vera e propria conquista delle case da parte della televisione venne rimandata alla prima metà degli anni '50. Nel 1949 furono prodotti 3 milioni di nuovi televisori; nel 1950 ne furono immessi sul mercato addirittura sette milioni e mezzo, ma un tal numero di televisori non sarà nuovamente prodotto prima del 1955 1.

L'altra misura fu quella, di cui abbiamo già riferito, della Suprema Corte degli Stati Uniti in materia di applicazione della legge anti-trust all'industria del cinema. In conseguenza di tale legge fu proibito alle Majors di possedere contemporaneamente i mezzi di produzione, distribuzione e presentazione al pubblico. "Questo precedente non è stato direttamente applicato alle reti televisive... ma c'è stata una notevole pressione, un'apposita regolamentazione e perfino qualche causa legale per prevenire l'integrazione dell'industria televisiva. Le reti televisive non possono possedere più di cinque stazioni e non possono richiedere alle centinaia di stazioni affiliate di trasmettere i loro programmi. (In pratica, ovviamente, gli affiliati prendono il 99% di quello che offrono le reti, ma ci sono state notevoli defezioni...). E, fatta eccezione per le notizie e lo sport, le reti sono state a poco a poco costrette a rinunciare a possedere e a produrre i programmi che distribuiscono dalla pressione del Dipartimento della giustizia" 2.

Le reti televisive americane vengono dunque ad essere fondamentalmente delle case di distribuzione, a modello delle grandi compagnie cinematografiche. Queste dal canto loro, in concorrenza alle case cinematografiche indipendenti che anche in questo settore sono tutt'altro che arrendevoli, hanno tutto l'interesse a collaborare colle reti televisive nella produzione di programmi di intrattenimento filmato, dato che la ABC, la CBS e la NBC non possono farlo da sole. Questo genere di prodotto, che sono poi i telefilm, costituiscono dunque la reale ragione per cui esistono delle profonde relazioni tra industria cinematografica e televisiva negli Stati Uniti. Naturalmente oltre a questo le Majors possono cedere i diritti televisivi dei film da loro prodotto per il mercato cinematografico. Questi riempiono i programmi delle reti e sono anche una buona fonte di rendita per le Majors.

Un dato storicamente interessante può essere quello in base al quale lo sviluppo delle relazioni tra cinema e TV nelle due prospettive ora indicate non si ebbe se non verso la metà degli anni '50, cioè nel periodo in cui la TV raggiunse un primo consistente grado di diffusione ed il cinema cominciava ad accusare i primi sintomi della crisi. Solo la necessità poté dunque avvicinarli.

La televisione entrò nell'industria cinematografica sconvolgendo innanzitutto il settore di quelle che si chiamavano "produzioni di serie B". Le reti avevano infatti bisogno di questo tipo di film a basso costo, in modo da riempire le loro ore di trasmissione. Ad esempio negli anni '50 gli schermi televisivi furono letteralmente inondati dai "B westerns", pellicole realizzate negli anni '30 da case produttrici "minors", come la Republic, la Monogram, la Universal, e la stessa Columbia. Una volta esauriti i western di serie B, si passarono in TV anche i western di serie A prodotti dalle Majors, ma che avevano registrato un incasso modesto al botteghino. Ciò non fu senza conseguenze. A parte la logica saturazione del mercato per cui sempre meno spazio veniva accordato alla produzione di un western, per gli Studios diventava ogni volta più problematico produrre dei film a basso costo, per il semplice motivo che i costi di produzione aumentavano. Una pellicola di serie B che negli armi '30 si poteva realizzare con 15 o 20 mila dollari, negli anni '50 ve niva a costare sui 60 mila dollari e tanto valeva allora investirli in più grossi progetti dai quali si potessero ricavare più lauti guadagni. Che questo non avvenisse fu il dramma delle Majors.

Chi continuò, o meglio, chi iniziò di nuovo a produrre dei film a basso costo inventando per essi formule inedite furono invece le compagnie indipendenti. Esse sorsero proprio nell'intento di colmare questo vuoto di produzione che si era venuto a creare per la megalomane strategia di produzione delle Majors. Ai cinema di periferia, soprattutto a quelli collocati nei "suburbs", necessitavano proprio questo tipo di film per riempire le sale altrimenti vuote e senza programmazioni. Chi li produsse cercò anche di richiamare l'attenzione del pubblico ignorato dalle colossali produzioni delle Majors, cioè i giovani. Ad esempio, il primo film prodotto dalla "American International Pictures", la pioniera tra le cosiddette Mini-majors, sarà non a caso un film che racconta la storia di un adolescente il cui desiderio principale è quello di deviare dalla consueta strada maestra, così come era conformisticamente accettata allora. In seguito l'AIP fu particolarmente fortunata nell'individuazione di temi da cassetta. Su questa base si sono fondati molti dei suoi successi. E su questa base si fondano anche i successi dei film programmati per la TV, tanto da aver oggi soppiantato del tutto la produzione di serie E.

Dopo alterne vicende essi hanno trovato una codificazione definitiva nella sofisticata formula dei telefilm. Di questi non sembrano poter fare a meno né la TV né il cinema. La prima perché sono un suo prodotto tipico in grado di elevare considerevolmente l'indice di ascolto. Il secondo perché la produzione di queste forme di intrattenimento filmato costituiscono ormai una grossa fetta delle sue entrate; senza contare la grossa possibilità di lavoro che essi sono per attori, sceneggiatori, registi, ecc., altrimenti inutilizzati. Così insomma la originaria rivalità tra i due media si è oggi evoluta in una necessaria convivenza. A conclusione dunque di questo primo capitolo dedicato all'evidenziazione di quelle che ci sono sembrate le principali tendenze all'interno del processo di trasformazione subito dalla "Old Hollywood" a partire dal dopoguerra, possiamo dire che essa è capitolata sotto la spinta di cambiamenti d'ordine sociale, economico e tecnologico. Questi ne hanno messo in crisi la struttura negli anni '50 e '60. Alla soglia degli anni '70 si potevano tuttavia constatare alcuni accenni di ripresa che saranno poi alla base del fenomeno della "New Hollywood". La grande macchina ritrovava lentamente il suo pubblico attraverso la mediazione dei nuovi autori. Al suo interno si poteva dire ormai acquisita la presenza di due entità produttive: da una parte le Mini-majors che prosperavano perseverando nella loro politica di produzione a basso costo; dall'altra parte le Majors, che avevano l'urgente necessità di mettere a punto una strategia produttiva in grado di rimediare ai bilanci in rosso. L'entrata definitiva delle Majors nell'apparato delle grandi società multinazionali porterà come conseguenza la loro trasformazione in case di distribuzione alle quali entità produttive autonome, quali le stesse Mini-majors oppure associazioni più o meno temporanee tra autori e produttori affidano le loro opere in qualità di prodotti da lanciare sul mercato internazionale.

Da ultimo, riprendendo quanto dicevamo in apertura, possiamo dire ancora che la struttura di Hollywood appare effettivamente quella di una volta: come allora c'erano le Majors (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner, RI(0) e le Minors (Columbia, Universal, United Artists), così oggi ci sono le Majors e le Mini-majors. La differenza è che le prime sono essenzialmente case di distribuzione dipendenti dalle multinazionali. Le seconde case di produzione indipendenti dalle multina-zionali. Ancora si può dire che le Majors pongono di più l'accento su quella che potremmo definire l'"istanza consumistica" del cinema, in quanto l'attività di distribuzione ha un carattere eminentemente industriale. Al contrario le Mini-majors non si sottraggono affatto ai rischi della produzione; anzi nei casi migliori hanno sviluppato uno stile proprio e originale in questo settore. In tal modo potremmo dire che qui l'accento cade piuttosto sull'"istanza artistica" del cinema. In fondo proprio in questo ambiente si sono formati gli autori più interessanti del "nuovo cinema amenicano".

  1. Le cifre sono tratte da Michael PYE & Lynda MYLES, op. cit., pag.19
  2. Robert SKLAR, "Relazioni tra film e TV negli anni '70", in AAVV, Hollywood 1969-1979.3-Immagini piacere dominio, Venezia, Marsilio, 1980, pag.117.