Tragedie, inni sacri e odi/Poesie non accolte dall'autore/A Parteneide
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E tu credesti che la vista sola
Di tua casta bellezza innamorarmi
Potente non saria, che anco del suono
Di tua dolce parola il cor mi tenti,
5Vergine Dea? Col tuo secondo duca1
Te vidi io prima, e de le sacre danze
O dimentica o schiva; e pur sì franco,
Sì numeroso il portamento e tanto
Di rosea luce ti fioriva il volto,
10Che Diva io ti conobbi, e t’adorai.
Ed ei sì lieto ti ridea, sì lieta
D’amor primiero ti porgea la destra,
Di sì fidata compagnia, che primo
Giurato avrei che per trovarti ei l’erta
15Superasse de l’Alpe, ei le tempeste
Affrontasse del Tuna, e tremebondo
Da la mobil Vertigo, e da l’ardente
Confusion battuto, in sul petroso
Orlo giacesse. Entro il mio cor fean lite
20Quegli avversarj che van sempre insieme,
Riverenza ed Amor: ma pur sì pio
Aprivi il riso, e non so che di noto
Mi splendea de’ tuoi guardi, che Amor vinse,
E m’appressai securo. E quel cortese,
25Di cui cara l’immago ed onorata
Sarammi infin che la purpurea vita
M’irrigherà le vene, a me rivolto,
Con gentil piglio la tua man levando,
Fea d’offrirmela cenno. Ond’io più baldo
30La man ti stesi; ma tremò la mano
E il cor: chè tutto in su la fronte allora
Vidi il dio sfolgorarti, e tosto in mente
Chi sei mi corse, ed in che pura ed alta
Aria nutrita, ed a che scorte avvezza.
35Mesto allor la tua vista abbandonai;
Ma l’inquïeto immaginar, che sempre
Benchè d’alto caduto in alto aspira,
Sovra l’aspro sentiero a vol si mosse
Del tuo vïaggio, e a te fidato, al sommo
40Stette de l’Alpe, e si librò securo
Sovra i vestigi e i desidèri umani.
Poi riverito il tuo celeste nido,
Di pensiero in pensier, di monte in monte,
Seguitando il desìo, vêr la mia sacra
45Terra drizzai le penne, ed i cognati
Rèti giganti valicando, alfine
Vidi l’Orobia valle. Ivi un portento
Al mio guardar s’offerse: una indistinta
Aeria forma or si movea qual pura
50Nuvoletta d’argento, ed or di neve
Fiocco parea che un bel cespuglio vesta.
Ma pur l’immagin bella e fuggitiva
Tanto con l’occhio seguitai, che vera
Alfin m’apparve, a te simile alquanto,
55Vergin nè tocca nè veduta ancora,
E d’immortal concepimento anch’ella.
Non tenea scettro, non cingea corona
Se non di fiori; e sol di questi vaga,
Fra i color mille, onde splendea distinta
60La verdissima piaggia, or la vïola,
Or la rosa sceglieva, or l’amaranto,
Tal che Matelda rimembrar mi féo,
Qual la vide il divin nostro Poeta
Ne l’alta selva da lui sol calcata.
65Ed ecco alfin, del mio venire accorta,
Volger le luci al pellegrin parea
Piene di maraviglia, e la rosata
Faccia levando, mi parea guardarlo,
E sorridere a lui come si suole
70Ad aspettato. E quando io de la diva
Bellezza innebrïato e del gentile
Atto, con l’ali de la mente a lei
Appressarmi tentai, se udir potessi
Come in cielo si parla, affaticate
75Caddero l’ali de la mente, e al guardo
Tacque la bella visïon. Ma sempre
Da quel momento la memoria al core
Di lei ragiona. E quando in sul mattino
Leve lo spirto dal sopor si scioglie
80(Allor per l’aria de’ pensier celesti
Libero ei vola, e da le basse voglie
De la vita mortal quasi il divide
Un deserto d’obblio), sempre in quell’ora,
Più che mai bella, quella eterea Virgo
85Mi vien dinnanzi. Or d’oro e d’onor vani
Nessun mi parli; un solo amor mi regge,
Sola una cura: degli Orobi dorsi
Rivisitar l’asprezza, e questa Diva,
Deh! mel consenta! accompagnar primiero
90Per le italiche ville pellegrina.
Che se l’evento il mio sperar pareggia,
Se nè la vita nè l’ardir mi falla,
Forse, più ardito condottier già fatto,
Ti piglierò per mano; e come valgo,
95Maraviglia gentile alla mia sacra
Italia io mostrerotti, a quella augusta
D’uomini Madre e d’intelletti, augusta
Di memorie nutrice e di speranze.2
- 1807.
Note
- ↑ Il Fauriel, che avea tradotto in prosa francese il poema idillico in dodici canti, e in tedesco, del danese Baggesen, «Parthénäis». La traduzione fu pubblicata solo più tardi nel 1810.
- ↑ Postilla del Manzoni sulla copia autografa mandata al Fauriel:
«Quando ai due illustri amici [il Baggosen ed il Fauriel] non pajano
affatto cattivi, mi studierò di farli ancor men cattivi, avendo già notate vario coso da levarsi, o pensatene alcune che si potrebbero più
opportunamente aggiungere». Sulla copia scrisse: «non corretto». Cfr. A. De Gubernatis, Il Manzoni ed il Fauriel, 2ª ediz., Roma, 1880, p. 40 ss.