Traduzioni e riduzioni/Dall'Odissea/Lo sfogo di Odisseo
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lo sfogo di odisseo
Quando poi fummo un pochino dall’antro e dal chiuso lontani,
primo mi sciolsi dal pecoro e sciolsi dagli altri i compagni.
Rapidamente le pecore grosse, che stendono i piedi,
noi paravamo, di qua e di là ricorrendo fin ch’alla
nave giungemmo. Con gioia ci videro i cari compagni,
come sfuggiti alla morte, ed il pianto facevan sugli altri.
Non li lasciai, accennando ad ognuno d’un muover di ciglia,
piangere, ch’anzi esortai ch’alla lesta del gregge lanuto
molte cacciate alla nave, solcassero l’acqua salata.
Furono presto montati e sederono tutti agli scalmi
e via che in fila coi remi battevano il torbido mare.
Quando lontano ne fui, quanto giunge il gridare d’un uomo,
io mi rivolsi al Ciclòpe, parole mandandogli d’onta:
“Non un uom fiacco, o Ciclòpe, era quello i cui cari compagni
tu ti mangiasti con l’empia tua forza, nell’antro tuo cavo!
Troppo dovevan le tue malefatte tornare a tuo danno,
o miserabile, che non temevi i tuoi ospiti in casa
tua di mangiarli: perciò n’hai da Giove e dagli altri la pena„.