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il racconto del navigatore
Sono Odisseo Laertìade che ne’ discorsi di tutti
sono per mille accortezze, e il mio nome si spazia nell’alto.
Abito in Itaca, l’isola illustre. Ed un monte vi sorge,
Nèrito tremolo d’alberi, il nobile, ed isole intorno
molte vi sono abitate, che l’una si tocca con l’altra,
Same, Dulichio, Zacinto di molte boscaglie. Ma essa,
piana di rive, nel mare si stende più lungi di tutte,
contro l’opaco tramonto: son l’altre ver l’alba ed il sole:
aspra e rupestra ma buona nutrice di giovani: ed io
nulla vedere potrei della terra nativa più dolce.
Bene me là tratteneva Calipso la dea delle dee,
dentro cavate spelonche, anelando le fossi marito;
proprio nel modo che Circe volea ritenermi in sua casa,
quell’ingannevole Eèa, anelando le fossi marito;
ma non poterono mai il mio cuore piegare nel petto.
Nulla così più soave riesce del suolo nativo,
nulla de’ suoi genitori a chi lungi, una casa pur pingue
abiti in terra straniera, lontano da’ suoi genitori.
Ora non più! ch’io ti narri il mio molto dolente ritorno,
che mi diè Giove quand’io lontanai dalla terra di Troia.