[p. 60 modifica]
il mirabile vino del sacerdote
Dunque in quel punto esortai gli altri molto a me fidi compagni
di rimanere colà dalla nave e guardare la nave:
dodici io scelsi tra loro i più forti di tutti i compagni
e m’inoltrai. Ma portavo un vin nero in un otre caprigno,
vino soave, a me dato da Màrone, figlio d’Euante,
il sacerdote d’Apollo, che d’Ismaro aveva la guardia;
dato, perchè lo salvammo, siì lui sì la moglie ed un figlio,
per reverenza; abitava nel bosco alberato d’Apollo:
splendidi doni mi offrì per compenso: mi diede talenti
sette in bell’oro battuto, mi diede un cratere d’argento,
tutto d’argento, e via via questo vino egli attinse ed infuse,
il sacerdote d’Apollo, in molt’anfore, dodici in tutto:
vino soave, vin pretto, divina bevanda, nè alcuno
v’era, che lo conoscesse, famigli o fantesche, per casa,
sì egli stesso e la moglie e la sua dispensiera soltanto.
Quando bevevan quel vino, d’un dolce di miele, vermiglio,
esso n’empiva una coppa e ben venti misure aggiungeva
d’acqua, e un odore odorava soave dal pieno cratere
degno di dei, nè piaceva per certo in quel punto non berne.
Pieno un grand’otre di questo portai, con miei viveri inoltre
nella bisaccia, chè avevo nell’animo forte, in barlume,
ch’ero per giungere ad uomo vestito di grande fortezza,
uomo selvatico, ignaro di tutta giustizia e ragione.