Tra le sollecitudini (Mondovì 1904)/Lettera al signor cardinale Respighi
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LETTERA
AL SIGNOR CARDINALE RESPIGHI
VICARIO GENERALE DI ROMA
SULLA RESTAURAZIONE DELLA MUSICA SACRA
- Signor Cardinale,
Il desiderio di veder rifiorire in ogni luogo il decoro e la dignità e santità delle funzioni liturgiche Ci ha determinati di far conoscere con un Nostro particolare Chirografo quale sia la volontà Nostra rispetto alla musica sacra, che sì largamente si adopera a servigio del culto. Nutriamo fiducia che tutti Ci asseconderanno in questa desiderata restaurazione, nè già solamente con quella cieca sommessione, pur sempre lodevole anch’essa, onde si accettano per puro spirito di obbedienza i comandi onerosi e contrarî al proprio modo di pensare e sentire, sì bene con quella prontezza di volontà, che nasce dall’intima persuasione di dover così fare per ragioni debitamente apprese, chiare, evidenti, irrepugnabili.
Per poco infatti che si rifletta al fine santissimo, per cui l’arte è ammessa a servigio del culto, e alla somma convenienza di non offrire al Signore, se non cose per sè buone, e dove torni possibile, eccellenti, si riconoscerà subito, che le prescrizioni della Chiesa a riguardo della musica sacra non sono che l’immediata applicazione di quei due principî fondamentali. Quando il clero ed i maestri di cappella ne siano penetrati, la buona musica sacra rifiorisce spontaneamente, come si è osservato e di continuo si osserva in gran numero di luoghi; quando invece quei principî si trascurano, non bastano nè preghiere, nè ammonizioni, nè ordini severi e ripetuti, nè minacce di pene canoniche a far sì, che nulla si cangi; tanto la passione, e se non questo, una vergognosa ed inescusabile ignoranza trova modo di eludere la volontà della Chiesa e di continuare per anni ed anni nel medesimo biasimevole stato di cose.
Tale prontezza di volontà Ci promettiamo in modo particolarissimo dal clero e dai fedeli di questa Nostra diletta Città di Roma, centro del cristianesimo e sede della suprema Autorità della Chiesa. Sembra invero che niuno dovrebbe sentir meglio l’influsso della Nostra parola, quanto coloro che direttamente l’ascoltano dalla bocca Nostra, e che l’esempio di amorosa e filiale sommessione ai Nostri inviti paterni da niun altro dovrebbe esser dato con maggior sollecitudine, quanto dalla prima e più nobile porzione del gregge di Cristo, che è la Chiesa di Roma, specialmente commessa alla Nostra cura pastorale di Vescovo. S’aggiunga che tale esempio dev’essere dato al cospetto del mondo tutto. Da ogni parte qua vengono continuamente e vescovi e fedeli per riverire il Vicario di Cristo e per ritemprare lo spirito, visitando le nostre venerande basiliche e le tombe dei Martiri ed assistendo con raddoppiato fervore alle solennità, che con ogni pompa e splendore qui si celebrano in ogni tempo dell’anno. «Optamus, ne moribus nostris offensi recedant», diceva fin dai suoi tempi Benedetto XIV, Nostro Predecessore, nella sua Lettera enciclica «Annus qui», parlando appunto della musica sacra: bramiamo che non ritornino alle patrie loro scandolezzati dalle nostre consuetudini. E toccando più innanzi dell’abuso degli strumenti, allora invalso, il medesimo Pontefice diceva: «Qual concetto si formerà di noi, chi venendo da paesi, dove gli strumenti non si adoperano in chiesa, gli udirà nelle chiese nostre, nè più nè meno di quel che si soglia fare nei teatri e negli altri luoghi profani? Verranno pure da luoghi e paesi, dove nelle chiese si canta e suona, come si fa ora nelle chiese nostre. Ma se sono uomini di buon senno, si dorranno di non trovare nella nostra musica quel rimedio al male delle chiese loro, che erano qua venuti cercando». In altri tempi nelle musiche, solite eseguirsi in chiesa, si avvertiva forse assai meno la loro difformità dalle leggi e dalle prescrizioni ecclesiastiche, e lo scandalo per avventura era più ristretto, appunto perchè l’inconveniente era più diffuso e più generale. Ma ora, poichè tanto studio si è messo da uomini egregi nell’illustrare le ragioni della liturgia e quelle dell’arte a servigio del culto, poichè in tante chiese del mondo si sono ottenuti nella restaurazione della musica sacra così consolanti e non di rado così splendidi risultati, non ostante le difficoltà gravissime che si opponevano e che furono felicemente superate, poichè infine la necessità di un pieno mutamento di cose è entrata universalmente negli animi, ogni abuso in questa parte diviene intollerabile e dev’essere rimosso.
Ella pertanto, Sig. Cardinale, nell’alto suo officio di Nostro Vicario in Roma per le cose spirituali, con la soavità che le è propria, ma con non minore fermezza, si adoprerà, ne siamo certi, perchè le musiche che si eseguiscono nelle chiese e cappelle sì del clero secolare che regolare di questa Città rispondano pienamente alle Nostre Istruzioni. Molte cose si dovranno o rimuovere o correggere nei canti delle messe, delle litanie lauretane, dell’inno eucaristico; ma ciò che abbisogna di un compiuto rinnovamento è il canto dei Vesperi nelle feste che si celebrano nelle varie chiese e basiliche. Le prescrizioni liturgiche del Caeremoniale Episcoporum e le belle tradizioni musicali della classica Scuola romana non vi si riscontrano più. Alla devota salmodia del clero, alla quale partecipava anche il popolo, si sono sostituite interminabili composizioni musicali sulle parole dei salmi, tutte foggiate alla maniera delle vecchie opere teatrali e per lo più di sì meschino valore d’arte, che non si tollererebbero affatto neppure nei concerti profani di minor conto. La devozione e la pietà cristiana non ne vanno certo promosse; si pasce la curiosità di alcuni meno intelligenti, ma i più ne ricevono disgusto e scandalo e si meravigliano che un tanto abuso perduri ancora. Noi dunque vogliamo ch’esso sia interamente tolto di mezzo e che la solennità dei Vesperi sia per tutto celebrata secondo le norme liturgiche da Noi indicate. Precederanno nell’esempio le basiliche patriarcali per la cura sollecita e lo zelo illuminato dei Signori Cardinali alle medesime preposti, e con quelle gareggeranno anzitutto le basiliche minori, le chiese collegiate e parrocchiali, come pure le chiese e cappelle degli Ordini religiosi. Ed Ella, Sig. Cardinale, non adoperi indulgenza, non conceda dilazioni. Col differire, la difficoltà non isminuisce, anzi aumenta, e poichè il taglio è da fare, si faccia immediatamente, risolutamente. Abbiano tutti fiducia in Noi e nella Nostra parola, con la quale va congiunta la grazia e la benedizione celeste. Sulle prime la novità produrrà in alcuni qualche meraviglia; si troverà forse alquanto impreparato qualcuno tra’ maestri di cappella e tra’ direttori del coro; ma a poco a poco la cosa riprenderà da se medesima, e nella perfetta rispondenza della musica alle norme liturgiche ed alla natura della salmodia tutti ravviseranno una bellezza e bontà, forse non mai dapprima avvertite. Invero la solennità dei Vesperi sarà così notabilmente raccorciata. Ma se i rettori delle chiese vorranno in qualche circostanza prolungare alquanto le funzioni, affine di trattenere il popolo, che così lodevolmente suol rendersi nelle ore vespertine alla chiesa dove celebrasi la festa, nulla vieta, anzi sarà tanto di guadagnato per la pietà ed edificazione dei fedeli, se al Vespero succeda un acconcio sermone e si chiuda poi con una solenne benedizione del SS.mo Sacramento.
Desideriamo infine che la musica sacra sia coltivata con cura speciale e nei debiti termini in tutti i seminari e collegi ecclesiastici di Roma, dove una sì numerosa e tanto eletta schiera di giovani chierici di ogni parte del mondo si vengono educando alle scienze sacre ed al vero spirito ecclesiastico. Sappiamo, e questo grandemente Ci conforta, che in parecchi istituti la musica sacra è in fiore così che essi possono servire altrui di modello. Ma alcuni seminarî ed alcuni collegi, sia per la noncuranza dei superiori, sia per la poca capacità e pel gusto non buono delle persone, alle quali l’istruzione del canto e la direzione della musica sacra sono affidate, lasciano molto da desiderare. Ella, Signor Cardinale, vorrà provvedere con sollecitudine anche a questo, insistendo soprattutto perchè il canto gregoriano, secondo le prescrizioni del Concilio tridentino e d’innumerevoli altri Concilî provinciali e diocesani di ogni parte del mondo, sia studiato con diligenza speciale e per solito preferito nelle funzioni pubbliche e private dell’istituto. In altri tempi, a dir vero, il canto gregoriano dai più non si conosceva, se non sui libri scorretti, alterati, raccorciati. Ma lo studio accurato e diuturno, postovi intorno da uomini insigni e grandemente benemeriti dell’arte sacra, ha cambiato faccia alle cose. Il canto gregoriano restituito in modo tanto soddisfacente alla sua primiera purezza, quale ci fu tramandato dai padri e si trova nei codici delle varie Chiese, appare dolce, soave, facilissimo ad apprendere e di una bellezza sì nuova ed inaspettata, che dov’esso fu introdotto, non tardò ad eccitare vero entusiasmo nei giovani cantori. Or quando nell’adempimento del dovere entra il diletto, tutto si opera con maggiore alacrità e con frutto più duraturo. Vogliamo adunque che in tutti i collegi e seminarî di quest’alma Città s’introduca di nuovo l’antichissimo canto romano, che già risonava nelle nostre chiese e basiliche e formò le delizie delle passate generazioni nei più bei tempi della pietà cristiana. E come altra volta dalla Chiesa di Roma quel canto si era sparso nelle altre Chiese d’Occidente, così bramiamo che i giovani chierici, istruiti sotto i Nostri occhi, lo rechino e lo diffondano di nuovo nelle diocesi loro, quando vi ritorneranno sacerdoti ad operare per la gloria di Dio. Ci gode l’animo di dare queste disposizioni mentre stiamo per celebrare il XIII centenario dalla morte del glorioso ed incomparabile Pontefice San Gregorio Magno, al quale una tradizione ecclesiastica di molti secoli ha attribuito la composizione di queste sante melodie e donde alle medesime è derivato il nome. Si esercitino diligentemente in quelle i Nostri carissimi giovani; chè Ci sarà grato udirli, se come Ci viene riferito, essi si raccoglieranno insieme nelle prossime feste centenarie presso la tomba del Santo Pontefice nella Basilica Vaticana, a fine di eseguire le melodie gregoriane durante la sacra Liturgia, che a Dio piacendo, sarà da Noi in tale fausta occasione celebrata.
Intanto a pegno della Nostra particolare benevolenza riceva, Signor Cardinale, l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a Lei, al clero ed a tutto il Nostro dilettissimo popolo.
Dal Vaticano nella festa della Immacolata del 1903.
PIVS PP. X