Timeo/Capitolo XXII

Capitolo XXII

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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XXII
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Perciò che detto è innanzi intorno ai generi, la cosa avrebbe a stare cosí. Terra abbattendosi a fuoco, sciolta dall’acume di esso, qua e là rigirandosi, in fino a tanto che le parti sue, o ch’elle cosí sciolte si trovino entro all’istesso fuoco, o entro ad aria o acqua, disposandosi fra loro novamente, tornino terra; ché non trapasserebbero mai in altra specie. Acqua spartita da fuoco o anco da aria, acconsente, ricomponendosi insieme, di fare un corpo di fuoco o due di aria; e se è spartita aria, si fanno di una parte sua due corpi di fuoco. E novamente, se chiuso è fuoco da aria o da acqua o da alcuna parte di terra, essendo esso poco entro a molti; dimenandosi quelli, ed esso in mezzo di loro dibattendosi, combattendo; sí é vinto e spezzato: e allora due corpi di fuoco si ricompongono in uno di aria. E se è domata aria e sminuzzolata, due intieri corpi e mezzo di quella si costringono in uno di acqua.

Perché noi cosí ragioniamo di nuovo a questo proposito: che quando il fuoco piglia alcun altro genere, e con l’acume de’ suoi angoli e canti, sí taglialo; egli ricomponendosi nella natura di fuoco, non è piú tagliato; imperocché ogni genere simile a sé medesimo non può in un genere a lui simile operare alcuno mutamento, e né anco patire può cosa alcuna da quello. Ma insino a tanto che un genere si scontri in un altro di principii diversi, ed esso, che è debole, combatta con uno gagliardo, non rifinisce di sciogliersi. Per lo contrario, quando corpi piccoli e pochi son chiusi fra molti piú grossi, essendo minuzzati, si dissipano: ma quando si vogliano ricomporre nella forma del vincitore, il dissipamento loro ha fine: e cosí di fuoco nasce aria, e di aria, acqua. In ultimo, se un genere di corpi investano in un altro quale che sia e combattano parimenti, essi non ristanno di sciogliersi tutt’e due, insino a che, respingendosi e sciogliendosi pienamente, non si rifuggano ai cognati loro; ovvero che i vinti, da molti facendosi uno e simile al vincitore, non si rimangano ad abitare seco lui. E per le dette passioni i corpi mutano cosí loro sedi: perocché le moltitudini de’ corpi di un genere medesimo si traggono per lo squassare del ricettacolo a un luogo loro proprio; ma fatti dissimili tra loro, e per contrario simili ad altri corpi di diverso genere, per questo scotimento al luogo di quelli son portati, ai quali sono fatti simili.

Adunque i corpi schietti e primarii sono generati per queste cagioni. Dell’esser poi nate in quelli diverse specie di forme si dee accagionare la composizione di ciascuno dei due elementi, della quale non venne in sul principio un triangolo isoscele d’una specie e grandezza, e né anco uno scaleno d’una grandezza; ma sí tanti ne vennero piú piccoli e piú grandi, quante son le specie delle corporali forme: e però i detti triangoli, mischiati seco medesimi e fra loro, fanno varietà infinita, alla quale dee riguardare chi ragionar voglia della natura secondo verisimiglianza.